È
quella per il culto divino, con competenza sulla liturgia. I suoi
ultimi segretari sono stati tutti sostituiti prima del tempo. E quasi
mai sono andati d'accordo col loro prefetto e col papa. Sul nuovo
arrivato, l'inglese Roche, sono aperte le scommesse
di ***
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CITTÀ DEL VATICANO, 3 luglio 2012 – La scorsa settimana è stata annunciata la nomina di un nuovo segretario della congregazione per il culto divino. È il vescovo inglese Arthur Roche.
Ha preso il posto di Joseph Augustine Di Noia, che al Catholic News Service, l'agenzia on line della conferenza episcopale del suo paese, gli Stati Uniti, ha dichiarato di essere rimasto "flabbergasted", sbalordito dal fatto di dover lasciare l’incarico dopo soli tre anni.
In effetti, nei sette anni del pontificato di Benedetto XVI, Di Noia è il terzo ecclesiastico che lascia l’incarico di numero due di questo dicastero vaticano prima del termine del canonico mandato quinquennale. Un record anomalo. Tanto più che il dicastero in questione è quello che ha competenze specifiche sulla liturgia, una questione che sta massimamente a cuore a Benedetto XVI.
Dal 1996 a oggi la congregazione per il culto divino ha cambiato tre prefetti. Quell’anno, infatti, alla guida del dicastero Giovanni Paolo II chiamò il vescovo cileno Jorge Arturo Medina Estevez che, creato cardinale nel 1998, rimase al suo posto fino al 1° ottobre 2002 quando gli subentrò il cardinale africano Francis Arinze, che vi è rimasto fino al 9 dicembre 2008, quando Benedetto XVI ha chiamato a succedergli l'attuale prefetto, il porporato spagnolo Antonio Cañizares Llovera.
Si è trattato di cambi regolamentari, intervenuti quando i prefetti in questione avevano superato i 75 anni canonici, di otto mesi Medina e di tredici mesi Arinze.
Tali cambi sono avvenuti senza grossi scossoni nella linea di governo. Tutti e tre i prefetti, infatti, sono stati portatori di una correzione di rotta rispetto agli abusi liturgici registrati con la riforma liturgica successiva al Concilio Vaticano II, anche se in modo diverso. Più aggressivo Medina, che nel 2001 volle fortemente l’istruzione "Liturgiam autenthicam" per una più fedele tradizione dal latino, nel 2002 portò a termine una terza "editio typica" latina del Messale Romano e istituì presso la congregazione il comitato "Vox clara" per le traduzioni liturgiche in inglese, come contraltare vaticano all’International Commission on English in the Liturgy, organismo di raccordo tra le conferenze episcopali anglofone – egemonizzato dai progressisti – che fino ad allora ne aveva il monopolio. Più morbido Arinze. Forte nelle parole ma debole nei fatti – almeno finora – Cañizares.
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Diversa è stata invece la successione dei segretari di questa congregazione, molto più tormentata e dibattuta. Va tenuto presente che in un dicastero, se a dare le direttive è il prefetto, è poi il segretario ad avere il potere di metterle in pratica.
Quando Medina divenne prefetto trovò in carica come segretario, dal 1991, il brasiliano Geraldo Majella Agnelo, di vedute alquanto progressiste, il quale ben presto, nel gennaio 1999, venne promosso arcivescovo di Sao Salvador da Bahia e creato cardinale.
Prima però di tornare in Brasile, Agnelo autorizzò – all’insaputa di Medina che era in Cile per le ferie natalizie – il trasferimento dell’intero archivio della congregazione all’Archivio Segreto vaticano, col risultato di renderlo inaccessibile. Alcuni collegarono questa sua iniziativa col fatto che il segretario particolare di Medina aveva pubblicato un libro, basato sui diari inediti del cardinale Fernando Antonelli, molto critico della riforma liturgica e soprattutto del ruolo che vi aveva avuto l’arcivescovo Annibale Bugnini.
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Nel febbraio 1999 venne nominato il nuovo segretario. Era il benedettino italiano Francesco Pio Tamburrino, 60 anni, anche lui progressista, di idee più vicine ad Agnelo che a Medina. Restò in carica poco più di quattro anni, dopodichè, il 2 agosto 2003, venne trasferito all’arcidiocesi – non certo di primo piano – di Foggia-Bovino, dove rimane tuttora.
Al suo posto venne chiamato un altro ecclesiastico, anche lui italiano e anche lui con vedute liturgiche vicine al predecessore. Era monsignor Domenico Sorrentino, 55 anni, che negli anni precedenti aveva collaborato con l’ufficio che redige i discorsi dei pontefici, all'epoca coordinato dall’arcivescovo Paolo Sardi, oggi cardinale.
Ma anche Sorrentino durò poco. Il 19 aprile 2005 era stato eletto papa Benedetto XVI, che mostrava di avere idee molto nette sulla liturgia, simili a quelle di Medina (che forse anche per questo aveva un volto visibilmente soddisfatto quando, da cardinale protodiacono, toccò a lui dare l'annuncio dell'"Habemus papam"). E sette mesi giusti dopo, il 19 novembre, Sorrentino venne mandato a guidare la prestigiosa – ma non cardinalizia – diocesi di Assisi. Era durato poco più di due anni.
Nella conferenza episcopale italiana, sia Sorrentino che Tamburrino fanno parte della commissione per la liturgia, dove non siede invece il vescovo di Albenga Mario Olivieri che da anni è membro della congregazione vaticana per il culto.
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Ma torniamo al 2005. Il 10 dicembre papa Joseph Ratzinger nomina come segretario della congregazione il cingalese Malcolm Ranjith Patabendige Don, 58 anni, richiamandolo dalla nunziatura in Indonesia, dove era stato mandato in “esilio” nell’aprile 2004 dopo una sfortunata esperienza da segretario aggiunto della congregazione "de Propaganda Fide", nella quale non aveva legato con l’allora prefetto, il cardinale Crescenzio Sepe, che Benedetto XVI nominerà arcivescovo di Napoli nel maggio 2006.
Ranjith ha idee molto chiare sulla liturgia, ed è molto stimato anche nel mondo tradizionalista. E così quando nel 2008 arriva dalla Spagna come prefetto Cañizares, con la fama di “piccolo Ratzinger”, i fautori di una "riforma della riforma" in campo liturgico pensano che la congregazione che dovrebbe essere il motore di questa riforma sia finalmente guidata da una coppia di sicura efficacia.
Ma non sarà così. Il 16 giugno 2009, dopo meno di quattro anni, anche Ranjith lascia l’incarico di segretario. Benedetto XVI viene convinto, nonostante il parere contrario di Cañizares, del fatto che la sua presenza sia più importante nella sua patria, lo Sri Lanka, che a Roma nel campo liturgico. E così Ranjith viene nominato, con la malcelata soddisfazione dei progressisti, arcivescovo di Colombo. E al suo posto arriva il domenicano statunitense Di Noia, 66 anni, dal 2002 a Roma come sottosegretario della congregazione per la dottrina della fede, ma ancora non fluente nella lingua di Dante nonostante i genitori italiani.
A Ranjith comunque, a differenza di quanto capitato ai suoi due immediati predecessori, papa Ratzinger non fa mancare l’onore della porpora. Benedetto XVI lo crea cardinale nel primo concistoro utile, quello del 20 novembre 2010. Nessuno dei due precedenti arcivescovi di Colombo erano stati fatti cardinali.
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Con la coppia Cañizares-Di Noia al vertice, la congregazione sembra cadere in un cono d’ombra. Di Noia non ha la determinatezza di un Ranjith. E il cardinale spagnolo – oltre a non nascondere una simpatia per i neocatecumenali che si traduce in indulgenza per le loro strane liturgie – non disdegna di tornare spesso in patria, forse con un occhio a Madrid dove il cardinale Antonio Maria Rouco Varela nel 2014 terminerà il mandato di presidente della conferenza episcopale spagnola e quindi, a 78 anni, dovrebbe lasciare la guida della diocesi.
Così anche l’idea proclamata di costituire nella congregazione per il culto divino un ufficio che si occupi dell’architettura e dell’arte liturgica si affloscia per l'opposizione del cardinale Gianfranco Ravasi – teologicamente e liturgicamente meno in sintonia con Ratzinger di Cañizares – che rivendica al suo pontificio consiglio della cultura, pur di rango inferiore, la competenza sull’argomento.
Ancora una volta, quindi, la congregazione per il culto divino non sembra funzionare. E così, per la quarta volta in sette anni, si assiste a un cambio anzitempo del suo segretario. Di Noia è stato trasferito alla vicepresidenza della pontificia commissione "Ecclesia Dei", incarico non previsto dall’organigramma di questo organismo, ristrutturato nel 2009 col motu proprio "Ecclesiae unitatem", che ha il compito di seguire le comunità tradizionaliste e sanare la frattura col mondo lefebvriano. Incarico di per sé non cardinalizio.
Ed è un cambio che potrebbe ripresentare gli stessi problemi dei precedenti. Il subentrante vescovo inglese Roche, infatti, 62 anni, è pupillo del cardinale emerito di Westminster, il "liberal" Cormac Murphy O’Connor, di cui è stato anche ausiliare. E già in passato, con grande preoccupazione negli ambienti più conservatori della curia romana, il suo nome era circolato per l’incarico ottenuto ora. Va però detto che il modo fermo con cui Roche, da presidente dell'International Commission on English in the Liturgy dal 2003 al 2012, ha difeso la nuova traduzione del messale in inglese, redatta all’insegna di una effettiva maggiore fedeltà alla "editio typica" latina, gli ha guadagnato l’ostilità della componente più progressista dell’episcopato anglofono.
Quando arriverà a Roma, Roche, che ha studiato teologia spirituale alla Pontificia Università Gregoriana nei primi anni Novanta, avrà modo di far conoscere più chiaramente la sua linea.
Sarà interessante, ad esempio, verificare come si confronterà con l’impegno della congregazione nel dare la propria "recognitio", cioè il via libera dopo una revisione, alla traduzione italiana del Messale, che, nella versione approvata dai vescovi della CEI, si discosta dall’originale latino più di quella inglese.
Senza contare, ovviamente, che sarà anche curioso verificare se – dopo i quattro tentativi falliti di Tamburrino, Sorrentino, Ranjith e Di Noia – Roche riuscirà finalmente a portare a termine il proprio quinquennio di nomina.
http://chiesa.espresso.repubblica.it/articolo/1350280
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