ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

giovedì 1 novembre 2012

Il Vaticano II e la “menzogna” del Giudeo-Cristianesimo


Prologo
È uscito recentemente in italiano un interessante libro del rabbino Jacob Neusner[1] (del quale già ci occupammo in sì sì no no, *), risalente in lingua inglese al 1991 (Jews and Cristians. The Myth of a Commun Tradition), sui rapporti tra giudaismo e cristianesimo. È decisamente un libro controcorrente, poiché sostiene e prova che «tra ebraismo e cristianesimo […] non esiste ora né è mai esistito un dialogo. Il concetto di una tradizione ebraico-cristiana […] è solo un mito nel senso peggiore: una menzogna»[2].

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●Secondo l’Autore, le due religioni «non condividono temi comuni» e «se la Scrittura può fornire una base comune, ha condotto soltanto alla divisione, poiché l’Antico Testamento serve al cristianesimo solo in quanto prefigurazione del Nuovo, e la Torah scritta per l’ebraismo può e deve essere letta solo nell’ottica di adempimento e completamento compiuti dalla Torah orale [Cabala e Talmud messi solo in un secondo tempo per iscritto, ndr]»[3]. Infatti, «i cristiani comunemente suppongono che l’ebraismo sia la religione dell’Antico Testamento, ma ciò è vero solo in parte, perciò completamente falso. […] Il cristianesimo fa appello all’Antico Testamento, in dialettica col Nuovo, come parte della Bibbia; l’ebraismo si richiama alla Torah scritta in dialettica con quella orale [Cabala e Talmud]»[4].
●Egli definisce il rapporto tra le due religioni come «gente diversa [rabbini e vescovi], che parla di cose diverse [Israele e Cristo] a gente diversa [ebrei e cristiani]»[5]. Anzi conclude: «non esiste ora, né mai è esistita, una tradizione ebraico-cristiana»[6]. Infatti il cristianesimo si occupa della salvezza, che riguarda l’intera umanità, mentre il giudaismo della santificazione della Nazione di Israele[7]. Il Neusner, con molta onestà intellettuale e chiarezza, parla di «autonomia del cristianesimo e della sua unicità e assolutezza»[8]. Sfata la teoria secondo cui il cristianesimo sarebbe un giudaismo riformato, analogamente al rapporto che intercorre tra protestantesimo e cattolicesimo: «Il nostro secolo è stato testimone di un errore teologico fondamentale […]. Parlando apertamente, si tratta, per di più, di un errore protestante. L’errore teologico fu quello di presentare il cristianesimo come una riforma storica, una continuazione dell’ebraismo»[9]. Tale errore è ascrivibile oltre che al protestantesimo, anche all’esegesi modernizzante e modernistica del XX secolo e la sua conseguenza è stata deleteria per la dottrina cattolica. Infatti, stando così le cose, «i cristiani […], si trovarono in una posizione subordinata […], diventando non il vero Israele […], ma semplicemente un Israele per difetto, cioè, per difetto del vecchio Israele»[10]. In breve, una sorta di fratello minore e minorato. La teologia cristiana giudaizzante, di origine luterana, presentava il nuovo protestantesimo come un vecchio cattolicesimo riformato e il vero cristianesimo delle origini come un vecchio giudaismo riformato. Per cui la nuova teologia modernista e neo-modernista, canonizzata da Nostra aetate, riprendendo l’errore esegetico-teologico luterano, presenta «la vita di Gesù in linea con l’ebraismo del suo tempo e la salvezza di Cristo come un evento interno all’ebraismo del I secolo»[11]. Onde, per capire Gesù e il Vangelo, ci si è messi ad interrogare il Talmud e i rabbi[12]; mentre la dottrina tradizionale dei Padri ecclesiastici e del Magistero costante della Chiesa, insegnava che “nell’Antico Testamento è già nascosto il Nuovo e nel Nuovo Testamento appare chiaro il significato dell’Antico” (S. Agostino, Quaest., in Hept., II, 73). ●L’Autore, spiega, che l’ambiente cattolico fu contaminato da tale tendenza dopo la tragedia della seconda guerra mondiale e una certa valutazione data del nazionalsocialismo, per cui si insisteva «sull’eredità ebraica della Chiesa e del cristianesimo […], tenendo conto della tragedia del cristianesimo nella civilizzazione dell’Europa cristiana, pervertita dal nazismo. […] Tutti erano animati da buone intenzioni […]. Ma il risultato è una lettura non cristiana del Nuovo Testamento»[13]. Onde, in altra sede, occorrerà approfondire il problema del condizionamento psicologico subìto dall’ambiente cattolico dopo la seconda grande guerra e specialmente dopo la shoah, che ha portato a leggere il Nuovo testamento in maniera non cristiana, ma giudaizzante[14]. Infatti, se si astrae da queste premesse storico-teologiche, non si riesce a capire ciò che è avvenuto durante il Vaticano II e il post-concilio. Il fatto, et contra factum non valet argumentum, è che la lettura o l’ermeneutica modernizzante, come quella luterana, del Nuovo Testamento “non è cristiana”. In quanto «fa appello alle fonti ebraiche, […] tale ermeneutica deriva dalla teologia di un cristianesimo come continuazione e puro miglioramento dell’ebraismo»[15]. Invece il Cristianesimo è qualcosa di unico, assoluto, autonomo e non è per nulla una riforma dell’ebraismo. ●L’Autore rigetta totalmente la dottrina secondo cui «Gesù era ebreo e dunque, per capire il cristianesimo, i cristiani debbono venire a patti con l’ebraismo»[16]. Il vero cristianesimo è quello che «può cogliere se stesso come lo coglievano i Padri della Chiesa, come nuovo e non contingente, […] non come subordinato all’ebraismo. […] Ebraismo e cristianesimo sono religioni del tutto differenti e con poco in comune»[17]. Per il cristianesimo Dio è uno nella natura, ma Trino nelle Persone e Gesù è Dio incarnatosi nel seno della SS. Vergine Maria; mentre il giudaismo non ha accettato tale Vangelo o Buona Novella apportata da Cristo e dai suoi Apostoli e continua a negare SS. Trinità e divinità di Cristo, fondandosi sulla santità di Israele come famiglia carnale discendente geneticamente da Abramo. Il Neusner conviene che se il cristianesimo è un unico anche l’ebraismo si ritiene tale, onde conclude sull’inutilità del dialogo tra due religioni diametralmente opposte, anche se fondate – in parte – su una base semi-comune: l’Antico Testamento, che, però, è letto dal giudaismo alla luce del Talmud, ritenuto più importante della Torah[18], mentre dal cristianesimo è studiato alla luce del Nuovo Testamento. Per cui «non possiamo riferirci alla Bibbia quando parliamo di ebraismo»[19]. Addirittura il rabbino americano non nasconde che «il cristianesimo non è tale perché ha migliorato l’ebraismo […]. Ma perché costituisce un sistema religioso autonomo, assoluto, unico. […], ebraismo e cristianesimo sono due religioni del tutto diverse»[20]. Viva la faccia della sincerità e abbasso la menzogna dell’ecumenismo giudaico-cristiano, che è la “quadratura del cerchio” o la “coincidentia oppositorum” fatta “Congregazione permanente”.
●Il problema centrale, secondo il Neusner, non è quello delle “radici comuni”, che poi sfaterà e ne parleremo oltre, ma quello della divinità di Gesù Cristo. Infatti, si chiede onestamente il rabbino, «Gesù è il Cristo? Se è così allora l’ebraismo cade. Se non è così, allora, il cristianesimo sbaglia»[21]. Egli cita Eusebio da Cesarea (tr. it., Storia ecclesiastica, Milano, Rusconi, 1979), S. Giovanni Crisostomo (tr. it., Omelie contro i giudei, Verrua Savoia, CLS, 1997), il quale ultimo parlava di “regressione cristiana al giudaismo” di quei cristiani che frequentavano ancora le sinagoghe e i culti ebraici ad Antiochia tra il 386-387, ossia di “ritorno all’infedeltà giudaico-talmudica”. La stessa accusa mossa nel IV secolo dal Crisostomo ai giudaizzanti di Antiochia la si potrebbe rivolgere oggi ai giudaizzanti del Vaticano II (Nostra aetate, 1965) e del post-concilio (Preghiera del Venerdì Santo, del Novus Ordo Missae di Paolo VI, 1970; L’Antica Alleanza mai revocata, di Giovanni Paolo II a Magonza nel 1981; gli Ebrei nostri fratelli maggiori e prediletti nella fede di Abramo, Giovanni Paolo II nel 1986; sino al Discorso alla sinagoga di Roma, di Benedetto XVI, 17 gennaio 2010). Tertium non datur: se Cristo è Dio, l’ebraismo cade; se non è Dio, abbiamo sbagliato noi cristiani per duemila anni, dovremmo riconoscerlo pubblicamente, chiedere perdono a Dio e agli uomini ed infine farci ‘proseliti della porta’ o ‘noachidi’ (v. Elia Benamozegh e Aimé Pallière, cfr. sì sì no no, * * ). Il dialogo giudaico-cristiano è inutile, dannoso, ingiurioso, falso e menzognero. Lo dice anche rabbi Jacob Neusner. Egli concorda col Crisostomo solo quanto al fatto che il giudeo-cristianesimo o il giudaizzare, per i cristiani, è un «atto di apostasia, incredulità e rifiuto di Dio [Cristo]»[22]. Il Crisostomo temeva, giustamente, che i cristiani di Antiochia si mostrassero «cedevoli riguardo all’ebraismo»[23]. La stessa apprensione, et multo magis, la dimostra il Neusner per rapporto al dialogo giudaico-cristiano, in cui la religione cristiana non si considera più per quello che è, ma per una pseudo-riforma proto-luterana del giudaismo. Alla dottrina cristiana tradizionale secondo la quale Cristo è Dio ed ha previsto nel 33 la distruzione di Gerusalemme e del suo Tempio, previsione avveratasi nel 70, l’ebraismo rispondeva nel IV secolo, per bocca dei suoi saggi o rabbini, che Roma divenuta cristiana nel IV secolo è il penultimo Impero dopo Babilonia, Media, Grecia e che sarà seguito da quello di Israele, l’ultimo e definitivo, come famiglia genetica di Abramo, che darà la morte alla Roma prima pagana e poi cristiana, essendo “il carattere di Roma precipuamente cristiano[24]: «I saggi [o rabbini] affermano che Israele secondo la carne […] permane in uno stato incondizionato e perenne. Non si smette mai di essere figli [fisici] e figlie dei propri genitori. Così Israele secondo la carne costituisce la famiglia, nella sua forma più fisica, di Abramo, Isacco e Giacobbe […]: la totale e completa ‘geneaoligizzazione’ di Israele»[25], come si vede, è una questione genetica o di stirpe: chi parla di “razza”, stirpe, sangue e suolo è il giudaismo rabbinico, e non – come vorrebbero gli “anti-scemiti” – il cristianesimo. Per tanto si evince quanto sciocca sia l’accusa di antisemitismo mossa alla Chiesa da taluni emeriti tromboni, spinti da certuni stolidi sedicenti volponi.
●«Israele provocherà la caduta di Roma [ex pagana e poi con Costantino cristiana, 313]»[26]. Dunque, per i rabbini, Israele non è finito, ma soppianterà Roma e il cristianesimo. Secondo l’Autore, la caduta di Gerusalemme fu causata dall’arroganza dei giudei zeloti del I secolo, i quali, specialmente con Bar Kobà, rifiutarono di abbandonarsi alla provvidenza divina e vollero edificare un Regno d’Israele con le loro forze naturali e politico-militari. Tale arroganza provocò da parte divina l’abbandono di Israele nelle mani di Roma, la quale da pagana si fece poi cristiana e nel IV secolo sembrò che il cristianesimo romano avesse trionfato sul giudaismo[27]. Ma l’apocalittica ebraica[28], rinviando alla fine degli ultimi tempi la riscossa e restaurazione del regno d’Israele, ha cercato di ribaltare tale ‘teologia della storia’ cristiana. Ora, la stessa situazione si è venuta a creare con la nascita dello Stato di Israele ad opera della politica e delle armi e non del Messia ebraico e quindi, anche per i rabbini ortodossi odierni, il sionismo rappresenta una minaccia per Israele, come avvenne nel 70. Pure questo tema meriterà di essere approfondito in un prossimo articolo.
●Anche la considerazione che Neusner fa sull’islam, in tempi di arabo-fobia e di radici europee giudaico-cristiane ed anti-islamiche, sono interessanti, profonde e coraggiose. Infatti, egli scrive: «Come sappiamo che [nonostante l’apparente trionfo del cristianesimo, con gli imperatori romano-cristiani, a partire da Costantino e Teodosio] vinse l’ebraismo dei saggi [o rabbinico-talmudico]? Perché quando, a sua volta, vinse l’islam [VII-VIII secolo] il cristianesimo si ritirò dal Medio Oriente e dal Nord Africa. Senza dubbio il cristianesimo resistette, ma non come la religione maggioritaria del Medio Oriente romano e del Nord Africa […]. Ma il carattere islamico del vicino e del Medio Oriente e del Nord Africa ci racconta la storia di quanto avvenne realmente: una disfatta per il cristianesimo […] La croce avrebbe regnato solo dove non si trovavano l’islam e il suo potere militare»[29]. Micahael Brenner, professore di ‘Storia e Cultura ebraica’ all’Università di Monaco in Breve storia degli ebrei, (Roma, Donzelli, 2009) scrive: «Fu il viaggio di un non-ebreo [Maometto] a dare il via alla più grande trasformazione della società ebraica dopo la distruzione del secondo Tempio. Quando Maometto nell’anno 622 si trasferì dalla Mecca a Yathrib (Medina) iniziò la marcia trionfale dell’Islàm. Tra il VII e il XIII secolo quasi il 90% degli ebrei viveva in territori islamici […]. Un tempo sparsi su diversi Stati e regni, essi si trovavano adesso uniti sotto il dominio musulmano […]. L’autorevolezza pressoché universale che […] vennero ad assumere il Talmùd e i rabbini dipese anche da quelle condizioni politiche, che resero possibile una “standardizzazione” dell’ebraismo. Alcune delle famiglie di Medina che accolsero Maometto appartenevano alle tribù ebraiche stanziate sulla penisola araba […]. Alcuni elementi della tradizione ebraica, al pari di quelle delle tradizioni [ereticali e gnosticizzanti] dei cristiani che vivevano nella regione, erano entrati a far parte della cultura dell’area. Non meraviglia quindi che Maometto […], conoscesse  non solo le narrazioni bibliche, ma anche le interpretazioni ebraiche e cristiane [gnosticheggianti] della Bibbia»[30]. Brenner spiega poi il motivo della rottura tra Islàm e giudaismo e/o gnosticismo cristiano orientale così: «tuttavia [Maometto] aveva sperato che gli ebrei avrebbero accettato la sua nuova religione. Ma il rifiuto della maggior parte di loro […] portò ad un conflitto militare»[31]. I contrasti teologici tra islamismo e giudaismo furono meno forti di quelli tra cristianesimo ortodosso ed ebraismo «il Corano non aveva soppiantato il Vecchio Testamento [il Vangelo sì], i musulmani non si consideravano i “nuovi” ebrei [o il “verus Israel”] ed era assente [nell’islamismo] la cruciale accusa di ‘deicidio’ […]. Non stupisce che molti ebrei salutarono come liberatori i conquistatori musulmani dei territori dell’impero romano, già cristiani»[32]. In breve, mentre tra cristianesimo e giudaismo vi è un conflitto teologico radicale, non così tra quest’ultimo e l’islamismo, tale conflitto fu un frutto dell’orgoglio arabo di Maometto, ferito dal rifiuto degli ebrei della sua dottrina molto simile alla loro, ma principalmente anche se non esclusivamente, per gli Arabi. Inoltre nel mondo musulmano «non esistevano istituzioni analoghe  alle corporazioni cristiane che escludevano gli ebrei […], la situazione di “stranieri” tipica per gli ebrei nel medioevo non esisteva nel mondo islamico»[33]. Perciò l’attuale “conflitto di civiltà”, voluto dagli Usa e da Israele è uno scontro con il ‘mondo arabo’, in quanto non ancora liberalizzato e illuminato dalla modernità occidentale, e per nulla un distanziarsi dall’islamismo, che in sé è visto con simpatia, in quanto argine al cristianesimo tradizionale e non giudaizzante (v. sì sì no no, * *).
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Conclusione
Tale lettura dovrebbe ridarci, in tempi per noi così tristi, l’orgoglio di essere totalmente e integralmente cristiani o cattolico-romani. Le radici ebraico-cristiano/romane sono una menzogna. Si può, invece, parlare di radici comuni ebraico-calviniste o Usa/israeliane (v. sì sì no no, * *). Il giudaismo è completato dal Talmud, il cristianesimo romano dal Nuovo Testamento, così come lo leggono i Padri della Chiesa e lo ha sistematizzato la Scolastica. L’ebraismo non è la Bibbia, ma il Talmudismo rabbinico. Attualmente, con il Vaticano II assistiamo ad un tentativo di protestantizzazione della Chiesa, che con la “Collegialità” ha fatto proprio l’odio luterano per il primato del Papa, con la “Libertà religiosa” l’odio contro l’unica vera religione fondata da Dio Figlio e con l’“Ecumenismo” l’odio per l’intolleranza dottrinale della Chiesa romana ed infine con la pseudo-“Riforma liturgica”, fatta assieme ai calvinisti, ha prodotto un rito oggettivamente[34] ibrido o un incrocio bastardo (il Novus Ordo Missae di Paolo VI) tra due riti essenzialmente diversi, quello protestantico e cattolico. Tale protestantizzazione è il fine prossimo; quello remoto è la giudaizzazione. Infatti, l’ermeneutica luterana porta ad una lettura a-cristiana e filo-giudaizzante della Torà. Perciò lungi dal cedere al dialogo, in posizione di inferiorità o “minoranza-minorata” verso i “fratelli maggiori”, dobbiamo rivendicare il valore assoluto, unico e autonomo del cristianesimo petrino o romano. Siccome Cristo è Dio, e ce lo ha provato con la sua Risurrezione, il dialogo inter-religioso giudaico-cristiano è un “regredire al talmudismo”, “un’apostasia o incredulità”, in quanto rifiuto implicito di Dio Figlio e quindi di Dio Padre e Spirito Santo, in breve un “tornare al vomito”.
●Purtroppo, tale dialogo è condotto, dopo Giovanni Paolo II, anche da Benedetto XVI, il quale nel suo libro Molte religioni un’unica Alleanza: Il rapporto ebrei cristiani. Il dialogo delle religioni (Cinisello Balsamo, San Paolo, [1998], tr. it., 2007) scrive che: «Dopo Auschwitz il compito della riconciliazione e dell’accoglienza si è ripresentato davanti a noi in tutta la sua imprescindibile necessità»[35]. Poi citando Gv. IV, 22 «la salvezza viene dai giudei», pronunciata da Gesù prima della sua Morte in croce e quindi durante l’Antica Alleanza, afferma che «tale origine mantiene vivo il suo valore nel presente [dopo la morte di Cristo, nella Nuova ed Eterna Alleanza]»[36]. Tuttavia, «non vi può essere accesso a Gesù […], senza l’accettazione del Nuovo Testamento»[37]. Onde per gli ebrei la salvezza viene da Israele e il Talmud, mentre per i Gentili convertiti al cristianesimo viene da Cristo e il Nuovo Testamento. L’Antica Alleanza, anche secondo Benedetto XVI, non è mai cessata (cfr. Giovanni Paolo II, L’Antica Alleanza mai revocata, Magonza, 1981), in quanto “Alleanza” significa solo volontà divina e non un contratto bi-partito[38]. Onde, anche se Israele è stato infedele a Dio, Dio non può scindere l’Alleanza, poiché non è “un accordo reciproco”[39], per cui Deus non  deserit etiam si prius deseratur. È triste, ma per conoscere la dottrina cattolica sui rapporti tra cristianesimo e ebraismo, occorre andare a ‘catechismo’ dal rabbino Jacob Neusner; mentre per giudaizzare, basta ascoltare le ‘midrash’ di Benedetto XVI. Che strana epoca questa, l’ebreo insegna il catechismo, pur non credendovi, il prete cattolico racconta le midrash, e forse ci crede pure o almeno fa finta di crederci.
●Infine, l’odio per Roma che caratterizza ed accomuna l’ebraismo e il luteranesimo è indicativo. L’alternativa, dunque, è o Roma o morte! Se cade (per assurdo) Roma, trionfano Tel Aviv e New York. Lo stato attuale di abbrutimento dell’umanità è il frutto del dominio giudaico-americanista sul mondo. La salvezza e la restaurazione dell’uomo, della famiglia e della società, sarà il frutto miracoloso del trionfo di Roma “immortale di Martiri e di Santi”! La Madonna a Fatima ci ha promesso: “Alla fine il Mio Cuore Immacolato trionferà!”.
Aurelianus

[1] Nato negli Usa nel 1932. Professore di storia e teologia dell’ebraismo presso il “Bard College” di New York, ordinato rabbino presso il “Jewish Theological Seminary”, è considerato il più grande specialista vivente della letteratura rabbinica antica. Molto interessante il suo Disputa immaginaria tra un rabbino e Gesù. Quale maestro seguire? [1993], tr. it., Casale Monferrato, Piemme, 1996; 2a ed. Un rabbino parla con Gesù, Cinisello Balsamo, San Paolo, 2007.
[2] J. Neusner, Ebrei e cristiani. Il mito di una tradizione comune, [1991], tr. it., Cinisello Balsamo, San Paolo, 2009, p. 7.
[3] Ibidem, pp. 7-8. Per quanto riguarda il Talmud cfr. Jacob Neusner, Il Talmud. Cos’è e cosa dice, [2006], tr. it. Cinisello Balsamo, San Paolo, 2009.
[4] Ibidem, pp. 159-160.
[5] Ibidem, p. 9.
[6] Ivi.
[7] Ibidem, p. 17.
[8] Ibidem, p. 31.
[9] Ibidem, p. 32.
[10] Ibidem, p. 33.
[11] Ibidem, p. 34.
[12] Ivi.
[13] Ivi.
[14] «I fatti di Auschwitz hanno reso cronico un problema grave e sarà un’azione simile al martirio, da parte degli intellettuali religiosi ebrei e cristiani, affrontare quella sfida […]: dare un senso all’altro» (J. Neusner, cit., p. 158). Vale a dire, pur nella totale diversità tra ebraismo e cristianesimo, si arriverà a capire “il totalmente altro da sé” (il cristiano/l’ebreo e viceversa), solo a partire da Auschwitz o dalla ‘teologia della shoah’. Onde, anche da parte cristiana, non si può prescindere dall’affrontare il fatto, reso oggi meta-storico, della persecuzione che soffrirono molti ebrei in Europa tra il 1942 e il 1945. Tale studio va condotto sia storicamente (fonti storiche, archivi, documenti, fatti acclarati e testimonianze dei libri della storia dell’Europa tra il 1940-45) sia scientificamente (tramite ricerche e sperimenti chimico-fisici e ingegneristici sull’arma del delitto: le camere a gas e i forni crematori ed il corpo del reato: ciò che risulta realmente e oggettivamente nei luoghi della persecuzione) sia filosoficamente (male assoluto/relativo) ed infine sia teologicamente (“olocausto” di una parte dell’ebraismo europeo o Olocausto redentivo di Gesù Cristo). Non ci si può tirar dietro, sotto pena di vedersi ricattati e messi in stato d’accusa su un fatto che non si vuol studiare per vedere quale sia la sua reale entità. Parafrasando S. Agostino: “Si non vis errare, debis velle scrutare.
[15] Ibidem, p. 35.
[16] Ibidem, p. 160.
[17] Ibidem, pp. 162-163.
[18] Ibidem, p. 176.
[19] Ibidem, p. 197.
[20] Ibidem, pp. 43-44.
[21] Ibidem, p. 72.
[22] Ibidem, p. 74.
[23] Ivi.
[24] J. Neusner, cit., p. 110.
[25] J. Neusner, cit., p. 102.
[26] J. Neusner, cit., p. 81. Sui rapporti Roma, cristianesimo e giudaismo, v. M. Goodman, Roma e Gerusalemme. Lo scontro delle civiltà antiche [2007], tr. it., Roma-Bari, Laterza, 2009. L’Autore sostiene che Roma e Israele avrebbero potuto coesistere senza problemi. Tuttavia nel 66 d. C., sotto Nerone, gli abitanti di Gerusalemme avevano rifiutato di andare in processione a salutare due coorti dell’imperatore e fu così che il procuratore romano, Gessio Floro, scatenò le sue truppe contro la folla radunata al mercato superiore della Città Santa e provocò la morte di 3.600 persone. La reazione ebraica fu fortissima e portò alla costituzione di uno Stato ebraico indipendente da Roma, che già nel 37 a. C. ossia circa un secolo prima, aveva occupato la Giudea. Quando Nerone morì nel 68, un generale di nome Tito Flavio, figlio dell’imperatore Vespasiano, che era in quel tempo comandante in campo della guerra in Giudea, adoperò la mano di ferro per reprimere la rivolta ebraica e dopo un anno di lotte, nel 70, distrusse Gerusalemme ed il Tempio. Represse anche le tre insurrezioni in Cirenaica e in Egitto (72) e quella di Masada (73). Qui inizia la parte più interessante del libro (pp. 451-583), non privo di inesattezze e unilateralità, soprattutto riguardo alle origini della disputa tra cristianesimo e giudaismo (pp. 584-666). Già una volta il Tempio di Salomone era stato distrutto nel 586 a. C. da Nabucodonosor di Babilonia, ma nel 539 Ciro di Persia vinse i babilonesi e liberò gli ebrei, che erano stati deportati a Babilonia e consentì loro di rientrare in Gerusalemme e di ricostruire il Tempio; perciò nel 70 i giudei pensavano che sarebbe avvenuto qualcosa di analogo: un Messia trionfante o “Nuovo Ciro”, che avrebbe cacciato i Romani e avrebbe fatto ricostruire Gerusalemme e il Tempio. Molti pii e zelanti o zeloti israeliti, influenzati dalla letteratura apocalittica ebraica, immaginavano e profetizzavano che il “Nuovo Ciro” potesse essere “Nerone redivivo” (cfr. Giuliano Firpo, Le rivolte giudaiche, Roma-Bari, Laterza, 1999). In quel tempo si formò una radicale ostilità ed un feroce odio anti-romano in Giudea e a Gerusalemme, ma Roma non stette a guardare e non concesse ai giudei ciò che era solita concedere a tutti i vinti di religione diversa: costruire o ri-costruire i loro templi. Fu così che il Tempio di Gerusalemme non fu mai più ricostruito, nonostante il triplice tentativo, andato fallito tutte e tre le volte, dell’imperatore Giuliano detto l’Apostata (331-363) cfr. G. Ricciotti, L’imperatore Giuliano l’apostata, Milano, Mondadori, 1956. Tra il 115 e il 116 vi fu una quarta insurrezione giudaica contro Roma, ed infine nel 132-135 con lo pseudo-messia Bar Kobà la quinta ed ultima, poiché Adriano nel 135 rase al suolo quel che restava di Gerusalemme e della Giudea, cambiando il nome di quest’ultima in Syria-Palestina e quello di Gerusalemme in Aelia Capitolina. Né i Germani, né i Britanni, né i Pannoni avevano cessato di avere una patria e una capitale per la loro ribellione; solo i giudei persero l’una e l’altra. Un giornalista del Sunday Times  (Tom Holland) ha scritto che “il XXI secolo è stato forgiato dalla caduta, quasi duemila anni fa, di Gerusalemme” e – aggiungo io – dalla tentata restaurazione di uno Stato ebraico nel 1948, il quale non è ancora posseduto pacificamente, anzi è foriero di una nuova, immane e terribile sciagura, che si addensa sui nostri capi, sotto forma di guerra nucleare, che dall’Iraq si muove verso l’Iran, tramite Usa e Israele.
[27] «Bar Kobà tratta il cielo con arroganza, chiedendo a Dio di non intromettersi […]. Bar Kobà distrusse l’unica protezione di Israele. L’esito fu inevitabile» (J. Neusner, cit., p. 86). Altrettanto dovrebbe dirsi dell’attuale Stato d’Israele, costruito (ma non terminato) per mano d’uomo e non per intervento del Messia.
[28] La letteratura apocalittica ebraica comprende gli apocrifi profetici del Vecchio Testamento (II sec. a. C. – II sec. d. C.) e consiste in una «finzione letteraria, di sedicenti vaticini posteriori agli eventi, che non meritano maggior credito degli oracoli sibillini» (F. Spadafora, Dizionario biblico, Roma, Studium, 3a ed., 1963, p. 41). Essa sorge quando Israele attraversa il suo periodo più burrascoso, dall’accanimento di Alessandro Magno contro lo Jahwismo sino alla distruzione di Gerusalemme con Tito (70) e Adriano (135). Alcuni zelanti Jahwisti sentirono allora il bisogno di rincuorare gli israeliti con delle future promesse per Israele, cercando di mantener viva la sua speranza nonostante il miserevole stato presente. L’apocalittica «si prefigge per alimentare la fierezza giudaica, scossa dalle prove, orientandola alle aurore future. […] Israele sarà liberato e vendicato […] imperare sulle Genti dominate e calpestate» (Antonino Romeo, voce “Apocalittica letteratura”, in “Enciclopedia Cattolica”, Città del Vaticano, 1948, vol. I, col. 1616). Nel futuro, dopo la caduta del penultimo Impero, che sarebbe Roma, «Israele sarà liberato e vendicato. […]. L’interesse nazionale è teso verso l’agognata conclusione: piomba improvviso Dio nella lotta finale delle Genti contro Israele» (A. Romeo, ivi, col. 1617); «tutto è ristretto al campo nazionalistico e temporale» (F. Spadafora, ivi). L’apocalittica giudaica è una sorta di rivelazione presentata come antica, nascosta ed esoterica (F. Spadafora, p. 42) e, secondo mons. Antonino Romeo, «sfocerà in una sorta di speculazione cabalistica […] e di sincretismo gnostico» (ivi, col. 1625). «È ripiena di odio, spesso feroce, contro i Gentili e di ardente simpatia per Israele» scrive Marie Joseph Lagrange, (Le judaisme avant Jesus-Christ, 2a ed., Parigi, 1931, pp. 70-90). L’apocalittica sfuma nella morbosa attesa della rivoluzione futura, che libererà Israele dalla Roma pagano-cristiana. Ad essa si deve la formazione del più acceso nazionalismo ebraico (F. Spadafora, ivi) e da essa deriverà un certo gnosticismo e il millenarismo (A. Romeo, ivi, col. 1618) con la teoria della mitigazione delle pene per i dannati (cfr. l’apocatastasi di Origene, ripresa tra il 1940 e il 1951, da Hans Urs Von Balthasar + 1984 e Jean Daniélou + 1973, v. sì sì no no, * *), cfr. B. Allo, Apocalypse, 3a ed., Parigi, 1933, pp. XXVI-XXXIV.Mons. Romeo conclude: «Il Regno di Dio riveste un carattere nazionalistico-terreno. […] Il regno sarà di questo mondo. […] mai il Messia è visto come un redentore spirituale, espiatore dei peccati del mondo» (ivi, col. 1618) ed infine: «Verso le Genti gli apocalittici sono spietati e implacabili, ogni compassione sarebbe scambiata per debolezza» (ivi, col. 1619).
[29] J. Neusner, cit., pp. 118-119. Per quanto riguarda i rapporti tra giudaismo talmudico, islàm e cristianesimo, cfr. Hana Zakarias, Vrai Mohammed et faux Coran, Parigi, NEL, 1960; Id., De Moise à Mohammed, Parigi, 1955; J. Bertuel, L’islàm: ses véritables origines, Parigi, NEL, 1983-84, 3 voll.; B. Lewis, La rinascita islamica, Bologna, Il Mulino, 1991; Id., Gli ebrei nel mondo islamico, Firenze, Sansoni, 1991; S. D. Goitein, Ebrei e Arabi nella storia, Roma, Jouvance, 1980; J. Bouman, Il Corano e gli ebrei, Brescia, Queriniana, 1992; R. Barkai, Chrétiens, musulmans et juifs dans l’Espagne médiévale, Parigi, Cerf, 1994.
[30] M. Brenner, Breve storia degli ebrei, Roma, Donzelli, 2009, p. 59.
[31] Id., cit.,p. 60.
[32] Id., cit., pp. 60-61.
[33] Id., cit., p. 65, cfr. anche E. Benbassa – A. Rodrigue, Die Geschicte der sepharadischen Juden, Bochum, 2005; G. Bossong, Die Sepharaden, München, 2008; M. R. Cohen, Unter Kreuz und Halbmond. Die Juden in Mittelalter, München, 2005; dello stesso Brenner, Breve storia del sionismo, Roma-Bari, Laterza, 2002.
[34] Quando si parla di Vaticano II come inaccettabile e da ri-“gettare”, non si intende inglobare in tale constatazione di eterodossia oggettiva la colpevolezza e punibilità soggettiva di chi lo accoglie in buona fede, pensando di obbedire. Così come quando si constata la nocività oggettiva del Novus Ordo Missae e la sua abrogabilità, non si vuole minimamente offendere chi lo celebra in buona fede, in maniera riverente e con spirito di obbedienza, per ignoranza incolpevole delle sue carenze dottrinali. “Non sbraniamoci tra noi” (anti-modernisti), ma andiamo a ri-studiare con attenzione il “Breve Esame Critico del Novus Ordo Missae” con la “Lettera di presentazione” dei cardinali Antonio Bacci e Alfredo Ottaviani: vi si trovano considerazioni severe sulla sua non ortodossia oggettiva e si chiede di abrogarlo in quanto nocivo. Non lasciamoci distrarre dalle polemiche che sorsero, quando lo si volle imporre e si ritenne abrogato il Vetus Ordo, per un abuso di potere, riconosciuto come tale anche da Benedetto XVI (7. VII. 2007). Allora (1976) volarono parole forti, ma pronunciate nel corso di omelie ed ampliate dalla stampa laicista, senza la possibilità di apportare tutte le dovute distinzioni. Non mi sembra corretto prendersela con mons. Marcel Lefebvre, per alcune frasi estrapolate dai suoi sermoni, e vedere nella Fraternità San Pio X il “male assoluto”, come mi sembra puerile la pretesa di alcuni, per fortuna pochi, “tradizionalisti” di scambiare la Fraternità per la Chiesa di Cristo. Anche in questo caso la sana logica condanna il sofisma ex uno disce multis. Parlare di mons. Lefebvre come di un “eversivo chiassoso” non è corretto; chi ha ‘sovvertito, abbattuto o rovesciato’ la liturgia non è stato lui, ma Paolo VI con il Novus Ordo Missae, il quale oggettivamente è “chiassoso” e “si allontana impressionantemente, nel suo insieme come nei particolari, dalla teologia definita dal Concilio di Trento sul Sacrificio della Messa” (“Breve Esame Critico del Novus Ordo Missae”). Tale “Breve Esame Critico” fu presentato nel 1969 a Paolo VI dal card. Alfredo Ottaviani, che lo studiò attentamente e lo fece studiare dagli esperti dell’allora S. Uffizio di cui era Prefetto e vi apportò qualche leggera correzione. Ottaviani non era un ‘sovversivo, distruttore o eversivo’, ma in quanto Prefetto e custode S Congregazione, che si occupava della Fede cattolica, fece notare – come era suo dovere – a Paolo VI che la riforma liturgica da lui proposta era oggettivamente eterodossa e andava abrogata e non promulgata. Paolo VI non rispose, anzi promulgò e ingiunse a mons. Lefebvre di celebrare col “Nuovo Rito”, il quale secondo lui aveva abrogato l’Antico. Mons. Lefebvre ribadì che la “Fede pregata” o liturgia non può essere abrogata, ma va difesa e che l’atto di Paolo VI era un abuso di potere, come S. Paolo il quale “resistette pubblicamente davanti a Pietro quia reprensibilis erat”. S. Pietro accettò la riprensione non eversiva di S. Paolo, Paolo VI no. Il sovversivo è stato oggettivamente Paolo VI. Il “chiasso” non è stato voluto da mons. Lefebvre, ma è stato provocato dall’ingiunzione abusiva di non celebrare più col Rito tradizionale, bensì con il “Nuovo Rito”, il quale non rispecchia più la Fede cattolica sul S. Sacrificio della Messa. Nel “non possumus” di fronte al “Nuovo Rito della Messa” non vi è alcun disprezzo per le persone o giudizio sul “cuore e le reni” del singolo, che “solo Dio scruta”, ma unicamente la fedeltà alla “Fede pregata” di sempre. Il cambiamento o “eversione” (da “ex vertere, cambiamento intensivo”) sono rappresentati oggettivamente dal Concilio pastorale e innovatore e dalla liturgia ecumenista semi-protestante alla cui redazione hanno partecipato pure sei pastori calvinisti, la quale ha portato il “chiasso” che impedisce la preghiera e il raccoglimento nel “Tempio di Dio”. Queste sono considerazioni oggettive e di buon senso pratico, alle quali non si può rispondere con l’accusa di “eversione” conclamata ma non provata (cfr. Brunero Gherardini, Il Concilio Ecumenico Vaticano II. Un discorso da fare, Frigento, Casa Mariana Editrice, 2009). Occorre fare un discorso serio e non pronunciare accuse gratuite, da qualsiasi parte esse vengano. Tutti possiamo sbagliare, l’importante è non perseverare nell’errore.
[35] Cit., p. 9.
[36] Ivi.
[37] Ivi.
[38] Ibidem, p. 32.
[39] Ivi.

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