«Se abbiamo qualcosa da comunicare lo facciamo attraverso il portavoce vaticano, padre Federico Lombardi», taglia corto l’avvocato Arru. L’istruttoria formale è stata preceduta da indagini preliminari e Gabriele in quella fase è stato interrogato da Picardi. In Curia smentiscono le voci circolate in serata che presto il maggiordomo potrebbe lasciare il Vaticano per esser trasferito in una regione italiana, lontano da Roma : una sorta di confino. I tempi dell’indagine non si annunciano brevi. La custodia cautelare in Vaticano ha una durata massima di 50 giorni, a cui eventualmente se ne possono aggiungere altri 50. Il maggiordomo papale si trova in una delle quattro celle di sicurezza all’interno della Gendarmeria: stanze con finestra, bagno, un letto, una scrivania e un crocifisso, delle dimensioni di quattro metri per quattro. Domenica è stato accompagnato a messa senza manette in una chiesa dentro le mura leonine. Secondo il codice penale vaticano, ricalcato sul codice italiano Zanardelli del 1882, Gabriele rischia fino a un massimo di otto anni per il «furto aggravato» di cui è al momento accusato, a cui eventualmente si potrebbero aggiungere altri reati accessori, come la «rivelazione di segreto politico», punibile fino a 3 anni. La pena, se confermata nei tre gradi di giudizio dell’ordinamento di Oltretevere, verrebbe però scontata in un carcere italiano, secondo quanto previsto dai Patti Lateranensi. Salvo, naturalmente, che Joseph Ratzinger non decida di concedere la grazia. In Vaticano non sfugge che i documenti segreti pubblicati nel libro «Sua Santità» copronono un arco temporale che inizia proprio nel 2006, l’anno in cui Paolo Gabriele prende il posto di Angelo Gugel come maggiordomo. La violazione del segreto pontificio prevede il licenziamento per i dipendenti. Oltre all’indagine guidata da gendarmeria e magistratura vaticana, ad ogni modo, ci sono altre tre piste investigative. La prima è l’indagine amministrativa che sta conducendo la segreteria di Stato al suo interno. La seconda è rappresentata dalle discrete «audizioni» svolte da una commissione cardinalizia che risponde direttamente al Papa, guidata dal cardinale Julian Herranz (Opus Dei) e composta da altri due porporati ultra-ottantenni (Salvatore De Giorgi e Jozef Tomko). In ragione della sua natura, la commissione può interrogare anche prelati e cardinali informati dei fatti o a capo di dicasteri vaticani pure se «non ci sono elementi concreti tali da giustificare provvedimenti giudiziari», precisa padre Lombardi. Vi è infine una terza possibilità per gli inquirenti vaticani, quella di una collaborazione con i loro omologhi italiani.
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