Dialogo ebraico-cristiano: la dottrina della sostituzione soppiantata dalla “dottrina delle due salvezze parallele”
In
questo articolo vengono presi in esame i più recenti sviluppi del
dialogo ebraico-cristiano, e la questione dell’avvenuta mutazione della
dottrina della “sostituzione” con la dottrina delle “salvezze
parallele”, in riferimento alla più che significativa visita del Papa in
Sinagoga il 17 gennaio 2010 ed al ‘succo’ delle parole che vi sono
state pronunciate sia da Benedetto XVI che dal rabbino Riccardo Di Segni
nonché ai più recenti eventi susseguitisi.
Identità etnica di Israele, identità spirituale del Cristianesimo
Nel corso della visita di Benedetto XVI al Tempio Maggiore di Roma, è stata fatta dal Rabbino Capo di Roma Riccardo di Segni una lezione di esegesi su “Israele-Popolo-Terra”.
Nella coscienza ebraica, ha detto Di Segni, è «fondamentale e irrinunciabile» ricordare che la terra santa «è la terra di Israele» per «la promessa fatta ripetutamente dal Signore ai nostri patriarchi di darla ai loro discendenti». Una promessa, ha sottolineato il rabbino, che «si basa sulla Bibbia» la quale per cattolici ed ebrei ha, «pur nelle differenti letture, un significato sacro». Il Papa non ha replicato nulla ma i suoi scritti dimostrano che egli ha idee chiare al riguardo. Che siano esagerati il nazionalismo e le ristrette vedute d’Israele, perché l’Antico Testamento testimonia anche un suo ben pronunciato universalismo, lo dimostra l’allora card. Ratzinger nello scritto seguente:
«Il cristianesimo era quella forma di giudaismo[1] ampliata fino ad attingere l’universalità, nella quale ora veniva pienamente donato quanto l’Antico Testamento fino ad allora non era stato in grado di dare. La fede di Israele presentata nella ‘Septuaginta’ mostrava l’accordo tra Dio e il mondo, tra ragione e mistero. Essa dava direttive morali, ma mancava di qualcosa: il Dio universale era comunque legato a un determinato popolo; la morale universale era legata a forme di vita molto particolari, che fuori di Israele non si potevano affatto praticare; il culto spirituale era pur sempre vincolato ai rituali del Tempio che certo si potevano interpretare simbolicamente, ma in fondo erano superati dalla critica profetica e non potevano essere fatti propri da parte di animi in ricerca. Un non ebreo poteva trovare posto soltanto ai margini di questa religione, rimanere ‘proselito’, poiché l’appartenenza piena era legata alla discendenza carnale da Abramo, a una etnia. Rimaneva il dilemma se era necessario, e in quale misura, l’elemento specifico giudaico per poter servire rettamente questo Dio e a chi spettasse tracciare il confine tra quanto era irrinunciabile e quanto invece era storicamente accidentale o superato. Una piena universalità non era possibile, poiché non era possibile un’appartenenza piena. A questo livello è stato il cristianesimo a praticare per primo una breccia, ad ‘abbattere il muro’ (Ef. 2,14) in un triplice senso: i legami di sangue con il capostipite non sono più necessari, poiché è il legame con Gesù a determinare la piena appartenenza, la vera parentela. Ognuno può ora appartenere totalmente a questo Dio, tutti gli uomini sono in grado e sono autorizzati a divenire suo popolo. Gli ordinamenti giuridici e morali particolari non obbligano più, essi sono divenuti un precedente storico, poiché nella persona di Gesù Cristo tutto è ricapitolato e chi lo segue porta in sé e adempie l’intera essenza della legge. Il culto antico non è più in vigore, è stato abrogato con l’offerta di sé che Gesù ha fatto a Dio e agli uomini. È essa ora il vero sacrificio, il culto spirituale, in cui Dio e l’uomo si abbracciano e vengono riconciliati; e la Cena del Signore, l’Eucarestia, ne risulta la reale e certa garanzia sempre presente» (J. Ratzinger, «Fede, Verità, Tolleranza - Il Cristianesimo e le religioni del mondo», Cantagalli, Siena, 2005).
Il Card Ratzinger, oggi Benedetto XVI, spiega che l'universalismo, non esclusivista né etnocentrico ma teologale, già presente nel Vecchio Testamento è diventato esplicito e si è compiuto solo con l’autentica esegesi che Gesù Cristo ha rivelato e realizzato. Ed è questa la risposta cristiana all’esegesi rabbinica, tuttora esclusivista ed etnocentrica, espressa ed enfatizzata dall’ebraismo. L’ identificazione tribale tra "Dio - terra - popolo" è stata ormai superata da duemila anni. Volerla ripristinare significa non camminare con la Storia della Salvezza portata a compimento dal Signore Gesù. In questo senso possiamo definire arcaica, cioè mitica, la pretesa sionista. Forse queste sono parole 'contro corrente' rispetto alla cultura imperante, ma esse servono per chiamare le cose col loro nome. Ne consegue, infatti, il riconoscimento di Israele come Stato e Nazione, ma senza alcuna valenza 'messianica'.
Attribuzione di portata teologica alla shoah né 'luogo' teologico né dogma di fede
Purtroppo nel suo discorso in Sinagoga il Papa ha asserito che “la shoah” segna “il vertice del cammino dell’odio”, che voleva “uccidere Dio”[2]. Questo non può restare senza conseguenza sulla tendenza odierna – che va generalizzandosi sempre più – di conferire portata teologica e “neo-dogmatica” ad un fatto storico come la shoah quale “nuovo Olocausto”, che sembra addirittura aver rimpiazzato quello di Cristo. Infatti l’odio di satana ha mosso degli uomini (Sinedrio con il popolo ebraico a lui sottomesso e con la connivenza dei dominatori Romani) ad uccidere Gesù Cristo, vero Dio e vero uomo, nella sua natura umana. Questo è il vero vertice dell’odio contro Dio.
La shoah non è né un “luogo teologico” – che, nella metodologia di Melchior Cano, è un criterio di prova teologica – né un dogma di fede, perché i dogmi di fede hanno per oggetto esclusivamente verità rivelate. Nessun cristiano è quindi autorizzato ad enfatizzazioni fuorvianti.
L'appartenenza alla Chiesa non può essere condizionata dall'accettazione di un fatto storico, che non è, non può e non deve diventare un dogma di fede. In ogni caso si tratta di un'appartenenza che non riguarda il popolo ebraico, il quale è interessato al dialogo ma non certo all'assimilazione; rischio che, invece, correrebbe la Chiesa se continuasse il processo di giudaizzazione innescato da tempo e di cui, ad esempio, tra le realtà ecclesiali emergenti, il cammino neocatecumenale è una 'punta' avanzata.
Derive sincretiste e moderniste e processo di giudaizzazione presenti nella Chiesa
Dove viene espunta la Presenza Reale del Signore in una celebrazione (il particolare rito neocatecumenale) la quale non è più il Sacrificio eucaristico che riattualizza il Sacrificio di Cristo, ma solo una festa assembleare che 'commemora' la Cena con la commistione del ricordo dell'uscita degli ebrei dall'Egitto, non è forse già entrato l' abominio della desolazione? Oggi, negli insegnamenti e nelle prassi, soprattutto ai livelli più avanzati, si assiste ad una progressiva giudaizzazione del cristianesimo, arbitrariamente attribuita ad un sedicente spirito-del-concilio, che assume anche connotati neo-protestanti.
Di questo processo è riprova un recente articolo a firma di Marco Morselli “L'ebraismo e i diritti culturali” ove egli afferma tra l'altro: "Non vi è una Nuova Alleanza che si contrapponga a una Vecchia Alleanza, non vi è neppure un’unica Alleanza Vecchio-Nuova che costringerebbe gli ebrei a farsi cristiani o i cristiani a farsi ebrei. Vi è un’unica Torah eterna che contiene molte Alleanze, i molti modi in cui il Santo, benedetto Egli sia, rivela il suo amore per gli uomini e indica le vie per giungere all’incontro con Lui" (salvo che gli ebrei restano "il popolo dell'Alleanza" e noi i goym...). Nella conclusione, Morselli cita Elia Benamozegh, il noto rabbino livornese che in un’ opera postuma pubblicata a Parigi nel 1914 scriveva: «La riconciliazione sognata dai primi cristiani come una delle condizioni della Parusia, o avvento finale di Gesù, il ritorno degli ebrei nel seno della Chiesa, senza di cui le diverse confessioni cristiane sono concordi nel riconoscere che l’opera della redenzione rimane incompleta, questo ritorno si effettuerà non come lo si è atteso, ma nel solo modo serio, logico e durevole, e soprattutto nel solo modo proficuo al genere umano. Sarà la riunione dell’ebraismo e delle religioni che ne sono derivate, e, secondo la parola dell’ultimo dei profeti, il sigillo dei veggenti, come i dottori chiamano Malachia, “il ritorno del cuore dei figli ai loro padri”» (Ml. 3,24)[3].
Citazione strumentale di Malachia, che parla anche della riconciliazione dei padri verso i figli. E nessuno autorizza a pensare che “i padri” siano gli ebrei e “i figli” siano i cristiani, i quali sono innanzitutto figli di Dio nel Figlio (Giovanni, Prologo 12-14).
Dialogo a “senso unico”
Sta di fatto che gli ebrei si sono in qualche modo riappropriati di Cristo come rabbi e profeta e non certo come Dio... e, oggi, in riferimento al dialogo, arrivano a sostenere: "Il dialogo ebraico-cristiano era giunto negli ultimi mesi a un punto di crisi che sembrava insormontabile, intorno alla questione della conversione degli ebrei. In un recente incontro tra Autorità rabbiniche e Autorità episcopali italiane si è chiarito che non vi è nessuna intenzione da parte della Chiesa Cattolica di operare attivamente per la conversione degli ebrei e che di conversione si parla solo in una prospettiva escatologica"[4] (citazione dall’articolo di Morselli sopra indicato –cfr. Comunicato della CEI riportato di seguito).
Certo, non può esistere da parte della Chiesa – in materia di conversione, che è un dono legato alla libertà inviolabile di ognuno – alcun comportamento coercitorio nei confronti di chicchessia, ebrei compresi; ma questo non significa che la Chiesa debba rinunciare ad annunciare il Signore a tutti, compresi gli ebrei. Questi hanno tutta la libertà di continuare a rifiutarLo ed aspettare il “loro” Messia, ma non hanno il diritto di assimilarci a loro dopo aver annichilito l'Incarnazione, il Sacrificio e la Risurrezione di Cristo con la connivenza dell'apostasia ormai interna agli uomini di Chiesa.
È altresì certo che gli ebrei vanno amati e non perseguitati. L' antisemitismo, la furia distruttrice contro qualsiasi popolo, in quanto creature di Dio è da condannare senza riserve. Questo sembra condiviso da ogni uomo di buona volontà prima ancora che da un vero cristiano. Ciò premesso, dichiarazioni come quella della CEI riportata qui di seguito, nonché le espressioni sul valore delle false religioni presenti nella Dichiarazione Conciliare Nostra Aetate e le ulteriori posizioni nei confronti degli ebrei non solo non sono imposte con autorità infallibile, ma sono posizioni "pastorali" ambigue e pericolosissime, in contrasto col Magistero precedente, anche perché aprono la strada all'indifferentismo ed al relativismo religioso e, peggio, al sincretismo, i cui guasti abbiamo sotto gli occhi giorno dopo giorno.
Nell’incontro con i rabbini Laras e Di Segni il card. Bagnasco ha dichiarato: «Non c’è, nel modo più assoluto, alcun cambiamento nell’ atteggiamento che la Chiesa Cattolica ha sviluppato verso gli Ebrei, soprattutto a partire dal Concilio Vaticano II. A tale riguardo la Conferenza Episcopale Italiana ribadisce che non è intenzione della Chiesa Cattolica operare attivamente per la conversione degli ebrei»[5].
In virtù di quell’incontro e di quella dichiarazione della CEI, è stata ripresa la celebrazione comune della Giornata di riflessione ebraico-cristiana, che cade ogni anno il 17 gennaio e che tre anni fa non vide la partecipazione degli ebrei. “È stata comune la convinzione – si legge nel comunicato – che la ripresa di tale Celebrazione aiuterà la comprensione reciproca e renderà più fruttuosa la collaborazione per la crescita dell’amore verso Dio e il prossimo. Il cammino compiuto in questi ultimi decenni è stato straordinario e pieno di frutti per tutti. In tale orizzonte, quindi, continuerà la riflessione sulle Dieci Parole, come Benedetto XVI aveva auspicato nella sinagoga di Colonia”. Quest’anno, pertanto, per la Giornata di riflessione ebraico-cristiana, si è ripreso il quarto comandamento, secondo la numerazione ebraica: “Ricordati del giorno di Sabato per santificarlo”. “La fede nel Dio dei Padri, ricevuta in dono – è stato affermato al termine dell’incontro – rende responsabili i credenti cristiani ed ebrei per l’edificazione di una convivenza basata sul rispetto dell'Insegnamento di Dio”.
Ora, noi non possiamo e non dobbiamo ignorare che il riferimento ai dieci comandamenti gli ebrei lo fanno anche quando ne attribuiscono l'osservanza ai “noachidi” né possiamo dimenticare che Noè per loro non fa parte della Storia della Salvezza, la quale comincia con Abramo, e perciò noachidi sono tutti i non-ebrei, compresi noi, mentre gli ebrei si ritengono Popolo Sacerdotale al quale appartengono l'Alleanza e le promesse (v. sì sì no no, 15 maggio 2009, pp. 1-8 Modernismo e giudaismo). Perciò se gli uomini della “Chiesa conciliare” si profondono in questo riconoscimento, altrettanto non può dirsi da parte degli ebrei nei confronti della Chiesa e dei cristiani, che appartengono alla Nuova ed Eterna Alleanza per essi inconcepibile e da essi tuttora rifiutata!
C’è da sottolineare inoltre che l'impegno espresso con le parole: “non è intenzione della Chiesa Cattolica operare attivamente per la conversione degli ebrei” eventualmente poteva esser preso, se fosse stato lecito, solo da una persona, che gode di una rappresentatività tale da poter parlare in nome dell'intera Chiesa, e questa persona è il Papa, e non una semplice conferenza episcopale.
CONCLUSIONE
L'irrevocabilità della predilezione appartiene al “Nuovo Israele”, cioè alla Chiesa, fuori della quale la vecchia Alleanza non ha né senso né fine. I rami vecchi sono stati recisi e i nuovi sono stati innestati sul tronco dell'Israele di Abramo che ha creduto nel Cristo venturo. La Legge antica non ha di per sé più alcuna linfa ed i rami isteriliti potranno riavere vita solo dall'innesto in Cristo (v. San Paolo).
L'irrevocabilità della predilezione è qui e solo qui. L’unico oggetto di una predilezione irrevocabile è la Chiesa. Da questa predilezione irrevocabile gli ebrei increduli restano fuori per loro scelta.
L'Antica Alleanza vive, nella parte in cui doveva ancor continuare a vivere dopo la venuta di Cristo, nella Chiesa, Nuovo Israele non secondo la carne, ma frutto della Nuova ed Eterna Alleanza. Vivendo nell'Antica Alleanza, la fede degli ebrei non giustifica né salva, perché non è più la fede di Abramo e dei giusti che credettero nel Cristo venturo, né è quella di coloro che hanno accolto il Cristo venuto.
La discendenza resta "marchiata" in eterno finché si rifiuta di riconoscere il Signore Gesù. Infatti, se è vero che il Signore è fedele alle sue promesse e quindi non ha mai revocato l'Antica Alleanza, è altrettanto vero che i suoi destinatari l'hanno respinta, e che nel Sangue Prezioso di Cristo è stata sancita la Nuova ed Eterna Alleanza, che ha portato a compimento la Salvezza la quale viene, sì, dai giudei, ma non prescindendo dal Signore Gesù. Perciò per salvarsi agli ebrei non basta la Torah e i Profeti (per nulla il Talmud), ma devono riconoscere Gesù Signore come Cristo, cioè come Messia, come colui che doveva venire: è proprio per la sua fede nel Cristo venturo che Abramo ha ricevuto la sua giustificazione ed è divenuto il “padre dei credenti”. Ora gli ebrei si stanno riappropriando di Gesù come rabbi, come profeta, ma non certo come Figlio di Dio e quindi come Dio. Molti rabbini, come Neusner[6] riconoscono i Suoi insegnamenti che sono legati anche alle fonti giudaiche, ma ne respingono il Discorso della Montagna che, guarda caso, sintetizza la Legge Nuova.... Gesù, sia durante l'Ultima Cena che sul Calvario, nonché oltre la Sua tomba vuota, ha fatto qualcosa di completamente nuovo che è esploso in un'altro orizzonte: quello della Creazione Nuova, iniziata dal "fiat" di Maria e dal verginale concepimento di quel Figlio che ha detto un altro "fiat" definitivo.
Questa è la grande, meravigliosa, salvifica eredità che il Signore ci ha lasciato, ed è anche la nostra identità, sulla quale non accettiamo né interferenze né sconti, nel senso di diluizioni e sviamenti apportati da falsi profeti e cattivi maestri, figli del modernismo.
Quanto alle derive sincretiste, il rischio che corre seriamente una certa ala post-conciliare della Chiesa, presente nelle esternazioni di molti vescovi (Zollitsch, ad esempio), è quella di considerare la Morte in Croce di Cristo solo come un grande atto di amore e solidarietà e non ciò che essa è e compie: un sublime atto di Amore, certamente, ma un amore espiativo, oblativo, dono di sé fino alla fine, nel quale si fondono Giustizia e Misericordia da parte di Dio e obbedienza e affidamento totali da parte dell'uomo-Gesù per ogni uomo. In questo senso la Croce di Nostro Signore Gesù Cristo è il Kippur perenne, affermato da Koch e contestato da Di Segni;[7] perché è il ripristino della Giustizia nel rovesciamento della disobbedienza originaria attraverso il duplice «Fiat», quello dell'Annunciazione ed il suo inscindibile rapporto col mistero del Getsemani, quando "il Sovrano della Storia ha detto il «Fiat» della sofferenza e dell'unione con l'esistenza di tutti gli uomini, per liberare ogni uomo, ogni volta unico, dalla morte e farlo entrare in un'altra realtà di vita eterna"[8].
Non si può ignorare che è proprio la Croce di Cristo la ‘pietra di scandalo’ sia per gli ebrei che per i Riformati di ieri e di oggi e per i non credenti. Stat Crux dum volvitur orbis.
[1] Una chiosa sul "cristianesimo come forma di giudaismo": quando si parla di giudaismo in riferimento al cristianesimo, bisogna intendere il giudaismo puro, con esclusione di quello spurio, che condanna e maledice i notzrì (cioè i cristiani). Questo ha inizio con l'esilio in Babilonia e sfocia, a partire dall’ Assemblea di Yavne dopo la distruzione di Gerusalemme, nel giudaismo talmudico o rabbinico, che si è sviluppato contemporaneamente al cristianesimo in una netta differenziazione reciproca. Il cristianesimo, più che una 'forma' di giudaismo, ne è il compimento, nella Persona di Cristo, nei 'tempi ultimi' e nella Creazione Nuova da Lui inaugurata.
[2] Discorso tenuto durante la visita alla Sinagoga di Roma il 17 gennaio 2009
[3] Marco Morselli, L'ebraismo e i diritti culturali, http://www.nostreradici.it/ebrediritti.htm.
[4] Idem.
[5] Dichiarazione del card. Bagnasco nell' incontro con i rabbini Laras e Di Segni 22 settembre 2009 [6] Jacob Neusner, Disputa immaginaria tra un rabbino e Gesù, Piemme, 1996.
[7] L’Osservatore Romano, 7 e 29 luglio 2011. sì sì no no , 15 ottobre 2011, pp. 7-8. Entrambi i testi sono consultabili sulla rete Internet alla URL http://www.internetica.it/Croce-Kippur_CristianiedEbrei.htm
[8] Giuseppe Siri, Getsemani, 1987.
Fonte: Si, si, no, no
Identità etnica di Israele, identità spirituale del Cristianesimo
Nel corso della visita di Benedetto XVI al Tempio Maggiore di Roma, è stata fatta dal Rabbino Capo di Roma Riccardo di Segni una lezione di esegesi su “Israele-Popolo-Terra”.
Nella coscienza ebraica, ha detto Di Segni, è «fondamentale e irrinunciabile» ricordare che la terra santa «è la terra di Israele» per «la promessa fatta ripetutamente dal Signore ai nostri patriarchi di darla ai loro discendenti». Una promessa, ha sottolineato il rabbino, che «si basa sulla Bibbia» la quale per cattolici ed ebrei ha, «pur nelle differenti letture, un significato sacro». Il Papa non ha replicato nulla ma i suoi scritti dimostrano che egli ha idee chiare al riguardo. Che siano esagerati il nazionalismo e le ristrette vedute d’Israele, perché l’Antico Testamento testimonia anche un suo ben pronunciato universalismo, lo dimostra l’allora card. Ratzinger nello scritto seguente:
«Il cristianesimo era quella forma di giudaismo[1] ampliata fino ad attingere l’universalità, nella quale ora veniva pienamente donato quanto l’Antico Testamento fino ad allora non era stato in grado di dare. La fede di Israele presentata nella ‘Septuaginta’ mostrava l’accordo tra Dio e il mondo, tra ragione e mistero. Essa dava direttive morali, ma mancava di qualcosa: il Dio universale era comunque legato a un determinato popolo; la morale universale era legata a forme di vita molto particolari, che fuori di Israele non si potevano affatto praticare; il culto spirituale era pur sempre vincolato ai rituali del Tempio che certo si potevano interpretare simbolicamente, ma in fondo erano superati dalla critica profetica e non potevano essere fatti propri da parte di animi in ricerca. Un non ebreo poteva trovare posto soltanto ai margini di questa religione, rimanere ‘proselito’, poiché l’appartenenza piena era legata alla discendenza carnale da Abramo, a una etnia. Rimaneva il dilemma se era necessario, e in quale misura, l’elemento specifico giudaico per poter servire rettamente questo Dio e a chi spettasse tracciare il confine tra quanto era irrinunciabile e quanto invece era storicamente accidentale o superato. Una piena universalità non era possibile, poiché non era possibile un’appartenenza piena. A questo livello è stato il cristianesimo a praticare per primo una breccia, ad ‘abbattere il muro’ (Ef. 2,14) in un triplice senso: i legami di sangue con il capostipite non sono più necessari, poiché è il legame con Gesù a determinare la piena appartenenza, la vera parentela. Ognuno può ora appartenere totalmente a questo Dio, tutti gli uomini sono in grado e sono autorizzati a divenire suo popolo. Gli ordinamenti giuridici e morali particolari non obbligano più, essi sono divenuti un precedente storico, poiché nella persona di Gesù Cristo tutto è ricapitolato e chi lo segue porta in sé e adempie l’intera essenza della legge. Il culto antico non è più in vigore, è stato abrogato con l’offerta di sé che Gesù ha fatto a Dio e agli uomini. È essa ora il vero sacrificio, il culto spirituale, in cui Dio e l’uomo si abbracciano e vengono riconciliati; e la Cena del Signore, l’Eucarestia, ne risulta la reale e certa garanzia sempre presente» (J. Ratzinger, «Fede, Verità, Tolleranza - Il Cristianesimo e le religioni del mondo», Cantagalli, Siena, 2005).
Il Card Ratzinger, oggi Benedetto XVI, spiega che l'universalismo, non esclusivista né etnocentrico ma teologale, già presente nel Vecchio Testamento è diventato esplicito e si è compiuto solo con l’autentica esegesi che Gesù Cristo ha rivelato e realizzato. Ed è questa la risposta cristiana all’esegesi rabbinica, tuttora esclusivista ed etnocentrica, espressa ed enfatizzata dall’ebraismo. L’ identificazione tribale tra "Dio - terra - popolo" è stata ormai superata da duemila anni. Volerla ripristinare significa non camminare con la Storia della Salvezza portata a compimento dal Signore Gesù. In questo senso possiamo definire arcaica, cioè mitica, la pretesa sionista. Forse queste sono parole 'contro corrente' rispetto alla cultura imperante, ma esse servono per chiamare le cose col loro nome. Ne consegue, infatti, il riconoscimento di Israele come Stato e Nazione, ma senza alcuna valenza 'messianica'.
Attribuzione di portata teologica alla shoah né 'luogo' teologico né dogma di fede
Purtroppo nel suo discorso in Sinagoga il Papa ha asserito che “la shoah” segna “il vertice del cammino dell’odio”, che voleva “uccidere Dio”[2]. Questo non può restare senza conseguenza sulla tendenza odierna – che va generalizzandosi sempre più – di conferire portata teologica e “neo-dogmatica” ad un fatto storico come la shoah quale “nuovo Olocausto”, che sembra addirittura aver rimpiazzato quello di Cristo. Infatti l’odio di satana ha mosso degli uomini (Sinedrio con il popolo ebraico a lui sottomesso e con la connivenza dei dominatori Romani) ad uccidere Gesù Cristo, vero Dio e vero uomo, nella sua natura umana. Questo è il vero vertice dell’odio contro Dio.
La shoah non è né un “luogo teologico” – che, nella metodologia di Melchior Cano, è un criterio di prova teologica – né un dogma di fede, perché i dogmi di fede hanno per oggetto esclusivamente verità rivelate. Nessun cristiano è quindi autorizzato ad enfatizzazioni fuorvianti.
L'appartenenza alla Chiesa non può essere condizionata dall'accettazione di un fatto storico, che non è, non può e non deve diventare un dogma di fede. In ogni caso si tratta di un'appartenenza che non riguarda il popolo ebraico, il quale è interessato al dialogo ma non certo all'assimilazione; rischio che, invece, correrebbe la Chiesa se continuasse il processo di giudaizzazione innescato da tempo e di cui, ad esempio, tra le realtà ecclesiali emergenti, il cammino neocatecumenale è una 'punta' avanzata.
Derive sincretiste e moderniste e processo di giudaizzazione presenti nella Chiesa
Dove viene espunta la Presenza Reale del Signore in una celebrazione (il particolare rito neocatecumenale) la quale non è più il Sacrificio eucaristico che riattualizza il Sacrificio di Cristo, ma solo una festa assembleare che 'commemora' la Cena con la commistione del ricordo dell'uscita degli ebrei dall'Egitto, non è forse già entrato l' abominio della desolazione? Oggi, negli insegnamenti e nelle prassi, soprattutto ai livelli più avanzati, si assiste ad una progressiva giudaizzazione del cristianesimo, arbitrariamente attribuita ad un sedicente spirito-del-concilio, che assume anche connotati neo-protestanti.
Di questo processo è riprova un recente articolo a firma di Marco Morselli “L'ebraismo e i diritti culturali” ove egli afferma tra l'altro: "Non vi è una Nuova Alleanza che si contrapponga a una Vecchia Alleanza, non vi è neppure un’unica Alleanza Vecchio-Nuova che costringerebbe gli ebrei a farsi cristiani o i cristiani a farsi ebrei. Vi è un’unica Torah eterna che contiene molte Alleanze, i molti modi in cui il Santo, benedetto Egli sia, rivela il suo amore per gli uomini e indica le vie per giungere all’incontro con Lui" (salvo che gli ebrei restano "il popolo dell'Alleanza" e noi i goym...). Nella conclusione, Morselli cita Elia Benamozegh, il noto rabbino livornese che in un’ opera postuma pubblicata a Parigi nel 1914 scriveva: «La riconciliazione sognata dai primi cristiani come una delle condizioni della Parusia, o avvento finale di Gesù, il ritorno degli ebrei nel seno della Chiesa, senza di cui le diverse confessioni cristiane sono concordi nel riconoscere che l’opera della redenzione rimane incompleta, questo ritorno si effettuerà non come lo si è atteso, ma nel solo modo serio, logico e durevole, e soprattutto nel solo modo proficuo al genere umano. Sarà la riunione dell’ebraismo e delle religioni che ne sono derivate, e, secondo la parola dell’ultimo dei profeti, il sigillo dei veggenti, come i dottori chiamano Malachia, “il ritorno del cuore dei figli ai loro padri”» (Ml. 3,24)[3].
Citazione strumentale di Malachia, che parla anche della riconciliazione dei padri verso i figli. E nessuno autorizza a pensare che “i padri” siano gli ebrei e “i figli” siano i cristiani, i quali sono innanzitutto figli di Dio nel Figlio (Giovanni, Prologo 12-14).
Dialogo a “senso unico”
Sta di fatto che gli ebrei si sono in qualche modo riappropriati di Cristo come rabbi e profeta e non certo come Dio... e, oggi, in riferimento al dialogo, arrivano a sostenere: "Il dialogo ebraico-cristiano era giunto negli ultimi mesi a un punto di crisi che sembrava insormontabile, intorno alla questione della conversione degli ebrei. In un recente incontro tra Autorità rabbiniche e Autorità episcopali italiane si è chiarito che non vi è nessuna intenzione da parte della Chiesa Cattolica di operare attivamente per la conversione degli ebrei e che di conversione si parla solo in una prospettiva escatologica"[4] (citazione dall’articolo di Morselli sopra indicato –cfr. Comunicato della CEI riportato di seguito).
Certo, non può esistere da parte della Chiesa – in materia di conversione, che è un dono legato alla libertà inviolabile di ognuno – alcun comportamento coercitorio nei confronti di chicchessia, ebrei compresi; ma questo non significa che la Chiesa debba rinunciare ad annunciare il Signore a tutti, compresi gli ebrei. Questi hanno tutta la libertà di continuare a rifiutarLo ed aspettare il “loro” Messia, ma non hanno il diritto di assimilarci a loro dopo aver annichilito l'Incarnazione, il Sacrificio e la Risurrezione di Cristo con la connivenza dell'apostasia ormai interna agli uomini di Chiesa.
È altresì certo che gli ebrei vanno amati e non perseguitati. L' antisemitismo, la furia distruttrice contro qualsiasi popolo, in quanto creature di Dio è da condannare senza riserve. Questo sembra condiviso da ogni uomo di buona volontà prima ancora che da un vero cristiano. Ciò premesso, dichiarazioni come quella della CEI riportata qui di seguito, nonché le espressioni sul valore delle false religioni presenti nella Dichiarazione Conciliare Nostra Aetate e le ulteriori posizioni nei confronti degli ebrei non solo non sono imposte con autorità infallibile, ma sono posizioni "pastorali" ambigue e pericolosissime, in contrasto col Magistero precedente, anche perché aprono la strada all'indifferentismo ed al relativismo religioso e, peggio, al sincretismo, i cui guasti abbiamo sotto gli occhi giorno dopo giorno.
Nell’incontro con i rabbini Laras e Di Segni il card. Bagnasco ha dichiarato: «Non c’è, nel modo più assoluto, alcun cambiamento nell’ atteggiamento che la Chiesa Cattolica ha sviluppato verso gli Ebrei, soprattutto a partire dal Concilio Vaticano II. A tale riguardo la Conferenza Episcopale Italiana ribadisce che non è intenzione della Chiesa Cattolica operare attivamente per la conversione degli ebrei»[5].
In virtù di quell’incontro e di quella dichiarazione della CEI, è stata ripresa la celebrazione comune della Giornata di riflessione ebraico-cristiana, che cade ogni anno il 17 gennaio e che tre anni fa non vide la partecipazione degli ebrei. “È stata comune la convinzione – si legge nel comunicato – che la ripresa di tale Celebrazione aiuterà la comprensione reciproca e renderà più fruttuosa la collaborazione per la crescita dell’amore verso Dio e il prossimo. Il cammino compiuto in questi ultimi decenni è stato straordinario e pieno di frutti per tutti. In tale orizzonte, quindi, continuerà la riflessione sulle Dieci Parole, come Benedetto XVI aveva auspicato nella sinagoga di Colonia”. Quest’anno, pertanto, per la Giornata di riflessione ebraico-cristiana, si è ripreso il quarto comandamento, secondo la numerazione ebraica: “Ricordati del giorno di Sabato per santificarlo”. “La fede nel Dio dei Padri, ricevuta in dono – è stato affermato al termine dell’incontro – rende responsabili i credenti cristiani ed ebrei per l’edificazione di una convivenza basata sul rispetto dell'Insegnamento di Dio”.
Ora, noi non possiamo e non dobbiamo ignorare che il riferimento ai dieci comandamenti gli ebrei lo fanno anche quando ne attribuiscono l'osservanza ai “noachidi” né possiamo dimenticare che Noè per loro non fa parte della Storia della Salvezza, la quale comincia con Abramo, e perciò noachidi sono tutti i non-ebrei, compresi noi, mentre gli ebrei si ritengono Popolo Sacerdotale al quale appartengono l'Alleanza e le promesse (v. sì sì no no, 15 maggio 2009, pp. 1-8 Modernismo e giudaismo). Perciò se gli uomini della “Chiesa conciliare” si profondono in questo riconoscimento, altrettanto non può dirsi da parte degli ebrei nei confronti della Chiesa e dei cristiani, che appartengono alla Nuova ed Eterna Alleanza per essi inconcepibile e da essi tuttora rifiutata!
C’è da sottolineare inoltre che l'impegno espresso con le parole: “non è intenzione della Chiesa Cattolica operare attivamente per la conversione degli ebrei” eventualmente poteva esser preso, se fosse stato lecito, solo da una persona, che gode di una rappresentatività tale da poter parlare in nome dell'intera Chiesa, e questa persona è il Papa, e non una semplice conferenza episcopale.
CONCLUSIONE
L'irrevocabilità della predilezione appartiene al “Nuovo Israele”, cioè alla Chiesa, fuori della quale la vecchia Alleanza non ha né senso né fine. I rami vecchi sono stati recisi e i nuovi sono stati innestati sul tronco dell'Israele di Abramo che ha creduto nel Cristo venturo. La Legge antica non ha di per sé più alcuna linfa ed i rami isteriliti potranno riavere vita solo dall'innesto in Cristo (v. San Paolo).
L'irrevocabilità della predilezione è qui e solo qui. L’unico oggetto di una predilezione irrevocabile è la Chiesa. Da questa predilezione irrevocabile gli ebrei increduli restano fuori per loro scelta.
L'Antica Alleanza vive, nella parte in cui doveva ancor continuare a vivere dopo la venuta di Cristo, nella Chiesa, Nuovo Israele non secondo la carne, ma frutto della Nuova ed Eterna Alleanza. Vivendo nell'Antica Alleanza, la fede degli ebrei non giustifica né salva, perché non è più la fede di Abramo e dei giusti che credettero nel Cristo venturo, né è quella di coloro che hanno accolto il Cristo venuto.
La discendenza resta "marchiata" in eterno finché si rifiuta di riconoscere il Signore Gesù. Infatti, se è vero che il Signore è fedele alle sue promesse e quindi non ha mai revocato l'Antica Alleanza, è altrettanto vero che i suoi destinatari l'hanno respinta, e che nel Sangue Prezioso di Cristo è stata sancita la Nuova ed Eterna Alleanza, che ha portato a compimento la Salvezza la quale viene, sì, dai giudei, ma non prescindendo dal Signore Gesù. Perciò per salvarsi agli ebrei non basta la Torah e i Profeti (per nulla il Talmud), ma devono riconoscere Gesù Signore come Cristo, cioè come Messia, come colui che doveva venire: è proprio per la sua fede nel Cristo venturo che Abramo ha ricevuto la sua giustificazione ed è divenuto il “padre dei credenti”. Ora gli ebrei si stanno riappropriando di Gesù come rabbi, come profeta, ma non certo come Figlio di Dio e quindi come Dio. Molti rabbini, come Neusner[6] riconoscono i Suoi insegnamenti che sono legati anche alle fonti giudaiche, ma ne respingono il Discorso della Montagna che, guarda caso, sintetizza la Legge Nuova.... Gesù, sia durante l'Ultima Cena che sul Calvario, nonché oltre la Sua tomba vuota, ha fatto qualcosa di completamente nuovo che è esploso in un'altro orizzonte: quello della Creazione Nuova, iniziata dal "fiat" di Maria e dal verginale concepimento di quel Figlio che ha detto un altro "fiat" definitivo.
Questa è la grande, meravigliosa, salvifica eredità che il Signore ci ha lasciato, ed è anche la nostra identità, sulla quale non accettiamo né interferenze né sconti, nel senso di diluizioni e sviamenti apportati da falsi profeti e cattivi maestri, figli del modernismo.
Quanto alle derive sincretiste, il rischio che corre seriamente una certa ala post-conciliare della Chiesa, presente nelle esternazioni di molti vescovi (Zollitsch, ad esempio), è quella di considerare la Morte in Croce di Cristo solo come un grande atto di amore e solidarietà e non ciò che essa è e compie: un sublime atto di Amore, certamente, ma un amore espiativo, oblativo, dono di sé fino alla fine, nel quale si fondono Giustizia e Misericordia da parte di Dio e obbedienza e affidamento totali da parte dell'uomo-Gesù per ogni uomo. In questo senso la Croce di Nostro Signore Gesù Cristo è il Kippur perenne, affermato da Koch e contestato da Di Segni;[7] perché è il ripristino della Giustizia nel rovesciamento della disobbedienza originaria attraverso il duplice «Fiat», quello dell'Annunciazione ed il suo inscindibile rapporto col mistero del Getsemani, quando "il Sovrano della Storia ha detto il «Fiat» della sofferenza e dell'unione con l'esistenza di tutti gli uomini, per liberare ogni uomo, ogni volta unico, dalla morte e farlo entrare in un'altra realtà di vita eterna"[8].
Non si può ignorare che è proprio la Croce di Cristo la ‘pietra di scandalo’ sia per gli ebrei che per i Riformati di ieri e di oggi e per i non credenti. Stat Crux dum volvitur orbis.
M. G.
[1] Una chiosa sul "cristianesimo come forma di giudaismo": quando si parla di giudaismo in riferimento al cristianesimo, bisogna intendere il giudaismo puro, con esclusione di quello spurio, che condanna e maledice i notzrì (cioè i cristiani). Questo ha inizio con l'esilio in Babilonia e sfocia, a partire dall’ Assemblea di Yavne dopo la distruzione di Gerusalemme, nel giudaismo talmudico o rabbinico, che si è sviluppato contemporaneamente al cristianesimo in una netta differenziazione reciproca. Il cristianesimo, più che una 'forma' di giudaismo, ne è il compimento, nella Persona di Cristo, nei 'tempi ultimi' e nella Creazione Nuova da Lui inaugurata.
[2] Discorso tenuto durante la visita alla Sinagoga di Roma il 17 gennaio 2009
[3] Marco Morselli, L'ebraismo e i diritti culturali, http://www.nostreradici.it/ebrediritti.htm.
[4] Idem.
[5] Dichiarazione del card. Bagnasco nell' incontro con i rabbini Laras e Di Segni 22 settembre 2009 [6] Jacob Neusner, Disputa immaginaria tra un rabbino e Gesù, Piemme, 1996.
[7] L’Osservatore Romano, 7 e 29 luglio 2011. sì sì no no , 15 ottobre 2011, pp. 7-8. Entrambi i testi sono consultabili sulla rete Internet alla URL http://www.internetica.it/Croce-Kippur_CristianiedEbrei.htm
[8] Giuseppe Siri, Getsemani, 1987.
Fonte: Si, si, no, no
Sab Lug 7, 2012 18:58
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