LA RELIGIONE DEL DIALOGO
"Hanno sacrificato a demoni che non sono Dio,
a divinità che non conoscevano,
novità, venute da poco,
che i vostri padri non avevano temuto" (Deuteronomio, 32:17)
di Roberto Dal Boscofonte: Messainlatino
a divinità che non conoscevano,
novità, venute da poco,
che i vostri padri non avevano temuto" (Deuteronomio, 32:17)
Nel
trionfo delle celebrazioni per il cinquantenario del Concilio Vaticano
II, non potevano mancare i dolci omaggi di quella che un tempo la Chiesa
di Leone XIII chiamava “inimica vis”, “vile setta”: la massoneria,
tramite le pubbliche labbra del Gran Maestro del Grande Oriente d’Italia
Gustavo Raffi: ««Il Vaticano II ha insegnato ai credenti il valore del
dialogo come metodo che rende possibile l'incontro tra gli uomini, al di
là di ogni credo o appartenenza; a sentirsi parte di una comunità in
movimento». Sorvoliamo sul significato storico, sociale, religioso di
questa dichiarazione - sorvoliamo pure sul fatto stesso che una simile
affermazione esista.
Concentriamoci
per un momento nella parola centrale di questo virgolettato: il
dialogo. Essendo il “dialogo” un concetto fulcro del mondo massonico,
dicendo che il Vaticano II ha insegnato ai credenti il dialogo, forse il
Venerabile ci vuol dire che dopo il concilio i credenti sono diventati
tutti un po’ massoni. Ma questa è una malizia da psicoanalisi del testo.
Concentriamoci sulla parola, e basta.
“Dialogo”...
Giunti
alla presente altezza del corso delle vicende umane, pare che non
possiamo essere risparmiati dal quotidiano bombardamento. Il "dialogo" è
imperterrito. Si dialoga ovunque, quandunque, e - soprattutto - sia
dialoga con chiunque. Aprasi un quotidiano qualsiasi. Per esempio, anche
questa settimana «Lavoro: Fornero incontra contestatrici, “dialogo
sempre positivo”» (Libero, 14 ottobre), «Formigoni: “Se la Lega vuole il
dialogo ritiri le dimissioni”» (Il Messaggero, 11 ottobre), «Movida,
prove di dialogo con il Comune» (Il Corriere della sera, 5 ottobre), «Caso skateboard, duello a distanza tra linea dura e dialogo con i giovani»
(il Corriere di Como, 14 ottobre), «Dai Khmer rossi al dialogo»
(Avvenire, 13 ottobre), «Cina-Giappone, il dialogo da ritrovare» (La
stampa, 17 settembre), segnaliamo infine - poteva davvero mancare? -
Enzo Bianchi su Famiglia Cristiana: «La fede al tempo del dialogo» (12
ottobre). Zac!
Come
possiamo quindi noi, comuni mortali, non essere schiacciati dal tallone
di questo impero del politicamente corretto? Eccoci a non poter neppur
immaginare qualcosa che sia all'opposto del dialogo. Come non dialogare?
Dialogano israeliani e palestinesi, dialogano i telefonini connessi in rete bluetooth, dialogano professori e studenti, dialogano i nuclearisti iraniani... vuoi non dialogare tu?
I mostri non dialogano, i morti non dialogano. Lo zombie non dialoga. Una creatura cannibale e demente, ecco come si sembra se non si apprezza il "dialogo".
La parola è insomma, per usare un pregevole eufemismo, totalmente sputtanata.
Non poteva essere altrimenti, questo è un tempo che ha stuprato e
abbandonato ben altre parole magiche. "Amore", "Pace", e oramai anche
"Libertà" sono parole che hanno da tempo seguito il medesimo destino. Lo
notava l’infervorata Fallaci, in realtà lo sanno un po’ tutti.
Quello che
ci tocca oggi però è molto peggio. Perché la parola si è innestata
irreversibilmente nell'alveo della cosa più importante, la sola per la
quale vale la pena di preoccuparsi: la religione. E per religione non
intendiamo "le religioni", "la storia delle religioni", "il concetto
delle religioni", etc. Per religione intendiamo l'unica e vera
religione. Quella del nostro Salvatore, incarnatosi e sacrificatosi per
amore del cosmo umano.
Quella di Nostro Signore Gesù il Cristo.
Già quanto
scritto la riga sopra, per la “religione del dialogo” è pura blasfemia.
Credere in un unica fede, riconoscerla superiore alle altre, per il
sentire odierno è una bestemmia, un qualcosa di perseguibile finanche
penalmente.
Perché
nell'ora presente il cristiano si vede in dovere di dialogare con tutti.
Con gli atei, «perché ognuno ha diritto di dire quello che pensa». Con i
luterani, «perché in fondo abbiamo lo stesso libro». Con i musulmani,
«perché l'immigrazione è una realtà inevitabile». Con gli induisti,
«perché hanno una tradizione millenaria». Con gli ebrei, «perché siamo
tutti un po' colpevoli della Shoah». E con i buddisti, figurarsi, è
tutto un dialogo. «Dialogo con il Cristianesimo» si chiama il libro di
Thich Nhat Hanh, “maestro” vietnamita che miete molti adepti anche qui;
«Buddhismo e Cristianesimo in dialogo» è un libro preparatissimo di
Marcello Zago che pure contiene passaggi in cui si dimostra con
chiarezza che questo “dialogo”, per i missionari, non sempre è stato
possibile. Non parliamo poi del personaggio mediatico che si fa chiamare
“Dalai Lama”, che qualche anno fa si presentò nelle librerie italiane
con un volume dal titolo sobrio e credibile, «Incontro con Gesù».
Immaginiamo, un “dialogo” ai massimi livelli.
Per
spiegare il nostro dissenso nei confronti di questo sfrenato, cieco
culto chiamato “dialogo”, ci accingiamo quindi a dire qualcosa di non
esattamente democratico: a forza di pretendere di far parlare tutti,
anche il diavolo infine prende la parola.
In modo
meno tetro, potremmo dire più cautamente che il "dialogo" è nefasto se
non sappiamo chi ci risponde dall'altra parte. E sappiamo sempre chi c’è
dall’altra parte? In realtà no. Altrimenti, per logica semplice
semplice, non è detto che perderemmo tempo a dialogarci, così come non a
tutti rivolgiamo la parola per strada.
In ambito religioso questo problema, in anni andati, lo si chiamava con una parola oramai desueta, ma precisissima: indifferentismo.
Papa Gregorio XVI , nell'enciclica Mirari vos, così ne scriveva: «Veniamo
ora ad un’altra sorgente trabocchevole dei mali, da cui piangiamo
afflitta presentemente la Chiesa: vogliamo dire l’indifferentismo, ossia
quella perversa opinione che per fraudolenta opera degl’increduli si
dilatò in ogni parte, e secondo la quale si possa in qualunque
professione di Fede conseguire l’eterna salvezza dell’anima se i costumi
si conformano alla norma del retto e dell’onesto».
In
pratica, si crede che Dio guarda solo alle intenzioni del cuore degli
uomini, aderentemente alla particolare educazione che hanno ricevuto o
che hanno deciso di darsi. L'anarchia spirituale, se di buon cuore, è
cosa grata a Dio - è un pensiero che parte da Rousseau (l'Emile)
ed arriva dritto dritto al cuore nostra epoca, che offre
dell'indifferentismo è quella la sua forma compiuta, scientificamente
corretta, il relativismo. Sotto la cui dittatura siamo ora incapaci di
pensare come cent'anni fa che la nostra sia l'unica vera religione. Ci è
impossibile: «in fondo» ci viene da dire “ognuno non è colpevole di
essere nato dove è nato”. La sua cultura, la sua educazione, la sua
religione... come può egli essere colpevole se ci è finito dentro?
Voilà, la forma geopolitica dell'indifferentismo: all'epoca si denominava latitudinarismo.
La salvezza a tutte le latitudini, la redenzione globale di tutti e
tutto, popoli, persone, idoli... lista a cui oggi qualcuno vorrebbe
infilare anche gli animali. Un domani, siamo sicuri, qualcuno chiederà
che nel regno dei cieli entrino anche le pietre. E' un loro diritto in
fondo: anche loro sono parte di questa realtà democratica. Mai più
razzismo tra esseri senzienti ed esseri non senzienti!
Quando
l’universo si è formato, poteva capitare di nascere cinese, o
pipistrello, premio Nobel, scoglio, pterodatillo, muschio, paramecio,
molecola d’acqua, raggio di sole, carie dentale. Il cosmo tutto è
indifferentemente sacro, o indifferentemente non sacro: l’importante è
che sia indifferente, relativo. Non è panteismo, è un pan-nientismo, un
pan-nichilismo: tutto e niente, tutto è niente, tutto è uguale nella
cosmica indifferenza di questo multiverso impersonale.
Questa non
è fantascienza teologica - l’indifferentismo ha già subito mutazioni
impressionanti. Già in circolazione da un pezzo, vi sono i vegani, cioè
gli ultravegetariani che negano lo “specismo” (il fatto che gli esseri
animali siano divisi in specie - verso la specie nella cupa distopia
vegana dovremmo essere indifferenti) e che pur di non nuocere agli
animali (che hanno diritti quanto noi umani) sono pronti ad evitare ai
propri figli i farmaci di ogni sorta, perché testati sugli animali.
Quella vegana è ormai sottocultura assai ricca, con dei precisi
riferimenti nella filosofia (Peter Singer), nella pseudo-scienza
alimentare (i «China studies», la bibbia del delirio vegano), nello
spettacolo (sono vegani Brad Pitt, Serena Williams, Bryan Adams, Pamela
Anderson, la lista si allunga ad ogni settimana di rotocalco) nonché nei
sistemi di consumo: negozi “biologici” hanno i loro scaffali vegan, ed
anche la GDO, la grande distribuzione organizzata degli ipermercati, si
sta preparando alla crescita di questo orrendo trend. Ecco: abbiamo
visto i vegetariani trasformarsi in vegani, e vogliamo non vedere questo
prossimo passo? Una nuova dottrina, che promuova nemmeno più la
differenza tra vivente e non-vivente... il discutibile, politicamente
scorretto limite tra organico ed organico varcato per sempre.
L’eguaglianza estesa alla struttura atomica della materia, il Comunismo
Molecolare. È più facile che gli stregoni del marketing - che sono
sempre dietro alle nuove cose di tendenza - gli daranno un nome più
soave, tipo “Molecolismo”, lo abbrevieranno magari in “molec”, e via...
Già
si intravedono i suoi adepti hollywoodiani, i conferenzieri, le catene
di botteghe per gonzi, lo scaffalino dedicato alla Feltrinelli... Niente
più differenza tra materia animata ed inanimata: del resto tutto
l’universo è fatto delle stesse molecole, e prima di essere umani le
nostre molecole erano altro per trilioni di anni, e torneranno ad essere
altro per altri trilioni di anni quando saremo morti. Siamo polvere di
stelle, no? L’umanità che ci portiamo addosso è una casualità, una
coincidenza, un piccolo malinteso cosmico. Basta con l’essere umano,
anzi basta con l’essere tout court. Meglio non-essere. Meglio imboccare subito la strada dell’inorganico, è perché aspettare? Kill yourself to save the planet,
dice il cartello di una ragazza la cui foto si vede spesso condivisa su
Facebook: il motto viene da una organizzazione che si chama Church of
Euthanasia, il cui fine è il «ribilanciamento tra l’uomo e le altre
specie animali», e i cui pilastri sono “suicidio, aborto, cannibalismo,
sodomia”. Non crediate che quanto stiamo scrivendo sia un vaneggiamento,
una favoletta da sito web: la storia è piena di culti che, in cerca di
una qualche immediata eternità - spirituale o meno che fosse - si sono
dati alla morte per suicidio singolo o collettivo. I Catari chiamavano
questo “pio” suicidio endura. Echi di questi fenomeni li
abbiamo visti anche nei suicidi di massa di alcune sette novecentesche
(Il tempio del popolo di Jim Jones, il Tempio Solare, e molti altri).
Immaginare
una continuità assoluta tra la morte e la vita, relativizzare anche
questo misterioso, iniquo della natura, significa privare la vita di
ogni senso e dignità.
Il relativismo che si rivela per quello che nella pratica è: una cultura della morte.
Latitudinarismo e indifferentismo erano già state segnalate dal Sillabo di Pio IX come facenti parti dell'Elenco dei principali errori dell'Età Nostra.
Già allora, il libertinismo dottrinario doveva essere nell'aria, se
alla quindicesima del terzo gruppo di proposizioni leggiamo la condanna
dell'idea per cui "è libero a ciascun uomo di abbracciare e professare
quella religione, che colla scorta del lume della ragione avrà riputato
essere vera.
Sono passati quasi 150 anni da quando il Sillabus fu
pubblicato, e sembra che poco sia cambiato: la cosiddetta
religione-fai-fa-te, quella costruita dal gusto del "credente", spopola
ancora bellamente, tra gli "io-credo-a-modo-mio" e i
"ci-deve-essere-qualcosa-dopo" e via discendendo in questo inferno di
mezze certezze, mezze credenze, mezze umanità. Tutto questo ha
(incontrovertibilmente) avvelenato il mondo e lo ha menato sull'orlo
del baratro terminale che è sotto i nostri occhi in questo momento.
Baratro il cui orrore, non poteva essere altrimenti, lascia la
maggioranza indifferentista totalmente indifferente.
Vale la pena di ritrovare la monumentalità del latino per avere delle parole chiare su questi argomenti.
Nulla salus extra ecclesia.
Lo si scrisse sul Catechismo del Concilio di Trento, articolo 114:
«Quanti vogliono conseguire la salute eterna devono aderire alla Chiesa,
non diversamente da coloro che, per non perire nel diluvio, entrarono
nell'arca». Lo ribadì con forza Pio X: «No, fuori della Chiesa
Cattolica, Apostolica, Romana nessuno può salvarsi, come niuno poté
salvarsi dal diluvio fuori dell'Arca di Noè, che era figura di questa
Chiesa» (Catechismo di Pio X, articolo 169).
Il
richiamo a Noè e alla sua avventura ci permette di capire meglio di cosa
si tratta. Non si tratta di discorrere, si tratta di far qualcosa di
molto concreto: entrare nell'arca. Salvarsi. La Salvezza, non la
comprensione reciproca, la "tolleranza", il "dialogo". Noè non cercò il
dialogo col Diluvio, semplicemente obbedì al Signore. Salvò se stesso,
la sua famiglia, e tutte le creature del creato.
Ecco, forse abbiano trovato qualcosa da opporre al dialogo: l'obbedienza.
Il lettore
ci perdonerà se vogliamo riportare qui un'ulteriore frase nella lingua
dei latini, ma si tratta di una massima che, in un mondo che vuole fare
convivere nel nostro cuore diecimila diversi dei, vale la pena di
ricordare: Omnes dii gentium demonia. È il salmo 95, recitato
nella versione C.E.I. della Bibbia: «Tutti gli dèi delle nazioni sono
un nulla». Il significato però di queste parole può essere più preciso:
tutti gli dei dei pagani sono demoni. È San Paolo che ci mette in
guardia «dico che i sacrifici dei pagani sono fatti a demoni e non a
Dio» (1Cor, 10:20).
Con il paganesimo ci esponiamo a questa eventualità mostruosa: il commercio con il diavolo. Il succo è questo.
E, come sa perfettamente chiunque abbia minima conoscenza in fatto di esorcismi, parlare con il diavolo proprio non si deve.
Si capirà
dunque perché questo "dialogo" sia ritenuto una bestemmia, anzi ancora
peggio. Perché con nel cuore un buon proposito, un'idea di politicamente
corretto finanche cristiano-progressista, si finisce per citofonare
dritti al Principe delle Tenebre.
Il dialogo è un pericolo immenso, è una blasfemia: una ricerca eterodossa che offende lo Spirito.
Pluralismo,
relativismo, infine "sincretismo". Ecco come si chiamano le trappole
che nel presente irretiscono milioni di cristiani. Trappole blasfeme che
ghermiscono la loro anima, talvolta il loro corpo. Facciamo un esempio,
tra i più patenti e dolorosi: parliamo di sarvadharma. Parola
sanscrita che starebbe a significare "tutte le religioni", l'espressione
è stata coniata dal personaggio noto come Sai Baba, che dello
pseudo-sincretismo religioso vuole essere un campione. Nel suo ashram, il tempio dove convivono i fedeli, si canta spesso questo canto di devozione (bhajan): «Tu
sei Allah, tu sei il Signore, Tu sei il mio compassionevole Rama, il
mio benefico e compassionevole Rama. Tu sei Gesù, Guru Nanak, sei
Zoroastro e Mahavir, sei Gautama Buddha e Kabir. Tu sei il mio
compassionevole Rama». Un'orgia latitudinarista di ogni divinità
disponibile in Eurasia: bello no? E così tanti giovani e meno giovani da
tutto il mondo si esaltano, si commuovono. Finalmente la fratellanza
universale, finalmente un altare giusto a cui offrire i sacrifici... Poi
però arriva il conto, e si pagano le conseguenze. I casi di nostri
connazionali che rimpatriano con strani "disturbi" dopo una "visita" in
India da Sai Baba sono decine e decine. Molti di loro, al termine di
lunghi processi di liberazione o addirittura di esorcismo, si
riconvertono definitivamente alla religione di Cristo. Molte di queste
storie sono raccolte in rete, numerose testimonianze di questa
catastrofe le pubblicano le comunità cristiano-carismatiche dove hanno
trovato accoglienza gli ex-babisti, discepoli di quello che Padre
Gabriele Amorth chiama «il figlio prediletto del demonio».
Non sono
storielle. Sono racconti di persone che a causa della loro "curiosità"
spirituale hanno patito atroci sofferenze. Persone che meritano le
nostre preghiere, come le meritano quelli che ancora non hanno ricevuto
la buona novella, o, più tragicamente, si sono allontanati dalla Chiesa
su cui le tenebre non prevarranno. Ecco, abbiamo trovato forse un altro
qualcosa da opporre al dialogo: la preghiera.
Ubbidienza, preghiera. Questi devono essere gli strumenti con i quali il cristiano comunica col mondo.
Sappiamo che l'etimo di "dialogo" viene dal greco "dia" ("attraverso") e "logos" ("discorso", "parola"). Ma potremmo anche lasciare intradotta la seconda parola: il Logos, il Verbo, la Parola.
Il vero dia logos è
lasciare che la Parola scorra fra noi. Perché il Logos ci ha creati, il
Logos ci ha istruiti, il Logos è venuto a salvarci, il Logos è tutt'ora
in mezzo a noi, il Logos è vivo.
Il Logos ci difende dal male.
Quindi, o
miei cari massoni, tenetevi la vostra religione del dialogo, che è fatta
delle parole dei giornali e dalle vostre chiacchiere oscure. La mia
religione invece è il Logos, è fatta di vera carne, è fatta di materia
santa. È fatta di una divina concretezza all’urto della quale nessuna
delle vostre strutture potrà resistere.
Cari massoni, convertitevi e credete nel Vangelo. Perché quando sarà il Giudizio, ci sarà poco da dialogare.
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