A Dublino la rivincita dei vecchi baroni
“The
Tablet” è un settimanale cattolico inglese di impronta “liberal”,
che in Italia ha forse il suo corrispettivo più simile nel
quindicinale “Il Regno”.
Ma,
al pari della rivista bolognese, dà spazio nella sua documentazione
anche a testi importanti di indirizzo conservatore.
È
ciò che ha fatto nel suo ultimo numero, in data 14 luglio.
“The
Tablet” ha pubblicato per intero un discorso tenuto
a fine giugno a Salt Lake City da monsignor Andrew R. Wadsworth,
direttore esecutivo del segretariato della International Commission
on English in the Liturgy, con sede a Washington.
Nel
suo discorso, Wadsworth prende spunto dal messaggio indirizzato
da Benedetto XVI al congresso eucaristico internazionale tenuto
a Dublino dal
10 al 17 giugno.
Per
mostrare come la messa conclusiva
del congresso non abbia affatto attuato le indicazioni del papa, ma
anzi le abbia contraddette.
Wadsworth
non fa nomi. Ma la sua critica va direttamente a colpire il
presidente del pontificio comitato per i congressi eucaristici
internazionali. Che è l’arcivescovo Piero Marini (nella foto),
l’indimenticato regista delle celebrazioni liturgiche del
pontificato di Giovanni Paolo II, nonché colui che fece cacciare il
maestro Domenico Bartolucci da direttore perpetuo del coro della
Cappella Sistina, giudicato incompatibile col nuovo corso.
Nel
suo messaggio, Benedetto XVI assegna al Concilio Vaticano II “il
più ampio rinnovamento del rito romano mai visto prima”.
E
così prosegue:
“Oggi,
a distanza di tempo dai desideri espressi dai padri conciliari circa
il rinnovamento liturgico, e alla luce dell’esperienza universale
della Chiesa nel periodo seguente, è chiaro che il risultato è
stato molto grande; ma è ugualmente chiaro che vi sono state molte
incomprensioni ed irregolarità. Il rinnovamento delle forme esterne,
desiderato dai Padri Conciliari, era proteso a rendere più facile
l’entrare nell’intima profondità del mistero. [...] Tuttavia,
non raramente, la revisione delle forme liturgiche è rimasta ad un
livello esteriore, e la ‘partecipazione attiva’ è stata confusa
con l’agire esterno. Pertanto, rimane ancora molto da fare sulla
via del vero rinnovamento liturgico”.
Wadsworth
commenta punto per punto queste considerazioni del papa, con esempi
concreti.
E
come esempio negativo, per mostrare come “la revisione delle forme
liturgiche è rimasta ad un livello esteriore, e la ‘partecipazione
attiva’ è stata confusa con l’agire esterno”, prende proprio
la messa conclusiva del congresso eucaristico di Dublino.
La
requisitoria di Wadsworth è molto dettagliata, specie sulla scelta
dei canti. A suo giudizio, la celebrazione risentiva molto di uno
stile “anni Ottanta”, aveva l’aria di uno “spettacolo”, era
frequentemente “salutata da applausi” e c’era un ripetuto
allontanamento dalle regole dell’Ordinamento
Generale del Messale Romano.
E
ancora. Era praticamente assente la lingua latina, nonostante il
carattere internazionale dei convenuti. Assente il canto gregoriano.
Ignorate le antifone proprie della messa del giorno. Il Credo letto
da vari lettori e inframmezzato dal grido di “Credo, Amen”. Alla
comunione la performance di tre tenori, con un motivo di musica
leggera.
Insomma:
“Il
deprimente effetto cumulativo del mancato rispetto dell’ordinamento
del messale, in una messa di grande impatto, celebrata da un legato
pontificio e trasmessa in tutto il mondo, non può essere
sottovalutato. [...] È come se i vecchi baroni dell’establishment
liturgico abbiano trovato [nei congressi eucaristici internazionali]
una nuova e formidabile arena di attività nella quale modellare i
loro esempi di mediocre liturgia”.
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