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domenica 11 novembre 2012

Vati-Bond?


La condanna di Sciarpelletti: più dubbi che certezze


Vaticano e giustizia
VATICANO E GIUSTIZIA

La sentenza sul maggiordomo era apparsa blanda, quella sul tecnico informatico risulta invece severissima. Assente al processo il generale Domenico Giani

Alla luce della sentenza di condanna di Paolo Gabriele, giudicata clemente da tutti gli osservatori, quella che ieri ha condannato per favoreggiamento il tecnico informatico della Segreteria di Stato Claudio Sciarpelletti appare severissima, nonostante i quattro mesi di carcere ridotti a due con pena sospesa. 

Al di là della personalità di Sciarpelletti, che il suo capo ufficio, monsignor Carlo Maria Polvani – nipote del nunzio negli Usa Carlo Maria Viganò – ha definito tendente ad «impasticciarsi» e ad «andare nel pallone», non è affatto chiaro in che cosa consista il favoreggiamento.

  
Innanzitutto, i fatti. Claudio Sciarpelletti, nei giorni più concitati dell’indagine sui vatileaks guidata dal generale Domenico Giani, entra nel mirino degli investigatori vaticani per una segnalazione anonima (almeno così è stato detto in aula), proveniente dall’interno della Segreteria di Stato. La notizia non è di poco conto e sta a significare che nei sacri palazzi ci sono anonimi che vengono presi in seria considerazione e non immediatamente cestinati. 

In un cassetto della scrivania di Sciarpelletti viene ritrovata una busta giacente dal 2010 e contenente la stampa di una corrispondenza e-mail tra Paolo Gabriele e un non meglio precisato «Nuvola», insieme a materiali – «un libello infamante» lo aveva definito il promotore di giustizia vaticano Nicola Picardi – riguardanti la Gendarmeria e il ruolo del suo comandante. Materiali che poi sarebbero finiti nel libro di Nuzzi. Il tecnico informatico non viene trovato in possesso di documenti riservati trafugati dalla scrivania del Papa o del suo segretario particolare. Non ci sono – stando a quanto detto in aula – carte segrete, cifrati, o corrispondenza riservata. Ci sono accuse o illazioni sulla Gendarmeria.
  
Chi ha dato queste carte a Sciarpelletti? Paolo Gabriele, con il quale il tecnico informatico era in contatto. Che cosa ha fatto Sciarpelletti con queste carte (documenti a quanto pare è un termine improprio)? Nulla, li mette nel cassetto della sua scrivania d’ufficio, in Segreteria di Stato. Non li nasconde a casa, non li distribuisce, non li smista. Restano lì per oltre due anni. 

Perché allora Sciarpelletti viene arrestato, passa una notte in cella e viene presumibilmente torchiato, quindi rilasciato su cauzione di mille euro? Ma soprattutto perché il 13 agosto viene rinviato a giudizio? Per «favoreggiamento» nei confronti di Paolo Gabriele, in quanto ha dato due versioni diverse in successivi interrogatori a proposito della fonte di quelle carte. In un primo momento aveva detto che quelle carte gliele aveva date Gabriele, in un secondo momento fa il nome di monsignor Polvani. Nella sentenza emessa ieri, si legge che Sciarpelletti viene condannato «per avere egli aiutato a eludere le investigazioni dell’Autorità». Insomma, il tecnico che sotto stress s’impasticciava – come ha riferito in aula Polvani – viene condannato per aver dato due versioni diverse su chi gli aveva consegnato una busta di carte non riservate rimasta per due anni chiusa in un cassetto. Non ha favorito Gabriele – reo confesso di aver copiato e consegnato a Gianluigi Nuzzi i documenti riservati della segreteria papale – ed è difficile immaginare, almeno alla luce dei fatti emersi dal processo, che il «pasticcio» delle due versioni differenti abbia seriamente intralciato l’indagine sul maggiordomo.

Come si è giustificato Sciarpelletti? Ha spiegato le due versioni contraddittorie come conseguenza della confusione e dello shock di essersi ritrovato sotto arresto e coinvolto nella vicenda vatileaks. Inoltre ha riferito di aver subito una operazione agli occhi che gli impediva di vedere bene, nei giorni precedenti alla perquisizione e dell’arresto. Un elemento di ulteriore confusione e «impasticciamento». C’era la volontà criminosa di eludere le indagini sull’aiutante di camera? I giudici vaticani evidentemente hanno ritenuto di sì. E che peso dare a quella frase raccontata da monsignor Polvani, il quale in aula ha detto che Sciarpelletti si sarebbe quasi scusato con lui per averlo tirato in ballo dicendo di tenere famiglia? Forse qualcuno voleva arrivare a colpire il nipote di Viganò e auspicava un suo coinvolgimento nell’inchiesta per qualche regolamento interno di conti? 

Un altro elemento di novità è stato rappresentato ieri dalla decisione del Pm Picardi di rivelare il nome di monsignor «X», l’ultima delle identità delle persone chiamate nell’inchiesta vatileaks a essere rimasta anonima: si tratta di Piero Pennacchini, attuale capo dell’ufficio contabilità della Segreteria di Stato e già vicedirettore della Sala Stampa vaticana. Aveva consegnato a Sciarpelletti una busta, il cui contenuto non doveva essere in alcun modo incriminante, dato che non c’è stato seguito giudiziario. Perché allora tirarlo volutamente in ballo, com’era già accaduto anche per i cardinali Georges Cottier e Ivan Dias, facendolo apparire come in qualche modo coinvolto? Forse per trasparenza, per rispondere alle illazioni di chi sostiene che il Vaticano non ha voluto indagare fino in fondo sui veri ispiratori di vatileaks?ANDREA TORNIELLI
CITTÀ DEL VATICANO


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