ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

domenica 23 settembre 2012

Traduzioni/tradimenti?



Il numero luglio-agosto 2012 della rivista Il Timone contiene un articolo della prof.ssa Ilaria Ramelli, socio onorario della Fraternitas Aurigarum, dal titolo “Gesù: nessuno sgarbo a Maria”; l’articolo è la sintesi di un ampio saggio uscito su una pubblicazione specializzata1. In effetti tale sgarbo ci sarebbe stato se si prestasse fede alla traduzione, dal greco originario, di una risposta data da Gesù a Maria durante la festa di nozze, descritta nel secondo capitolo del Vangelo di Giovanni. Di seguito il capitolo in questione, nella traduzione approvata dalla Conferenza Episcopale Italiana (CEI) nel 2008, con la risposta di Gesù a Maria è evidenziata in grassetto (Gv 2,1-11):

1Il terzo giorno vi fu una festa di nozze a Cana di Galilea e c’era la madre di Gesù. 2Fu invitato alle nozze anche Gesù con i suoi discepoli. 3Venuto a mancare il vino, la madre di Gesù gli disse: «Non hanno vino». 4E Gesù le rispose: «Donna, che vuoi da me? Non è ancora giunta la mia ora». 5Sua madre disse ai servitori: «Qualsiasi cosa vi dica, fatela».
6Vi erano là sei anfore di pietra per la purificazione rituale dei Giudei, contenenti ciascuna da ottanta a centoventi litri. 7E Gesù disse loro: «Riempite d’acqua le anfore»; e le riempirono fino all’orlo. 8Disse loro di nuovo: «Ora prendetene e portatene a colui che dirige il banchetto». Ed essi gliene portarono. 9Come ebbe assaggiato l’acqua diventata vino, colui che dirigeva il banchetto – il quale non sapeva da dove venisse, ma lo sapevano i servitori che avevano preso l’acqua – chiamò lo sposo 10e gli disse: «Tutti mettono in tavola il vino buono all’inizio e, quando si è già bevuto molto, quello meno buono. Tu invece hai tenuto da parte il vino buono finora».
11Questo, a Cana di Galilea, fu l’inizio dei segni compiuti da Gesù; egli manifestò la sua gloria e i suoi discepoli credettero in lui”.
Ugualmente sgarbata suonava la risposta di Gesù nella traduzione dello stesso capitolo, come approvata dalla CEI nel 1974:
4E Gesù rispose: «Che ho da fare con te, o donna? Non è ancora giunta la mia ora»2.
Il commento della Bibbia di Gerusalemme al Vangelo di Giovanni 2,4 alla traduzione CEI del 2008 precisa che la frase: « … che vuoi da me?», se tradotta letteralmente dal greco, sarebbe invece «Che cosa a me e a te?» [in greco, appunto, Ti emoi kai soi gynai]; sempre la Bibbia di Gerusalemme aggiunge che si tratta di un“semitismo piuttosto frequente nell’A.T. (Gdc 11,12; 2Sam 16,10; 2Sam19,23; 1Re17,18; ecc) e nel N.T. (Mt 8,29; Mc 1,24; Mc 5,7; Lc 4,34; Lc 8,28). Lo si usa per respingere un intervento giudicato innopportuno o per manifestare a qualcuno che non si vuole avere con lui alcun rapporto. Solo il contesto consente di precisare la sfumatura esatta”3.
Già il confronto con la traduzione letterale fa vedere come la CEI sia nel 1974 che nel 2008 abbia dato della risposta di Gesù a Maria delle interpretazioni “a senso”, che come spesso avviene in casi del genere sono del tutto opinabili. Rimanendo più aderenti alla traduzione letterale, visto che per renderla più chiara in italiano è necessario aggiungere un verbo, si poteva dire nel testo della CEI del 1974 “che cosa si può fare sia io che te” oppure nel testo della CEI del 2008 “la cosa non ci riguarda”4 .
Anche esaminando due dei passi biblici proposti dalla Bibbia di Gerusalemme in nota a Gv 2,4, si nota come la traduzione avrebbe dovuto avere una “sfumatura differente” rispetto a quella proposta dalla CEI. Riportiamo dapprima il passo 2Sam 16,5-10 dove troviamo il Re Davide che viene insultato da un certo Simei; un seguace del Re chiede di intervenire per metterlo a tacere; in grassetto il dialogo tra questi due ultimi:
5Quando poi il re Davide fu giunto a Bacurìm, ecco uscire di là un uomo della famiglia della casa di Saul, chiamato Simei, figlio di Ghera. Egli usciva imprecando 6e gettava sassi contro Davide e contro tutti i servi del re Davide, mentre tutto il popolo e tutti i prodi stavano alla sua destra e alla sua sinistra. 7Così diceva Simei, maledicendo Davide: «Vattene, vattene, sanguinario, malvagio! 8Il Signore ha fatto ricadere sul tuo capo tutto il sangue della casa di Saul, al posto del quale regni; il Signore ha messo il regno nelle mani di Assalonne, tuo figlio, ed eccoti nella tua rovina, perché sei un sanguinario». 9Allora Abisài, figlio di Seruià, disse al re: «Perché questo cane morto dovrà maledire il re, mio signore? Lascia che io vada e gli tagli la testa!». 10Ma il re rispose: «Che ho io in comune con voi, figli di Seruià? Se maledice, è perché il Signore gli ha detto: «Maledici Davide!». E chi potrà dire: «Perché fai così?»».
Nel greco dei LXX l’inizio della risposta di Davide (quella tradotta con “Che ho io in comune con voi, figli di Seruià”) alla lettera è: “Che cosa a me e voi figli di Seruià”. Una sua migliore traduzione a senso, vista la giustificazione di Davide perché si lasci dire a Simei quello che vuole, sarebbe stata allora:” Cosa possiamo fare io e voi figli di Seruià, se maledice è perché il Signore gli ha detto5 …”
Considerazioni analoghe si possono fare su un altro dei passi citati dalla Bibbia di Gerusalemme a titolo esemplificativo: si tratta della cacciata dei demoni, che possedevano un uomo, descritta nel Vangelo di Marcoal capitolo 5,1-10; la parte che interessa è come al solito in grassetto:
1 Giunsero all’altra riva del mare, nel paese dei Gerasèni. 2Sceso dalla barca, subito dai sepolcri gli venne incontro un uomo posseduto da uno spirito impuro. … 6Visto Gesù da lontano, accorse, gli si gettò ai piedi 7e, urlando a gran voce, disse: «Che vuoi da me, Gesù, Figlio del Dio altissimo? Ti scongiuro, in nome di Dio, non tormentarmi!». 8Gli diceva infatti: «Esci, spirito impuro, da quest’uomo!». 9E gli domandò: «Qual è il tuo nome?». «Il mio nome è Legione – gli rispose – perché siamo in molti». 10E lo scongiurava con insistenza perché non li cacciasse fuori dal paese.
Come prima abbiamo una traduzione a senso dal greco che alla lettera dice: “Che cosa a me e a te6 e che quindi poteva essere tradotto meglio con “Lasciami stare” oppure con “Noi non abbiamo nulla in comune”oppure con “Che vuoi da me?” . Questa due ultime espressioni sono identiche a quelle adottate dalla CEI per la risposta di di Gesù a Maria, rispettivamente nel 1974 e nel 2008. Ma come è evidente il contesto è diverso e quindi la traduzione deve tenerne conto.
In definitiva è proprio il contesto a dare la giusta sfumatura alla frase e quindi alla sua traduzione, come ha dimostrato nel suo saggio, citato alla nota 1, la prof.ssa Ramelli, dissentendo dalle traduzioni della CEI sia del 1974 che del 2008 e arrivando ad affermare: “Il problema risiede nella traduzione dal greco che è sbagliata”.
Oltre al contesto, la prof. Ramelli ha tenuto conto del senso e della logica del racconto evangelico di Giovanni: in primo luogo, fa notare, come sia impossibile che Gesù abbia offeso la Madre pubblicamente, durante un ricevimento al quale era Lei ad essere stata invitata in una posizione di riguardo, come evidenzia il racconto: è anche strano credere che Gesù, nel momento che la offendeva, le avesse dato della Donna, ossia della Signora. Fra l’altro, se si volesse prestare attenzione alla traduzione CEI del 1974: «Che ho da fare con te, o donna?», come osserva argutamente la Prof.ssa Ramelli, può un figlio dire che non ha nulla a che fare con sua madre?
Inoltre il senso della frase di Gesù si può comprendere solo tenendo conto dell’osservazione di Maria (“non hanno più vino!”) e della spiegazione successiva di Gesù (“non è ancora venuta la mia ora”); ci troviamo nello stessa situazione di Davide, quando dice a “cosa ci possiamo fare sia io che te; è Dio che lo ispira”. E, infine, si chiede giustamente la prof.ssa Ramelli, è possibile che il Discepolo prediletto di Gesù, quello che ha accolto sua Madre con sé a partire dal Calvario, nel suo Vangelo abbia voluto ricordare una “sgarberia” del Maestro nei riguardi della Madre?
Molto più importante è il confronto fatto dalla prof. Ramelli tra il testo greco originario e le sue antiche traduzioni in altre lingue antiche7. Essa dapprima afferma che l’espressione Ti emoi kai soi (Che cosa a me e te?) si ritrova nelle lingue semitiche, ma non è esclusivamente loro, tanto da ritrovarsi in un passo di Platone ed in altri scritti greci sia precristiani che postcristiani. La traduzione antica della risposta di Gesù in altre lingue (siriaco, copto, latino) rispetta l’espressione originale meglio delle traduzioni moderne come quelle della CEI del 1974 e del 2008. Anzi fa notare la prof. Ramelli è interessante la traduzione della Vulgata che recita Quod mihi et tibi est, mulier [']; nondum venit hora mea; l’aggiunta del verbo essere dà l’esatta percezione che i latini avevano della risposta di Gesù, certo ben diversa da quella della traduzione CEI.
In definitiva, secondo la prof. Ramelli, la traduzione giusta della frase di Gesù alla Madre dovrebbe essere: “Cosa importa a me e a te, o Donna (Signora); non è ancora giunta la mia ora”.
A conferma di quanto da lei affermato, la prof. Ramelli fa notare che già alcune traduzioni moderne sia in italiano che in francese ed in inglese8 sono coerenti con la sua conclusione.
E’ interessante infine che il prof. Renato De Zan, noto biblista e conoscitore delle lingue aramaica e greca, sia arrivato allo stesso convincimento della prof.ssa Ramelli: infatti nel volume, pubblicato assieme a don Roberto Laurita La Parola della Chiesa – Commento alle letture delle domeniche e delle feste – Anno C, egli scrive:
“La frase di Gesù a sua madre non ha niente di irriverente. Per un semita dire: «Che ho a che fare con te, o donna?» equivale a dire per un occiedentale: «C’è mai stato un contrasto tra noi?», oppure: «E’ una cosa che non dovrebbe interessarci». Chiamare, poi, sua Madre con il nome di gyne, donna, è un modo nobilissimo e profetico : Lei è la donna-madre, che ai piedi della croce accoglierà, come figlia la Chiesa di suo Figlio (Gv 19,26) e, inoltre, Lei è la «donna» annunciata misteriosamente nella «donna» di Genesi 3,15 (il protovangelo)”9.
Salvatore Scuro
NOTE
1Il saggio ha per titolo TI EMOY KAI SOI GYNAI (John 2,4): philological, contextual and exegetical arguments for understanding “What does this matter to me and to you?” ed è stato pubblicato in «Exemplaria Classica», 12 (2008), pp.103-133. Tale saggio è facilmente reperibile nel web.
2Per Giovanni “l’ora di Gesù” è il tempo della sua missione, il tempo in cui Egli compirà “segni” che serviranno ad accreditarlo come il Messia ed il Figlio Dio; è “l’ora” che culminerà sul Calvario e nel Sepolcro, ma che porterà anche alla sua Resurrezione gloriosa (in contrapposizione “all’ora delle tenebre”).
3La Bibbia di Gerusalemme non spende una parola per spiegare il vocativo “donna” utilizzato da Gesù nella sua risposta a Maria, che sembrerebbe rafforzare il supposto sgarbo; è come se Gesù dicesse “Che hai da parlare tu che sei solo una donna”. Si deve precisare, invece, che la donna nell’antico oriente semita godeva di molto rispetto e, inoltre, è proprio con lo stesso appellativo “Donna” che inizia la frase di Gesù appeso alla croce, quando affida il discepolo favorito alla Madre. Il termine greco che viene tradotto con “donna” è gynaivocativo di gyne; a questa voce il Vocabolario della lingua greca di Franco Montanari (Loescher Editore, Torino 1995) precisa che al vocativo significava proprio Signora; era l’equivalente del Domina in latino. Piuttosto sarebbe interessante se qualche buon conoscitore della lingua aramaica potesse ipotizzare quale fosse il termine con cui Gesù si è rivolto nell’occasione a Maria; e se questo termine, reso in greco da Giovanni con gynai, fosse usato per dire donna nel senso di Madre, in senso appunto di rispetto? Questo spiegherebbe bene la frase di Gesù in croce che non sarebbe più “Donna (nel senso di Signoraecco tuo figlio”, ma di “Madre ecco tuo figlio”.
4Non si può nemmeno dire che l’espressione “che cosa a me e a te” sia tipicamente semitica: anche in italiano l’espressione “E a me e a te?” come risposta o commento a qualcosa detto da un interlocutore è chiarissima e di uso corrente, magari accompagnata da un verbo, come nella frase: “E a me e te cosa ne viene?”.
5Il versetto 10 in greco, nella sua interezza, è: καὶ εἶπεν ὁ βασιλεύς· τί ἐμοὶ καὶ ὑμῖν, υἱοὶ Σαρουΐας; ἄφετε αὐτὸν καὶ οὕτως καταράσθω, ὅτι Κύριος εἶπεν αὐτῷ καταρᾶσθαι τὸν Δαυίδ, καὶ τίς ἐρεῖ, ὡς τί ἐποίησας οὕτως.
7La prof.ssa Ramelli conosce numerose lingue antiche, tra le quali l’ebraico, il siriaco, il copto, l’armeno, tanto da essere spesso interpellata per tradurre antichi testi. Numerossissime sono le sue pubblicazioni, la maggior parte delle quali si trova in riviste specializzate.
8Gli esempi di traduzione più vicini al giusto senso, citati dalla prof.ssa Ramelli nel suo saggio, sono quelli:
  • in inglese della New Revised Standard Version (NRSV): “Whoman, what concern is that to you and to me? My hour has not yet come”;
  • in spagnolo della Sagrada Biblia (Facultad de Teología, Universidad de Navarra): “Qué tenemos que ver nosotros?” (che risolve i pronomi emoi kai soi in un pronome plurale);
  • in italiano di Piero Rossano (Vangelo secondo Giovanni, Milano 1984): “E che importa a me e a te?”.
9Anche don Ennio Innocenti sottolinea nel cap. 12 del suo libro sull’Apocalisse (Il senso teologico della storia: breve commento all’Apocalisse, ed. Fraternitas Aurigarum Urbis, Roma 2008) che la Donna è proprio la Madre di Gesù.
Solo per completezza di informazione, vista la discordanza con quanto sostiene la prof. Ramelli, si riporta il commento di Padre Silvano Fausti al dialogo tra Gesù e Maria (Una comunità legge il Vangelo di Giovanni, ed. EDB, Milano 2008, pag. 48): “«Che a me e a te?». La risposta di Gesù è una domanda. L’espressione, a noi oscura, è presa dal linguaggio diplomatico dell’epoca, che significa: «Che c’è tra me e te?». Con queste parole si interpellano due alleati, richiamandosi al patto che esiste tra loro, quando c’è da chiarire qualcosa che lo mette in questione. Non esige risposta; fa solo riflettere sui doveri reciprocamente assunti … «Non è forse ancora giunta la mia ora?»» … alla solita traduzione «non è ancora venuta la mia ora» prefereriamo questa in forma interrogativa. Infatti quanto Gesù dice non è un diniego; lo si vede chiaramente da come lo intende Maria. E’ invece un richiamo al fatto che è giunta l’ora in cui lo Sposo manifesta la sua gloria”.

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