Con
la fuga dei documenti riservati si è rotto il patto di lealtà che
lega i membri della curia vaticana. Le consultazioni per un cambio di
governo sono iniziate. Una lettera del papa al cardinale Bertone
di Sandro Magister
Gli ammutinati della barca di Pietro
di Sandro Magister
Gli ammutinati della barca di Pietro
ROMA, 6 luglio 2012 – Il punto critico di questo pontificato non è la contestazione, anche aspra, che lo martella ininterrottamente su vari terreni. Ma è l'avvenuta rottura di quel patto di lealtà interno alla Chiesa che si manifesta nella fuga di documenti riservati, dai suoi uffici più alti.
Dalla
contestazione, papa Joseph Ratzinger non si lascia intimidire. Non la
subisce, anzi, sui casi cruciali la provoca, volutamente. E non
arretra di un passo nemmeno quando la reazione si fa esasperata e
feroce, al di là del previsto.
La memorabile lezione di Ratisbona ne è stata la prima dimostrazione. Benedetto XVI mise a nudo la carica di violenza presente nell'islam con una nettezza che stupì il mondo e scandalizzò nella Chiesa gli amanti dell'abbraccio tra le religioni. Invocò per i musulmani la rivoluzione illuminista che il cristianesimo ha già vissuto. Anni dopo, la primavera di libertà sbocciata e subito deperita nelle piazze arabe ha confermato che aveva visto giusto, che il futuro dell'islam si gioca davvero lì.
La memorabile lezione di Ratisbona ne è stata la prima dimostrazione. Benedetto XVI mise a nudo la carica di violenza presente nell'islam con una nettezza che stupì il mondo e scandalizzò nella Chiesa gli amanti dell'abbraccio tra le religioni. Invocò per i musulmani la rivoluzione illuminista che il cristianesimo ha già vissuto. Anni dopo, la primavera di libertà sbocciata e subito deperita nelle piazze arabe ha confermato che aveva visto giusto, che il futuro dell'islam si gioca davvero lì.
Gli abusi sessuali commessi da preti su bambini e ragazzi sono un altro terreno sul quale Benedetto XVI si è mosso controcorrente, già prima d'essere eletto papa. Ha introdotto nell'ordinamento della Chiesa procedure da stato di eccezione. Per suo volere, da una decina d'anni tre cause su quattro sono affrontate e risolte non per le vie del diritto canonico, ma per quelle più dirette del decreto extragiudiziario spiccato da un'autorità di maggior grado. Marcial Maciel, il diabolico fondatore dei Legionari di Cristo, fu sanzionato così, quando ancora era universalmente riverito e osannato, mai colto in fallo, con tutti i numeri per uscire indenne da un regolare processo non solo canonico ma anche civile. Un'intera Chiesa nazionale, l'irlandese, è stata messa dal papa in stato di penitenza. Vari vescovi inetti sono stati destituiti. Sta di fatto che oggi al mondo non c'è alcun governo o istituzione o religione che sia più avanti della Chiesa di papa Benedetto nel contrastare questo scandalo e nel proteggere i minori dagli abusi.
E poi la revoca della scomunica ai vescovi lefebvriani, con gli sforzi di riportarli all'ovile; la liberalizzazione della messa in rito antico; l'ammissione nella Chiesa delle comunità anglicane filocattoliche, con i loro vescovi, sacerdoti e fedeli: anche su questi terreni Benedetto XVI ha creato conflitti a ragion veduta, tuttora vivacissimi, tirandosi addosso valanghe di critiche. Non solo da sinistra ma anche da destra, come quando nel suo libro intervista "Luce del mondo" ha aperto uno spiraglio all'uso lecito del preservativo.
È un errore confondere la mitezza di questo papa con la sua remissività. O col suo estraniarsi dalle decisioni di governo. Anche la burrasca che sconvolge l'Istituto per le Opere di Religione, la "banca" vaticana, ha la sua prima origine proprio da lui, dal suo ordine di assicurare la massima trasparenza finanziaria.
Non c'è governo al mondo le cui decisioni non siano discusse e contrastate, prima e dopo che siano diventate legge, in pubblico o in via riservata. Papa Benedetto vuole che sia così anche per la Chiesa. I conflitti interni documentati dalle carte fuoriuscite dal Vaticano fanno parte della fisiologia di ogni istituzione chiamata a prendere decisioni.
Non il contenuto dei documenti, quindi, ma la loro fuga è la vera spina di questo pontificato. È tradimento di quel patto di lealtà che tiene insieme chi è parte di un'istituzione, a maggior ragione della Chiesa, dove l'inviolabilità del "foro interno" e ancor più del segreto della confessione ispira una generale riservatezza nelle procedure.
Gli ammutinati sostengono, anonimi, di farlo per il bene della Chiesa stessa. È una giustificazione ricorrente nella storia. Dallo scandalo dicono di voler ricavare una rigenerazione del cristianesimo. Ma a tanti loro sostenitori "laici" interessa che la Chiesa collassi. Non che sia rigenerata, ma umiliata.
I conflitti entro le istituzioni si governano. Ma il tradimento molto meno. Esso è il segnale, piuttosto, di un governo che non c'è, che ha lasciato crescere nella curia romana la ribellione occulta di alcuni suoi "civil servant" e non ha saputo fare nulla per neutralizzarla.
La segreteria di Stato vaticana, che da Paolo VI in poi è il primo attore del governo centrale della Chiesa, è inevitabilmente anche la prima responsabile di questa deriva.
Benedetto XVI ne è così consapevole che, per rimettere ordine nei Sacri Palazzi, non ha incaricato il suo primo ministro, il cardinale Tarcisio Bertone, ma ha chiamato a consulto un collegio di saggi tra i più lontani da lui: per cominciare, i cardinali Ruini, Ouellet, Tomko, Pell, Tauran.
Per un cambio di governo nella curia vaticana le pratiche sono già avviate.
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