ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

venerdì 19 ottobre 2012

I cinquant’anni del Vaticano II: mezzo secolo catastrofico




Pubblicato sul giornale francese Rivarol

Sono passati cinquant’anni da quel giorno d’ottobre 1962 che vide riuniti nella Basilica di San Pietro, a Roma, 2381 vescovi venuti da ogni parte del mondo – esclusi i paesi comunisti – su appello di Giovanni XXIII, per la cerimonia di apertura del «Concilio Ecumenico Vaticano II», che si svolgerà fino all’8 dicembre 1965. Se si volesse fare un elenco dei principali avvenimenti del XX secolo, ovviamente il Vaticano II vi figurerebbe, per il fatto che esso ha determinato nelle coscienze, nei costumi e nelle istituzioni dei rovesciamenti fondamentali che ancora oggi non abbiamo valutato in maniera sufficiente.
Questa assemblea di vescovi che, a differenza dei venti concilii ecumenici da Nicea al Vaticano I, non ha definito né esplicitato dei dogmi, né ha proceduto per canoni e anatemi, ha aperto la via ad una nuova religione che continua a portare il nome di cattolica, ma la cui sostanza e le cui finalità non sono affatto le stesse.
È un caso che fin dall’inizio i settatori del Vaticano II, come il cardinale Benelli, abbiano parlato di «Chiesa conciliare» o, come Paolo VI, di «nuova Pentecoste»? Così, il cardinale Suenes sottolineava che «il Vaticano II è il 1789 della Chiesa», mentre il Padre Congar aggiungeva eloquentemente che col Concilio «la Chiesa aveva compiuto pacificamente la sua rivoluzione d’Ottobre». Espressioni che dimostrano che il Vaticano II segna una rottura radicale con quasi 2000 anni di cattolicesimo e inaugura una nuova religione: quella dell’umanità.

Il culto dell’uomo

Il Concilio ha introdotto un nuovo modo di porsi davanti a Dio. Considerando che l’uomo è cambiato, i Padri conciliari ne dedussero che bisognava modificare il rapporto tra l’uomo e Dio, passando dal teocentrismo all’antropocentrismo. Inversione radicale dei fini: la religione non più al servizio di Dio, ma al servizio dell’umanità. «L’uomo è la sola creatura che Dio abbia voluto per se stessa», «Tutto quanto esiste sulla terra deve essere riferito all'uomo, come a suo centro e a suo vertice», osa dichiarare la costituzione Gaudium et spes.
E Paolo VI, nel suo sorprendente discorso di chiusura del Vaticano II, arriverà a dire: «La religione del Dio che si è fatto Uomo s’è incontrata con la religione (perché tale è) dell’uomo che si fa Dio. […] anche noi, noi più di tutti, siamo i cultori dell’uomo».

Se quest’ultimo è il fine e il vertice di tutto, evidentemente bisognerà ripensare tutta la teologia cattolica. La Chiesa conciliare si è definita come un mezzo, un’istituzione (tra molte altre), un segno al servizio dell’uomo. È la famosa teoria della Chiesa sacramento. Giovanni Paolo II potrà così dire che «la Chiesa ha rivelato l’uomo a se stesso» o anche che «l’uomo è il cammino della Chiesa».
Se le cose stanno così, si comprende allora come la liturgia abbia per obiettivo la celebrazione dell’umanità, soggetto del rito sacro e del sacerdozio.
Da qui, gli altari rivolti all’assemblea dei fedeli, di cui il prete è l’animatore, la nuova Messa essendo democratica e non gerarchica.
Da qui il rigetto del carattere propiziatorio del santo Sacrificio della Messa. La «Messa di Lutero» (diceva Mons. Lefebvre), che studi attenti hanno dimostrato essere di origine, non solo protestante, ma talmudica, si definisce come la «sinassi sacra dei fedeli», come dice l’articolo 7 dell’Istituzione del Novus Ordo Missae di Paolo VI. La cosiddetta celebrazione dell’Eucarestia non è più il memoriale della Croce, ma quello della cena. È la dottrina della Messa-pasto.

Al servizio del mondialismo

Secondo questa nuova teologia, il regno di Dionon è più la Chiesa cattolica, ma l’umanità intera.
La missione della Chiesa conciliare sarà allora quella di preparare l’avvento del regno temporale verso cui convergono tutte le religioni, poiché in effetti il genere umano tende ad una crescente unità, i cui segni sono «la socializzazione di tutte le cose, la condivisione delle ricchezze, la rivendicazione dei diritti dell’uomo».
Il ruolo della nuova Chiesa si riduce nell’accelerare questo processo di unificazione. È così che si giustificano il dialogo interreligioso e l’ecumenismo liberale, che sono al servizio di una pace in divenire. Da cui le assemblee sincretiste come Assisi, o di massa come le giornate mondiali della gioventù (GMG) destinate, secondo i disegni dell’ONU, a preparare l’avvento di un mondialismo politico-religioso, cioè un governo mondiale e una religione anch’essa mondiale confinata nel ruolo di animatrice della democrazia universale.
In questo schema, la regalità sociale di Gesù Cristo appare evidentemente obsoleta. Così la Chiesa conciliare si allea con entusiasmo alla laicità dello Stato e quando occorre impone tale alleanza con la forza, come in Spagna (1967) e in Colombia (1973), le quali, su richiesta espressa di Paolo VI, abbandonarono le loro costituzioni cattoliche.

Questa unità spirituale del genere umano si declina in diversi gradi di comunione, in molteplici cerchi concentrici; le coscienze sono più o meno informate dalla fede, ma nessuno può essere escluso, poiché «il Figlio di Dio si è unito in certo modo ad ogni uomo» (Gaudium et spes). E allora, per essere salvati, non c’è più bisogno di essere battezzati e di credere. La questione della salvezza e della dannazione ha perso ogni urgenza e perfino ogni senso. E infatti la pastorale conciliare fa a meno del peccato originale e della degradazione della natura umana. La salvezza non è altro che una presa di coscienza personale, dal momento che l’uomo afferma la sua straordinaria dignità.
Questo significa che il Vaticano II è in totale rottura, non solo con la Tradizione cattolica, ma più in generale con la religione cattolica, poiché questo Concilio consiste  nell’esaltare la persona umana e nell’assicurare l’unità del genere umano.

La genesi del Concilio

Qual è stato lo svolgersi degli avvenimenti che hanno condotto ad una tale rivoluzione copernicana? In effetti, tutto ha inizio con l’elezione, all’undicesimo scrutinio, del Patriarca di Venezia Angelo Giuseppe Roncalli, 77 anni, avvenuta diciannove giorni dopo la morte di Pio XII, il 28 ottobre 1958. È questi che, in maniera molto rivelatrice, prende il nome di un anti-papa del Medio Evo implicato nel grande scisma d’Occidente, Giovanni XXIII, ed è lui che intende rompere spettacolarmente con i grandi orientamenti definiti da Pio XII.
Roncalli mette in opera una strategia che sfocerà in ciò che si chiamerà «aggiornamento», cioè nella rivoluzione nella Chiesa.

Appena eletto, quello che sarà chiamato dai media «il papa buono», riceve significativamente i più vivi incoraggiamenti dai principali nemici della Chiesa cattolica. Yves Marsaudon, nel suo libro L’ecumenismo visto da un massone di tradizione, scrive: «Subito abbiamo avuto la grande gioia di ricevere entro 48 ore la conferma di ricezione delle nostre rispettose felicitazioni. Per noi fu una grande emozione, ma per molti nostri amici fu un segno».
Del pari, Giovanni XXIII riceve le felicitazioni del grande rabbino di Israele Isaac Herzog, dell’arcivescovo anglicano Geoffroy Fischer, di Paul Robinson, presidente delle chiese federate, e infine del capo della Chiesa ortodossa russa, il patriarca Alexis.

Il 25 gennaio 1959, meno di tre mesi dopo la sua elezione, Roncalli annuncia pubblicamente, nella Basilica di San Paolo fuori le Mura, la convocazione del «Concilio Ecumenico Vaticano II». Anche Pio XII aveva pensato di convocare tale assemblea, ma, di fronte ai rischi dell’iniziativa, si era rapidamente ricreduto: «Sento intorno a me dei novatori – diceva – che vogliono smantellare la sacra Cappella, distruggere la fiamma universale della Chiesa, rigettare i suoi ornamenti, farle provare rimorso per il suo passato storico… Giorno verrà che il mondo civilizzato rinnegerà il suo Dio, che la Chiesa dubiterà come ha dubitato Pietro. Sarà tentata di credere che l’uomo sia divenuto dio, che il Figlio di Dio sia solo un simbolo, un filosofo come tanti altri, e nelle chiese i cristiani cercheranno invano la lampada rossa ove li attende Dio e come la peccatrice davanti alla tomba vuota grideranno: dove l’hanno messo?» (Mons. Roche, Pio XII davanti alla storia).

Pio XII e Giovanni XXIII erano entrambi al corrente di questa situazione prerivoluzionaria nella Chiesa, ma mentre il primo non voleva cedere alle sirene della novità, il secondo ardeva dal desiderio di trasformare tutto. Convocare un concilio il 25 gennaio 1959, non era dunque un atto innocente, poiché questa data corrispondeva alla chiusura della settimana di preghiera per l’unità dei cristiani. Il concilio dunque non sarà ecumenico (cioè universale, come lo furono i venti concilii da Nicea al Vaticano I), ma ecumenista. Del resto, l’anno seguente, il 5 giugno 1960, Giovanni XXIII creerà un Segretariato per l’unità dei cristiani e ne affiderà la direzione al cardinale Bea, che è direttamente all’origine del decreto del Vaticano II sull’ecumenismo, il quale rompe radicalmente col magistero anteriore.

In occasione dell’apertura del Concilio, Giovanni XXIII pronunciò un discorso che fece scalpore, nel quale egli dichiarava la sua “fede” nell’avvenire e nel progresso. A cinquant’anni di distanza, questo vistoso ottimismo appare totalmente fuori luogo. Basta leggerlo: «Nelle attuali condizioni della società umana essi non sono capaci di vedere altro che rovine e guai; vanno dicendo che i nostri tempi, se si confrontano con i secoli passati, risultano del tutto peggiori; […] A Noi sembra di dover risolutamente dissentire da codesti profeti di sventura, che annunziano sempre il peggio, quasi incombesse la fine del mondo.
 […] la Chiesa… ha bisogno di guardare anche al presente, che ha comportato nuove situazioni e nuovi modi di vivere, ed ha aperto nuove vie all’apostolato cattolico».

Una rottura radicale

Così era pronto lo scenario per la più grande rivoluzione che la Chiesa abbia subito dalla sua nascita. Tra i 2381 vescovi presenti, solo tre o quattrocento Padri conciliari (tra cui Mons. Lefebvre e Mons. de Castro Mayer) tentarono di resistere gli assalti dei modernisti, raggruppandosi nel Coetus Internationalis Patrum, ma questa battaglia non fu coronata dal successso. La minoranza attiva  era tanto abile nella manipolazione delle masse e tanto esperta nelle formule volutamente equivoche, per quanto potesse contare, cosa essenziale, su un alleato indispensabile nella persona di Giovanni XXIII e, a partire dal 1963, del suo successore Paolo VI.

Occorrerebbero degli Studi dettagliati – in questi ultimi decessi non ne sono mancati -  per analizzare, dissezionare, commentare le quasi duemila pagine di documenti firmati dai Padri conciliari e “promulgati” da Paolo VI il 7 dicembre 1965, e anche per spiegare l’assenza di autorità e di legittimità del Vaticano II e degli uomini in bianco che vi si appellano.
A buon diritto si può considerare che il Vaticano II in realtà è stato un conciliabolo e non un vero concilio, tanto i suoi decreti hanno rotto con il magistero tradizionale.
È chiaro che il Vaticano II ha voluto far passare la Chiesa dal teocentrismo all’antropocentrismo. E a questo proposito non v’è nulla di più eloquente del discorso di chiusura di Paolo VI: «La Chiesa del Concilio, sì, si è assai occupata, oltre che di se stessa e del rapporto che a Dio la unisce, dell’uomo, dell’uomo quale oggi in realtà si presenta: l’uomo vivo, l’uomo tutto occupato di sé, l’uomo che si fa soltanto centro d’ogni interesse, ma osa dirsi principio e ragione d’ogni realtà. […] L’umanesimo laico profano alla fine è apparso nella terribile statura ed ha, in un certo senso, sfidato il Concilio. La religione del Dio che si è fatto Uomo s’è incontrata con la religione (perché tale è) dell’uomo che si fa Dio. Che cosa è avvenuto? uno scontro, una lotta, un anatema? poteva essere; ma non è avvenuto. L’antica storia del Samaritano è stata il paradigma della spiritualità del Concilio. Una simpatia immensa lo ha tutto pervaso. La scoperta dei bisogni umani (e tanto maggiori sono, quanto più grande si fa il figlio della terra) ha assorbito l’attenzione del nostro Sinodo. Dategli merito di questo almeno, voi umanisti moderni, rinunciatari alla trascendenza delle cose supreme, e riconoscerete il nostro nuovo umanesimo: anche noi, noi più di tutti, siamo i cultori dell’uomo.»

Il 1789 nella Chiesa

Quello che si può legittimamente dire è che la gerarchia della Chiesa ha rinunciato ad essere segno di contraddizione, aprendosi totalmente al mondo, cioè all’errore, alla menzogna e all’apostasia, voltando le spalle agli ammonimenti dell’Apostolo Giacomo, che nella sua Lettera grida a voce alta: «Gente infedele! Non sapete che amare il mondo è odiare Dio? Chi dunque vuole essere amico del mondo si rende nemico di Dio». Per ciò stesso, la Chiesa cattolica s’è eclissata, è stata affossata, cedendo il posto alla chiesa conciliare e alla sua «rivoluzione d’ottobre».

Infatti, il Vaticano II  è riuscito a mettere in pratica la divisa della rivoluzione: la “libertà” è stata introdotta  con la libertà religiosa o la libertà delle religioni, che mette sullo steso piano l’errore e la verità, e promuove la laicità dello Stato negando nel contempo il regno sociale di Gesù Cristo; l’“uguaglianza” è stata insinuata con la collegialità e il velenoso principio dell’egualitarismo democratico (con le conferenze episcopali, il vescovo non è più il maestro della sua diocesi, mentre con i consigli parrocchiali, il parroco non lo è più nella sua parrocchia, ecc.); infine la “fraternità” è stata raggiunta sotto la forma dell’ecumenismo liberale che abbraccia tutti gli errori e le eresie e tende la mano a tutti i nemici della Chiesa cattolica, a cominciare dai Giudei considerati come «fratelli maggiori».
La Chiesa conciliare arriva perfino ad insegnare che l’Antica Alleanza sarebbe sempre valida e che non è stata sostituita dalla Nuova Alleanza, cosa che sta a significare, a rigore di logica, che la venuta di Cristo sulla terra, la sua Passione, la sua Morte e la sua Resurrezione in definita sarebbero inutili.

L’accademico Jean Guitton, confidente ed amico di Paolo VI, amava ripetere che il Vaticano II segnava la sparizione (almeno apparente) della Chiesa cattolica e la sua sostituzione con la Chiesa romana ecumenica. Infatti, la nuova Chiesa conciliare non possiede alcuno dei quattro attributi che permettono di riconoscere a colpo sicuro la Chiesa cattolica: non è né “una”, perché è democratica e pluralista (ad ogni prete la sua eresia), né “santa”, poiché, creando i nuovi riti dubbi, cioè per la più parte invalidi (soggetto essenziale di cui non ci si preoccupa abbastanza), ha profondamente alterato i sacramenti, accanendosi ad ostruire i canali della grazia santificante; né “cattolica”, poiché è ecumenica e rompe radicalmente col magistero anteriore; né “apostolica”, poiché non ha la fede degli Apostoli.

In questa gigantesca impresa di distruzione niente è rimasto intatto: né la liturgia, desacralizzata; né il catechismo tradizionale, vietato e rimpiazzato da un vago catechismo dei diritti dell’uomo ed ecumenista; né le costituzioni religiose; né l’abito ecclesiastico; né gli Stati, i sindacati, le scuole e i partiti cristiani, tutti chiamati a cambiare pelle.
A nuova Chiesa corrispondono nuovo sacerdozio, nuova ecclesiologia, nuova Messa, nuovo catechismo (prima Pietre viventi, 1968, poi Catechismo della Chiesa Cattolica, 1992); nuovi sacramenti; nuove comunità; nuova Via Crucis (1991); nuovo Rosario (2002); nuovo Codice di Diritto Canonico (1983); nuovo rito per le ordinazioni (1968); nuovo battesimo (1969); nuova cresima (1971); nuova estrema unzione (1972); nuova confessione (1973); nuovo breviario (1970); nuovo calendario liturgico (1969); nuovi oli santi (1970); nuovo Padre Nostro (1966); nuovo Credo (ove si è sostituita l’espressione «consustanziale al Padre» con «della stessa natura del Padre). Tutto è stato detto sulle origini talmudiche della sinassi voluta da Paolo VI, sull’abbandono del carattere propiziatorio del santo sacrificio della Messa, sull’eterodossia del nuovo Codice di Diritto Canonico del 25 gennaio 1983, che tolse la scomunica ai massoni. 
E perfino la stessa morale ne è risultata corrotta: con l’inversione del fini del matrimonio, con l’abbandono del principio tradizionale dell’autorità dell’uomo sulla donna, con i discorsi sconcertanti tenuti da tanti chierici senza che qualcuno li abbia mai sanzionati.

In una volontà satanica di distruzione, sono state anche coinvolte le congregazioni religiose, le cui costituzioni sono state tutte profondamente modificate, comprese quella dei Certosini che non era mai stata rivista fin dal tempo del loro fondatore San Bruno. E sono state trasformate le stesse chiese: l’altar maggiore rivolto verso Dio è stato sostituito da una semplice tavola orientata verso l’assemblea; il prete (o ciò che sta al suo posto) è stato ridotto al ruolo di animatore e di presidente di una cerimonia secolarizzata. I confessionali sono stati messi da parte e spesso ridotti ad armadi per le scope. La cattedra è stata soppressa o anch’essa messa da parte, indizio simbolico della rinuncia al potere di insegnamento della Chiesa, poiché nella religione conciliare non si è più nel quadro della Chiesa maestra di verità che insegna al mondo la via la verità e la vita, ma si è nel quadro di una Chiesa informata dal mondo, che apprende dal rapporto con esso e reagisce all’unisono. Si tratta di mettere in essere le condizioni per un mondialismo politico religioso; infatti, nel nuovo ordine mondiale le religioni, poste su un piano di parità, sono solo semplici animatrici e zelanti propagandiste della democrazia universale e dei suoi idoli: la dichiarazione dei diritti dell’uomo, il filosemitismo, la tolleranza eretta ad assoluto, il laicismo, la libertà di coscienza e di culto, l’antirazzismo unilaterale e obbligatorio, la lotta accanita contro tutte le discriminazioni, perfino quelle naturali e legittime.

Nuovi orientamenti politici

Da qui gli orientamenti politici della nuova Chiesa, compagna di strada del comunismo, del socialismo, della massoneria, delle organizzazioni giudaiche e antirazziste, in breve dei nemici tradizionali e secolari della Chiesa cattolica.
Quindi nessuno stupore che l’episcopato francese abbia sempre preso violentemente posizione contro la destra nazionale, preferendo sostenere le forze responsabili dell’aborto legalizzato e rimborsato, della disgregazione della famiglia, della instaurazione dei Pacs, della generalizzazione della pornografia e della lussuria.
E ancor più nessuno stupore se questa nuova Chiesa, dopo aver favorito la decolonizzazione e dimostrata molta più mitezza per gli assassini e per i terroristi del FLN che per i rimpatriati e i sostenitori dell’Algeria francese, sia uno dei più accalorati sostenitori dell’immigrazione di massa, essenzialmente maomettana, che non cessa di riversarsi nel nostro paese e nel nostro continente. Dopo aver tradito Dio e il suo Vangelo, questa gerarchia ha logicamente tradito la patria.
Il Vaticano II, che è rimasto muto sul comunismo mentre ancora faceva milioni di morti, ha messo in essere un’apertura al mondo che di fatto è un’apertura unilaterale alla sinistra.
Da qui, la teologia della liberazione nell’America del Sud; la simpatia incessante manifestata verso il marxismo, il sinistrismo (ci si ricordi della dichiarazione dei vescovi di Francia che approvava calorosamente il maggio 1968), il femminismo (l’episcopato modernista si rallegrò nel 2000 per l’approvazione della parità), l’invasione straniera.
Poiché la religione del Vaticano II consiste nell’abbracciare, e se possibile superare, tutte le mode, nell’adattarsi al mondo moderno e nell’inginocchiarsi, ammirata, davanti all’umanità deificata.
Debole con i forti, i delinquenti, gli immigrati irregolari, essa è implacabile con i deboli, con i perseguitati, gli emarginati. Non un solo prelato ha denunciato il trattamento inflitto al novantenne Maurice Papon o ai revisionisti caricati di multe e messi in prigione. Non un solo mitrato si è dissociato dalle campagne di odio contro il Presidente del Fronte Nazionale, neanche in occasione delle manifestazioni alle presidenziali del 2002, ove venivano scanditi slogan come «per Le Pen una palla, per il FN una raffica» o «Le Pen, fascista, bastardo, il popolo avrà la tua pelle».
Al contrario, la nuova Chiesa si vuole capofila nella lotta antirazzista, antifascista e antirevisionista. Perché nella Chiesa conciliare è pienamente permesso contestare le verità di fede o i precetti della morale, ma guai a contestare il dogma dell’olocausto, come testimonia il caso Williamson. Per un seminarista è meglio negare la perpetua verginità di Maria, che esprimere un dubbio sulla Shoah. Serva dell’umanità, la contro-Chiesa del Vaticano II è in effetti uno dei guardiani che vigilano sulla contro-religione dell’olocausto. La Chiesa, che non è più cattolica, è divenuta democratico-olocaustica, poiché la natura aborre il vuoto. Ora, o la Shoah o la Croce, bisogna scegliere!

Le cause di questo capovolgimento

Evidentemente, resta da chiedersi come sia stato possibile un tale capovolgimento e come mai abbia suscitato così poca resistenza. Non è semplice rispondere a queste domande.
A buon diritto si può chiamare in causa la potenza giudaica e il suo braccio armato che è la massoneria: si pensi per esempio alla lettera scritta nel 1824 da un alto dignitario dell’Alta Vendita dei Carbonari, che giunse provvidenzialmente nelle mani di Leone XII: «Quello che noi dobbiamo cercare ed aspettare, … si è un Papa secondo i nostri bisogni. […] Or dunque, per assicurarci un Papa secondo il nostro cuore, si tratta prima di tutto, di formare, a questo Papa, una generazione degna del regno che noi desideriamo. Lasciate in disparte i vecchi e gli uomini maturi; andate, invece, diritto alla gioventù, e, se è possibile, anche all'infanzia. […] È alla gioventù che bisogna rivolgersi, è questa che dobbiamo condurre, senza che se ne accorda, sotto le bandiere delle società segrete. Una volta affermata la vostra reputazione nei collegi, nei ginnasi, nelle università e nei seminari, una volta che avrete acquistato la fiducia dei professori e degli studenti, fate in modo che coloro che si impegnano principalmente nella milizia clericale amino cercare i colloqui con voi […] Questa reputazione permetterà alle nostre dottrine di giungere al giovane clero, come nei conventi. Nel giro di qualche anno, questo giovane clero, per forza di cose, svolgerà tutte le funzioni: governerà, amministrerà, giudicherà, farà parte del consiglio dei sovrani, sarà chiamato a scegliere il Pontefice, e questo Pontefice, come la più parte dei suoi contemporanei, sarà più o meno imbevuto dei principi umanitari che incominceremo a mettere in circolazione […] Che il clero marci sotto le vostre bandiere, credendo di marciare sempre sotto le bandiere dei capi apostolici. Approntate le vostre reti come Simon Barjona: nelle sagrestie, nei seminari e nei conventi, piuttosto che in mare, e se non avrete fretta vi promettiamo una pesca più miracola della sua […] Instillate il veleno nei cuori che avete scelto, a piccole dosi, come per caso, dopo sarete stupiti del vostro successo […] Avrete predicato una rivoluzione in cappa e tiara, marciando con la croce e la bandiera, una rivoluzione a cui basterà solo una piccola spinta per mettere fuoco ai quattro angoli del mondo […] Ciò che dobbiamo chiedere innanzi tutto, ciò che dobbiamo cercare e attendere, come i Giudei che aspettano il Messia, è un papa secondo i nostri bisogni. Inoculate nelle menti i germi dei nostri dogmi, così che preti e laici si persuadano che il cristianesimo è una dottrina essenzialmente democratica».

Ma la spiegazione ricavata dalle potenze occulte, per pertinente che sia, non esaurisce l’argomento. Non si può passare sotto silenzio lo stato del mondo nel momento in cui i Padri conciliari si riunirono nel 1962.
La vittoria del 1945 delle democrazie alleate all’Unione Sovietica, ha incontestabilmente creato un’atmosfera molto sfavorevole al compimento della Chiesa e dei valori cristiani.
L’edonismo generalizzato, l’individualismo esasperato, l’egualitarismo forsennato, il materialismo radicale della democrazia liberale e del comunismo ateo, non potevano che influire negativamente sugli uomini di Chiesa, come sull’insieme dei cattolici.
Più generalmente, il fatto che le istituzioni non fossero più cristiane da molto tempo in quasi tutti i paesi del globo, e singolarmente nella più parte dei paesi d’Europa, non poteva certo aiutare ad accrescere l’influenza della Chiesa.
Il Vaticano II si inscrive in un mondo già fortemente decristianizzato e ferito da due sanguinose guerre mondiali. In un secolo e mezzo, la Rivoluzione francese aveva avuto il tempo di inoculare il veleno delle sue idee all’intera Europa, se non all’intera terra, veleno aggravato dalla vittoria del protestantesimo anglosassone e del comunismo ateo nel 1945.
Infine, il dominio sempre più arrogante della tecno-scienza ha creato un ambiente molto sfavorevole all’irraggiamento della Chiesa.
Senza dubbio bisognerebbe risalire al Rinascimento e al suo umanesimo per spiegare la genesi delle idee che hanno trionfato al Concilio. Se la Chiesa ha resistito agli assalti del protestantesimo  nel XVI secolo, del giansenismo nel XVII secolo, del naturalismo filosofico nel XVIII secolo, del liberalismo nel XIX secolo e del modernismo nella prima metà del XX secolo, fu proprio quest’ultima eresia, stigmatizzata da San Pio X nella magistrale enciclica Pascendi (1907), che finì col sedurre la quasi totalità della gerarchia cattolica.

I frutti velenosi dell’aggiornamento

I frutti di questa sovversione religiosa e politica, dottrinale e pastorale non si sono fatti attendere: crollo delle vocazioni religiose e sacerdotali, cedimento della pratica religiosa, crescita vertiginosa dell’indifferentismo religioso, del relativismo morale, dello scetticismo filosofico.
A partire circa dal 1960, le nuove generazioni vengono allevate in un’ignoranza totale della religione, la trasmissione non si effettua più. Il deposito della fede non è salvaguardato da coloro che avevano il dovere sacro di custodirlo.
Da qui, niente di sorprendente se da mezzo secolo la Chiesa cattolica è affossata, occupata, occultata ed eclissata dal modernismo trionfante, se noi viviamo quindi tempi anticristici, se la società si è completamente decomposta, liquefatta.
In cinquant’anni il mondo è cambiato più che in duemila anni. Abbiamo abbandonato la civiltà edificata in secoli di sforzi, di sacrifici, di devozione, per una barbarie infinitamente peggiore di quella di una volta. 
Il nostro mondo ha rigettato con ostinazione la verità conosciuta. Ora, come profetizzava il cardinale Pie: «allorché il Buon Dio non regna con la sua presenza, regna con tutte le calamità legate alla sua assenza».

Un tempo, anche quelli che non erano cristiani, perfino quelli che professavano a gran voce di rigettare Cristo e la sua legge, erano loro malgrado impregnati dei valori cristiani. Sapevano che significava la parola data, l’onore, la fedeltà, il coraggio, la cortesia, l’eroismo, la virtù. Oggi, tutte le parole sono truccate.
Per un bambino di sette anni la parola “amore” è già irrimediabilmente insozzata.
L’uomo moderno non è più collegato a niente, se non al suo telefono portatile e a Internet. Ogni riferimento trascendentale gli è estraneo.
Volendo sopprimere Dio, per ciò stesso si è soppressa la morale.
Da cui, una marea di odio, di violenza e di nichilismo.
Da cui, le famiglie divise, frammentate, scomposte, ricomposte.
Da cui, i bambini abbandonati a se stessi.
Da cui, l’avanzare della droga e della pornografia.
Da cui, il trionfo satanico di tutte le perversioni: matrimoni omosessuali, teoria del gender, ributtanti gay pride che ogni anno riuniscono un gran numero di partecipanti, ecc.
Da cui, il ricorso massiccio agli antidepressivi e agli ansiolitici, agli psichiatri e ai maghi.
Da cui il contagio del suicidio.
Da cui il regno del niente, il trionfo insolente della menzogna e di Mammona.
In questo momento, stiamo vivendo tre episodi del Vecchio Testamento: la torre di Babele, il vello d’oro e Sodoma e Gomorra. 
Come fare a non pensare che se la Chiesa cattolica non fosse stata tradita da quelli stessi che avevano il compito di presidiare in terra alla sua perennità, non saremmo a questo punto?

Tempi apocalittici e anticristici

Infine, ci si può chiedere se il Vaticano II non segni il punto d’arrivo di un incessante indietreggiare della Chiesa cattolica che dura ormai da diversi secoli.
Nell’XI secolo, l’Oriente ha abbandonato la comunione con la Chiesa cattolica, con lo scisma ortodosso;
nel XVI secolo, l’eresia protestante ha interessato metà dell’Europa;
il giansenismo ha pervertito il XVII secolo;
il naturalismo e la filosofia dei lumi nel XVIII secolo hanno sconvolto le stesse fondamenta della società;
il liberalismo politico e filosofico, combattuto dal Syllabus e da tutti i papi, da Pio VI a Pio XII, ha marchiato con la sua detestabile impronta il XIX secolo;
e molto logicamente il modernismo è stato ed è l’eresia del XX secolo e dell’inizio di questoXXI secolo.
Tuttavia, malgrado i colpi inflittole, malgrado i suoi indietreggiamenti e le sue disfatte, la Chiesa non abbassava le braccia.  Ciò che perdeva in Europa, lo guadagnava grazie all’evangelizzazione del nuovo mondo e in seguito dell’Asia e dell’Africa. Venivano alla luce nuove congregazioni religiose, altri istituti educativi.

La novità, dal 1960, è che non si tratta di più di una crisi di crescita, ma di una vera e propria crisi di coscienza. Se il Vaticano II è stato possibile e se vi sono state così poche reazioni, senza dubbio è perché le credenze erano divenute superficiali, se non fittizie, puramente esteriori. Molti bruciavano dalla voglia di disfarsi di una morale giudicata ringhiosa, di dogmi contrari allo spirito progressista e razionalista, di un’obbedienza a Cristo e alla sua legge vissuta come eccessivamente coercitiva.

Sorge quindi una nuova domanda: come uscire da questa crisi?
Sembra vano sperare ad un ritorno dei modernisti alla fede cattolica, dopo che hanno commesso il peccato irremissibile di combattere la verità conosciuta, peccato contro lo Spirito Santo, e dopo che si rifiutano di vedere i disastri che le loro eresie e la loro apostasia non cessano di generare.
Per di più, i modernisti sono riusciti a neutralizzare quasi tutte le resistenze, i gruppi detti tradizionalisti si riuniscono uno dopo l’altro alla Roma apostata o ardono dal desiderio di trovare un accordo con quelli stessi che distruggono la fede. Prima di loro, la quasi totalità dei vescovi conservatori raggruppati nel Coetus Internationalis Patrum, aveva finito con l’accettare il Vaticano II e le riforme che ne sono derivate, innanzi tutto firmando i decreti del conciliabolo nel 1965 e poi applicando la rivoluzione conciliare nelle loro rispettive diocesi.

La crisi spaventosa che viviamo ha un’evidente dimensione escatologica, bisogna essere ciechi o in male fede per ignorarlo. Se San Paolo ha predetto a Timoteo che «verranno giorni in cui gli uomini non sopporteranno più la sana dottrina», se il cardinale Pie ha profetizzato che «la Chiesa sarà ridotta a delle dimensioni individuali e domestiche», se la Santa Vergine ha detto a Melania, a La Salette, che «Roma perderà la fede e diventerà la sede dell’Anticristo», se nella versione integrale dell’esorcismo di Leone XIII, è detto che «là dove fu istituita la sede di beato Pietro e la cattedra della Verità, là essi hanno posto il trono della loro abominazione dell’empietà, di modo che colpito il pastore, il gregge possa essere disperso», se con la sinassi di Paolo VI noi vediamo «l’abominazione della desolazione nel luogo santo» (Mt. 24, 15), è tuttavia vero che Cristo, capo della Chiesa, ha promesso all’istituzione che ha fondato l’indefettibilità, ed è in forza di questa promessa divina che, malgrado le tenebre attuali, le rovine che si accumulano dappertutto, i cristiani fedeli conservano nel cuore un’invincibile speranza soprannaturale. Certi che il ritorno di Cristo che distruggerà l’Anticristo con «il soffio della sua bocca» (II Ts, 2, 8), al momento della Parusia renderà a ciascuno ciò che gli è dovuto e metterà fine definitivamente ai tempi apocalittici che stiamo vivendo.

di Jérôme Bourbon

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