“La Chiesa è intransigente sui princìpi, perché crede, ma è tollerante nella pratica, perché ama. I nemici della Chiesa sono invece tolleranti sui princìpi, perché non credono, ma intransigenti nella pratica, perché non amano” (R. Garrigou-Lagrange)
Siete papisti? Avete l’imperdonabile colpa di non
discostarvi nel vostro pensiero da quanto afferma il Catechismo della Chiesa
Cattolica? Bene, allora sarete sicuramente fragili e insicuri, fissati sulle
nozioni che vi hanno inculcato da bambini, ignoranti e incapaci di
approfondimento intellettuale. Non a caso, siete tutti di destra e pronti a
subire il richiamo di populismi e totalitarismi. Insomma, siete fascisti. Ma non basta:
essendo clericali e bigotti, siete pure ipocriti, insoddisfatti e sessualmente
repressi. A dirla tutta, non è neanche tanto sicuro che voi siate
veramente cristiani.
Quante volte vi sarà capitato di ascoltare certe scempiaggini? Finché a vomitarle sono gli Odifreddi di turno, uno fa
una scrollatina di spalle e passa oltre. Come ha scritto Gómez Dávila, “ciò che
si pensa contro la Chiesa è privo di interesse, se non lo si pensa da dentro la
Chiesa”. Quando, però, ad affermare le enormità di cui sopra sono certi catto-progressisti, come capita ultimamente, bisogna fermarsi un attimo a riflettere. Leggendo le parole di questi
“cattolici democratici”, prendendo atto dell’astio con cui
vengono vergate, si può anzitutto avere un saggio di ciò che essi intendano con
quella “carità evangelica” di cui si riempiono continuamente la bocca. Non che non conoscessimo, d’altra parte, il
trattamento di cui sono vittime sacerdoti e fedeli “tradizionalisti”, cioè semplicemente
di sana dottrina, nelle diocesi guidate dai loro caporioni. Ma non
abbandoniamoci al vittimismo e procediamo oltre.
Noi “papisti”, dunque, saremmo chiusi,
intolleranti, vincolati a un legalismo fanatico e ipocrita: infatti – è
la classica accusa – non siamo stati realmente toccati dalla grazia di
Cristo, né
illuminati dallo Spirito (viene da pensare che a certa gente troppa
“illuminazione”
abbia forse fulminato il cervello…). La testolina di questi
censori non viene neanche sfiorata dal pensiero che nella storia i
“papisti” siano stati accusati, ad
esempio da un certo puritanesimo di stampo calvinista, anche dell’esatto
contrario, cioè di essere eccessivamente tolleranti, corrivi,
condiscendenti. Insomma,
decidetevi: siamo troppo rigidi o troppo indulgenti?
Il punto è che chi muove queste critiche è lontano anni
luce dalla Weltanschauung cattolica, non riesce a cogliere il senso di quella sintesi grandiosa che supera il dualismo degli opposti e che costituisce, come scrisse Chesterton, "il luogo in cui tutte le verità si danno appuntamento". Ho sentito di recente una frase che mi ha molto colpito:
chi non ha compreso veramente il dogma (Concilio di Calcedonia, anno 451) dell’unione
ipostatica delle due nature di Cristo, vero Dio e vero uomo, ha compreso poco o
nulla del Cattolicesimo. Ecco, ho l’impressione che molti di questi cattolici “adulti” abbiano un problema con i fondamentali
della Fede, con la cristologia, e per questo fatichino poi a farsi un’idea del
resto, vagando nella confusione. Torna attualissima, a riguardo, una delle opere più argute di quel
grande cattolico che fu Robert H. Benson, vale a dire i “Paradossi
del Cattolicesimo”. Lo so, saggi come questi non escono in omaggio con
Famiglia Cristiana (meglio Gandhi, o il Dalai Lama), quindi si può capire che i
nostri "cattolici adulti" non li abbiano letti. Scrive dunque Benson che “il Paradosso
dell’Incarnazione da solo compendia tutti i fenomeni contenuti nel Vangelo; […]
questo supremo Paradosso è la chiave di tutto il resto”.
Sul filo di questo paradosso ci
muoviamo noi “papisti”. Noi non ci avventiamo
contro il peccatore, non scagliamo la prima pietra, semplicemente perché siamo
coscienti di non essere a nostra volta senza peccato. Non ci perdiamo in
una precettistica di stampo farisaico, come accade in certe agghiaccianti
pagine talmudiche o in certe prescrizioni coraniche, perché sappiamo che “il sabato
è stato fatto per l’uomo” (Mc 2, 27) e non viceversa e che “la lettera uccide, ma
lo Spirito vivifica” (2Cor 3,6). Ma
sappiamo anche, al tempo stesso, che Cristo ha detto di essere venuto non a
cancellare la legge, ma a darle pieno compimento (Mt 5, 17-19). La sua
Grazia ci ha liberato dalla schiavitù della legge e del peccato, ma questo non
significa che non esistano più né legge né peccato.
Questo è il più grande dramma del mondo moderno, come aveva già
compreso Papa Pio XII: aver perso il senso del peccato. E pare che sia il dramma
anche di questi catto-progressisti, quando scambiano la “libertà dei figli di
Dio” di cui parla San Paolo con l’anomia. Quando invitano a “ridiscutere” le
norme della Chiesa, ad esempio quelle sulla morale sessuale (gira gira, sempre lì si va a
parare…) perché “non più sostenibili”. Quando invitano, in perfetto stile
maoista, a sparare sul quartier generale, invece di difenderlo. Quando
alimentano lo scisma silenzioso che ormai sta attraversando la Chiesa, invece
di combattere per essa.
Ci accusano spesso di non essere addentro alla "realtà ecclesiale", ma
di invadere il dibattito pubblico e il web con la nostra intollerante
presenza:
verissimo, molti di noi sono “cani sciolti” e ne sono fieri. C’è da disperarsi al pensiero dello stato
in cui è ridotto l’associazionismo cattolico, divenuto ormai una fucina di
apostati, a volte silenziosi, troppo spesso rumorosissimi. Burocrati che
continuano a parlarsi addosso nel chiuso delle sagrestie, invece di essere sale
della terra e luce del mondo. Che si
sentono in diritto di mettere in discussione punti essenziali del Magistero,
perché tanto nulla è “definitivo”, a parte – ovviamente – il Concilio Vaticano
II: lì, invece, subentra una qualche forma di feticismo.
Non siamo noi “papisti”, ma la Congregazione
per la dottrina della Fede a dire che, per esempio, la dottrina cattolica
sulla morale sessuale rientra in quel nucleo di verità al quale il fedele
cattolico è tenuto a prestare “il suo assenso fermo e definitivo […]. Chi le negasse, assumerebbe una posizione
di rifiuto di verità della dottrina cattolica e pertanto non sarebbe più in
piena comunione con la Chiesa cattolica”. E noi, da “papisti”, il nostro
assenso lo prestiamo consapevolmente, perché sappiamo che non si tratta di
moralismo fine a se stesso, ma di qualcosa che ha a che fare con il vero senso dell’essere
uomo. Anche se conosciamo perfettamente la nostra debolezza, anche se sappiamo che
è difficile resistere alla tentazione e che spesso siamo noi stessi a cadere: ma
“laddove è abbondato
il peccato, ha sovrabbondato la grazia” (Rm 5, 20). In questo, come in tanti altri campi, nessuno di noi è un santo (o magari qualcuno sì...), ma non facciamo della nostra colpa un vanto. Quanto ai nostri amici progressisti, sono liberissimi di
costruirsi una morale a proprio uso e consumo: comincino però a chiedersi se possano ancora dirsi pienamente cattolici.
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