UN’ALTRA PAGINA DEL CONTRO-CATECHISMO
DI BIANCHI SU “AVVENIRE”
Il quotidiano ufficiale della Cei, e pertanto
dei cattolici italiani, sembra che faccia
ormai da anni delle scelte precise a favore del
“cattolicesimo democratico” e dell’ideologia religiosa
che questa fazione politico-
le proprie opzioni come l’unica possibile interpretazione del Vangelo.
Si tratta, a voler essere onesti, di tesi che non raramente superano i limiti dell’opinabile, ossia appaiono
sostanzialmente eretiche. Ma, pur a volerle benignamente considerare alla stregua di legittime opinioni
(formalmente eretiche non possono definirsi prima che l’autorità dottrina della Chiesa le condanni come tali),
tali tesi non hanno alcun titolo per presentarsi come l’unica verità, con l’esclusione di ogni altra tesi teologica.
E invece è proprio quello che accade: chi prospetta opzioni diverse – sempre nel campo dell’opinabile,
dove dovrebbe essere rispettato il pluralismo – non è tollerato da questa fazione politico-
al potere, e così chiunque dissenta viene sistematicamente censurato (ignorato, ridotto al silenzio),
oppure le sue critiche vengono pubblicamente stigmatizzate come attentati all’unità della Chiesa, come
lesive di quella che si è autoproclamata ortodossia ufficiale. Le intenzioni di coloro che osano dissentire
non possono che essere subdole e turpi, e per questo il direttore di Avvenire, Marco Tarquinio,
dopo che io avevo criticato in un blog la maniera con cui Enzo Bianchi presentava nel quotidiano
cattolico la figura di Cristo, mi ha ingiunto di tacere, aggiungendo che io avrei dovuto vergognarmi.
Invano avevo inviato alla redazione di Avvenire una copia del mio ultimo libro, Vera e falsa teologia,
dove si trovano esaurientemente spiegate le ragioni teologiche del mio dissenso (che non era certamente
dissenso dalla dottrina cattolica, ivi compresi naturalmente gli insegnamenti del Vaticano II, ma dissenso
dall’ideologia umanistica di Bianchi), perché Tarquino proibì che se ne parlasse e arrivò a cestinare una
sobria recensione che ne aveva fatto un antico e apprezzato collaboratore del quotidiano,
il prof. Francesco Pistoia. La stessa sorte subirono le lettere inviate al giornale in difesa
della mia posizione.
Nel contempo, tante voci si levarono in difesa di Bianchi: il mensile dei paolini, Jesus, dove pure Bianchi
era di casa, si affrettò a pubblicare un’aspra nota di censura miei confronti, firmata proprio
dal direttore del periodico; poi sul quotidiano Il foglio intervennero a l’ex abate di San Paolo,
Giovanni Franzoni, e il vescovo emerito di Ivrea, Luigi Bettazzi, i quali sostenevano che la Chiesa
conciliare,“animata dal basso”, non dovesse restare irretita dal formalismo dei dogmi ma dovesse vivere
nell’attesa del Regno che deve attuarsi nella storia mediante la liberazione degli oppressi eccetera.
Tutti hanno ripetuto, per darmi addosso, i vecchi luoghi comuni dell’antidogmatismo,
dell’antigiuridicismo, del conciliarismo democratico, della teologia politica, insaporendo le
argomentazioni ideologiche con le solite pericopi della Scrittura tolte dal loro contesto letterale
e interpretate arbitrariamente, secondo la migliore tradizione del biblicismo di esplicita
derivazione luterana.
Se è questa l’ideologia dominante, che ha saldamento in mano le leve del potere mediatico, è del tutto
comprensibile che le mie preoccupazioni dogmatiche non abbiano ricevuto alcun apprezzamento,
anzi nemmeno ascolto presso quegli ambienti. Io avevo manifestato il mio disappunto di cattolico
e di sacerdote nel vedere come il giornale dei vescovi, nella prima domenica di Quaresima, faceva
commentare il Vangelo del giorno, quello delle tentazioni di Cristo nel deserto a opera di Satana.
Nel commento, pubblicato con grande rilievo (due intere pagine a colori), l’autore, Enzo Bianchi,
presentava Gesù come una “creatura”, un semplice uomo che noi dobbiamo imitare nella sua filantropia.
Scriveva testualmente: «Gesù, essendo creatura».. Insomma, Cristo ridotto a un maestro di spiritualità,
una specie di replica del Budda! Con una nota sulla Bussola quotidiana ricordavo accoratamente che i testi
della catechesi e della predicazione al popolo non servono all’evangelizzazione se finiscono per mettere
in ombra il dogma cristologico. La fede cristiana è che Gesù è Dio fatto uomo. Egli è il Creatore, non una
creatura. La dottrina della Chiesa precisa che l’unione ipostatica va intesa nel senso che
la Persona del Verbo eterno ha assunto la natura umana senza per questo smettere di essere Dio.
Marco Tarquinio, direttore di Avvenire, non solo irrise questa mia preoccupazione per il dogma,
ma scrisse che era assurdo e vergognoso parlare di eresia a proposito del testo di Enzo Bianchi;
egli lo aveva pubblicato, come tanti altri in precedenza, perché gli era sembrata una “meditazione
profonda e sentita”.
Sicché Bianchi continua a scrivere queste cose su Avvenire, la domenica nelle pagine centrali,
con tanto di foto a colori.
Nella precedente occasione si trattava della Quaresima, che è un “tempo forte” dell’anno liturgico.
Ora siamo in un altro “tempo forte”, l’Avvento, e di nuovo Bianchi ha modo di propinare ai fedeli
cattolici il suo anti-
contesto torna a riferirsi Cristo, nostro Signore, in un modo che mi urta, come certamente urta chiunque
viva la fede cattolica e abbia pertanto un profondo sentimento di adorazione nei confronti del Verbo
Incarnato.
A un certo punto Bianchi, riferendosi al giudizio universale, scrive: «Gesù confessa la sua ignoranza relativa
all’ora precisa del giorno del giudizio: “Quanto a quel giorno o a quell’ora, nessuno lo sa,
né gli angeli del cielo né il Figlio, ma solo il Padre” [Mc 13,32].
Se Gesù non conosce l’ora, annuncia però il criterio del giudizio: il concreto amore fraterno».
Ora, parlare di Gesù come di uno che «confessa la sua ignoranza» suona a bestemmia,
almeno per chi adora Gesù come il Verbo eterno, consustanziale al Padre, che tutto sa e tutto può.
olo uno come Bianchi, chi insiste a presentare al popolo Gesù come un semplice uomo (un uomo
esemplare,di grande spiritualità, tanto da poter essere chiamato “Figlio di Dio”, ma pur sempre un uomo)
può parlare in questi termini. Evidentemente, Bianchi confida, da una parte, dall’appoggio incondizionato
di cui gode in certi ambienti ecclesiastici, e dall’altra sull’ignoranza del pubblico cui si rivolge.
La gran massa dei fedeli cattolici, infatti, soffre di una specie di analfabetismo di ritorno in materia di
dottrina, e questa ignoranza (l’ignoranza, colpevole o meno, di noi uomini, non certamente l’ignoranza
presunta di Cristo) è il vero dramma religioso che ci interpella tutti. Il relativismo dottrinale ha pervaso
a tal punto la coscienza di tanti fedeli che non hanno avuto mai una adeguata catechesi circa il dogma
cristologico da renderli insensibili alle più orrende bestemmie.
Non mi meraviglia constatare che molti non avvertono alcun disagio nel leggere espressioni blasfeme
nei riguardi di Cristo come quelle che rilevano sette mesi fa e rilevo anche oggi negli scritti di Bianchi.
Ma chi ha sensibilità pastorale deve ragionare così: proprio perché c’è una carenza sempre più estesa
di formazione catechistica nel popolo, è responsabilità degli operatori della pastorale far sì che gli strumenti
della catechesi sappiano fornire argomenti di riflessione che mettano in luce, e non in ombra, il dogma
centrale della nostra fede. Se non si predica che Gesù è Dio, come si può sperare che ci sia culto eucaristico?
Come si può sperare che i “lontani” ritornino alle pratiche religiose, che sono tutte incentrate sull’adorazione
di Cristo, vero Dio e vero Uomo, veramente presente nell’Eucaristia?
Come si può attuare il programma pastorale del Vaticano II, che chiede di fare dell’Eucaristia
«il centro e la radice di tutta la vita cristiana»?
Prima dicevo che il metodo perverso del biblicismo consiste nell’utilizzare retoricamente parti della
Scrittura, selezionandole e manipolandole per scopi di natura ideologica, cioè per sostenere tesi
preconfezionate. Da secoli gli esegeti cattolici hanno chiarito il senso di quella pericope evangelica
citata da Bianchi. La Scrittura non vuole insegnare che Cristo avesse “ignoranza” di alcunché, ma solo che
la sua rivelazione dei misteri del Padre era limitata ad alcuni contenuti; la missione di Cristo, rivelatore
del Padre, ha dei limiti precisi. Del resto, basta usare il metodo esegetico corretto, che richiede sempre
il ricorso all’analogia della fede, per accorgersi che la Scrittura insegna proprio l’onniscienza di Gesù,
perché c’è una sola Persona ed è la Persona del Verbo. E Gesù dice di sé: «Nessuno conosce il Padre
e non il Figlio e colui al quale il Figlio voglia rivelarlo».
Questo Figlio, secondo il Vangelo di Giovanni (Gv 1, 1-
Gesù, Dio fatto uomo, ha una conoscenza umana limitata, unitamente alla visione immediata di ogni cosa
che compete all’onniscienza divina. Tutti ricordano l’espressione di Pietro, dopo la Resurrezione, quando
si rivolge a Gesù e gli dice «Signore, tu sai tutto!». Prima ancora, Tommaso apostolo rivolge al Risorto
questa esplicita professione di fede nella sua divinità: «Tu sei il mio Signore, tu sei il mio Dio!».
La Tradizione non ha mai tralasciato di porre l’accento sulla divinità di Cristo. Si pensi, ad esempio,
a come parla dei Novissimi (il tema di cui si è voluto occupare Bianchi nello scritto su Avvenire
del 6 dicembre) san Giovanni Crisostomo: «Quando Tu, vita immortale, discendesti incontro alla morte,
allora annientasti l’Inferno con il fulgore della tua divinità; poi però, quando resuscitasti i morti dai luoghi
sotterranei, tutte le potenze che sono sopra il cielo esclamarono: “Gloria a te, o Cristo, Dio nostro, che dai
la vita!”».
Non è comunque solo il dogma cristologico a essere ignorato da Bianchi con il ricorso ad arbitrarie
interpretazioni della Scrittura. Anche il tema della giustizia divina e del castigo delle colpe è maltrattato
nello scritto del 16 dicembre su Avvenire.
Con sicumera davvero infondata Bianchi afferma perentoriamente che «Dio non ci castiga mentre
siamo in vita»; poi, per giustificare questa sua tesi teologicamente insostenibile aggiunge:
«In questo caso [se cioè Dio ci castigasse in vita, ndr] saremmo infatti “costretti” ad agire secondo
il suo volere, senza la libertà che appartiene alla nostra dignità umana». Si tratta certamente di considerazioni
antropologiche prive di qualsiasi coerenza logica, perché il concetto di “castigo” presuppone la colpa e
quindi l’esercizio della libertà, con la conseguente responsabilità, sia prima che dopo il castigo stesso
(per questo esiste la figura morale della recidività, ossia della colpa liberamente ripetuta anche dopo
un’eventuale ammonizione e un’eventuale il castigo, persino dopo un’eventuale pentimento).
Ma a ma preme soprattutto rilevare come il presunto biblista (Bianchi) ignora gli innumerevoli fatti
raccontati dalla Scrittura, sia dell’Antico che del Nuovo Testamento, dai quali si evince che la giustizia
divina ritiene a volte che sia un bene per i peccatori che sia loro inflitto un salutare castigo già nella vita
presente. Basti accennare, per quanto riguarda l’Antico Testamento, al diluvio universale, alla distruzione
di Sodoma e Gomorra, alle piaghe d’Egitto, alle vicissitudini degli Ebrei nei quarant’anni dell’Esodo
(ed è significativo che Dio punisca molte volte il suo stesso popolo per le sue ripetute infedeltà,
e alla fine anche Mosè, l’«amico di Dio», è castigato e impedito di entrare nella Terra promessa).
Poi, per quanto riguarda il Nuovo Testamento, basti ricordare la pedicazione di Giovanni il Battezzatore,
il quale si rivolge a quei giudei che si vantano delle loro origini e li ammonisce, dicendo: «Razza di vipere,
chi vi ha insegnato a sfuggire all’ira imminente?» (Lc 3,7); l’ammonimento, con la minaccia
del castigo divino, era inteso a provocare la decisione di fare finalmente delle «opere degne della
conversione» (Lc 3,8), ossia ad operare liberamente e meritoriamente per salvare la propria anima
al giudizio finale, perché «ogni albero che non porta buon frutto, sarà tagliato e buttato nel fuoco» (Lc 3,9).
Poi, per passare da un esempio di pene temporali solamente minacciate a pene temporali effettivamente
comminate, basti pensare al drammatico episodio, narrato negli Atti degli Apostoli, dei coniugi cristiani
Anania e Saffira, puniti da Dio con la morte per aver mentito agli Apostoli riguardo alla messa in comune
dei loro beni.
Anche nelle lettere di san Paolo e nella Lettera agli Ebrei si parla chiaramente di taluni mali temporali
che devono essere interpretati come castighi che Dio infligge per spingere i peccatori alla penitenza.
Le considerazioni astratte che si fanno per negare questa verità di fede sono basate su fantasiose
teorie psudo-
degli intellettuali progressisti, una levata di scuti contro il prof. Roberto De Mattei il quale aveva parlato
di alcune calamità naturali ipotizzando (legittimamente) che potessero essere interpretate come un castigo
divino per ammonire un’umanità lontana da Dio e sempre più immersa nel peccato.
Antonio Livi Monsignor Antonio Livi 20.12.2012
FALSI PROFETI
di Antonio Livi
17-
Enzo Bianchi si presenta come il priore della Comunità di Bose,
che i cattolici ritengono essere un nuovo ordine monastico, mentre
canonicamente non lo è, perché non rispetta le leggi della Chiesa
sulla vita comune religiosa. I cattolici lo ritengono un maestro di
spiritualità, un novello san Francesco d’Assisi capace di riproporre
ai cristiani di oggi il Vangelo sine glossa, ma nei suoi discorsi
la Scrittura non è la Parola di Dio custodita e interpretata dalla Chiesa ma solo un espediente
retorico per la sua propaganda a favore di un umanesimo che nominalmente è cristiano
ma sostanzialmente è ateo.
Ecco, ad esempio, come Enzo Bianchi commentava il racconto evangelico delle tentazioni di Gesù
nel deserto:«Gesù non si sottrae ai limiti della propria corporeità e non piega le Scritture
all’affermazione di sé;al contrario, egli persevera nella radicale obbedienza a Dio e al proprio essere
creatura, custodendo con sobrietà e saldezza la propria umanità» (Avvenire, 4 marzo 2012).
Insomma, un’esplicita negazione della divinità di Cristo, il quale è ridotto a simbolo dell’etica
sociale politically correct, l’etica dell’uomo che – come scriveva Bianchi poco più sopra –
deve «avere il cuore e le mani libere per dire all’altro uomo:“Mai senza di te”» (ibidem).
Grazie al non disinteressato aiuto dei media anticattolici, Enzo Bianchi ha saputo gestire molto bene
la propria immagine pubblica: quando si rivolge a quanti si professano cattolici, Enzo Bianchi
veste i panni del “profeta” che lotta per l’avvento di un cristianesimo nuovo (un cristianesimo
che deve essere moderno, aperto, non gerarchico e non dogmatico, cioè, in sostanza, non cattolico);
quando invece si rivolge ai cosiddetti “laici” (ossia a coloro che hanno smesso di professarsi cattolici
oppure non lo sono mai stati ma desiderano tanto vedere morire una buona volta il cattolicesimo),
Enzo Bianchi si presenta simpaticamente come loro alleato, come una quinta colonna all’interno
della Chiesa cattolica (se non piace la metafora di “quinta colonna” posso ricorrere alla metafora,
ideata da Dietrich von Hildebrand, di “cavallo di Troia nella Città di Dio”).
Ora, che i media anticattolici (il Corriere della Sera, la Repubblica, La Stampa, L’Espresso) ospitino
volentieri i sermoni del profeta della fine del cattolicesimo (così come ospitano i sermoni di tutti i piccoli
e grandi intellettuali, cattolici e non, che auspicano una Chiesa cattolica senza più dogma, senza morale,
senza sacramenti, senza autorità pastorale) non desta meraviglia, visto che si tratta di gente che porta
acqua al loro mulino; invece, che i media ufficialmente cattolici si prestino (da almeno dieci anni!)
a operazioni del genere fa comprendere fino a qual punto di confusione dottrinale e di insensibilità
pastorale si sia arrivati nella Chiesa, almeno in Italia (anche se forse negli altri Paesi di antica tradizione
cristiana le cosa stanno pure peggio).
Ho parlato di “insensibilità pastorale”, perché è evidente che organi di informazione che sono
istituzionalmente al servizio della pastorale (penso a Famiglia Cristiana, che fu fondata da chi voleva
promuove l’apostolato della “buona stampa” e che per decenni è stata diffusa soprattutto nelle chiese;
penso ad Avvenire, quotidiano voluto da Paolo VI e gestito dalla Conferenza episcopale) non dovrebbero
contribuire alla diffusione di ideologie che sono per l’appunto l’ostacolo massimo che oggi la pastorale
si trova davanti. La pastorale infatti è costituita essenzialmente dalla catechesi e dall’evangelizzazione,
ossia dall’offerta della verità e della grazia di Cristo a chi già crede e a chi ancora deve arrivare alla fede.
Come si fa a portare la verità e la grazia di Cristo agli uomini (quelli di oggi, non diversamente da
quelli di ieri) se si nasconde loro che Cristo è il Salvatore, cioè Dio stesso fatto Uomo per redimerci
dal peccato e assicurarci la salvezza eterna? Come si fa ad avvicinare gli uomini all’Eucaristia, fonte
della vitasoprannaturale, se agli uomini di oggi si nasconde il mistero della Presenza reale, se non li si
educa allo spirito di adorazione, se si annulla la differenza tra l’umano e il divino,
se la “comunione” di cui si parla non è principalmente con Dio ma esclusivamente con gli altri uomini
(e “comunione” vuol dire solo solidarietà,accoglienza, “fare comunità”)?
Come si fa a far amare la Chiesa di Cristo, «colonna e fondamento della verità», se viene messo in ombra
il carisma dell’infallibilità del magistero ecclesiastico, se viene esaltato lo spirito di disobbedienza
e la critica demolitrice della legittima autorità stabilita da Cristo stesso?
Insomma, non è certo segno di sensibilità pastorale orientare il criterio dottrinale dei propri lettori
(per definizione si suppone che siano cattolici) con i discorsi bonariamente eretici di Enzo Bianchi.
Il quale, peraltro, non fa mistero della sua piena condivisione delle proposte riformatrici di Hans Küng,
che con il linguaggio tecnico della teologia dogmatica ha enunciato e continua a enunciare le medesime
eresie che Bianchi enuncia con il linguaggio retorico della saggistica letteraria.
Nessuno si è sorpreso infatti leggendo sulla Stampa di Torino un recente articolo di Enzo Bianchi
(13 marzo 2012) nel quale il priore di Bose ribadisce il suo sostegno alle tesi di Hans Küng,
prendendo occasione da una nuova edizione italiana del suo Essere cristiani.
Hans Küng, che è il più famoso (meglio si direbbe famigerato) di tutti i falsi teologi che hanno diffuso
nella Chiesa cattolica, a partire dalla seconda metà del Novecento, le ideologie secolaristiche che oggi
costituiscono quell’ostacolo alla pastorale del quale parlavo. Lo esalta presentandolo come una specie
di “dottore della Chiesa” ingiustamente inascoltato, guardandosi bene dal ricordare (ma lo sanno persino
molti lettori della Stampa) che il professore svizzero ha sempre negato la verità dei dogmi della Chiesa
e il fondamento teologico della morale cattolica, disconoscendo sempre la funzione del magistero
ecclesiastico (a partire dal libro intitolato Infallibile?).
Küng non è stato scomunicato né è stato messo a tacere (peraltro,tutti gli editori più importanti
dell’Occidente scristianizzato hanno pubblicato e diffuso le sue opere), e non c’è ragione alcuna
per la quale egli debba presentarsi ed essere presentato come una vittima della repressione da parte
della gerarchia ecclesiastica.
Per disegnargli intorno alla testa l’aureola della santità, Enzo Bianchi parla di Küng come di un
protagonista del Vaticano II, facendo finta di ignorare che un concilio ecumenico è un’espressone
solenne del magistero ecclesiastico (protagonisti ne sono soltanto i vescovi, e i documenti approvati
al termine dei lavori hanno un eminente valore per la dottrina della fede in quanto convocato, presieduto
e convalidato dai Papi) e non un convegno internazionale di teologi (Hans Küng, come “perito”,
non ha avuto nel Concilio né voce né voto).
Insomma, Enzo Bianchi vorrebbe far credere che Küng, malgrado i suoi meriti teologici, non avrebbe
ottenuto dall’autorità ecclesiastica la benevolenza e i riconoscimenti che gli spettavano;
addirittura, insinua Bianchi,alla Chiesa conveniva mettere Küng, piuttosto che il suo collega Ratzinger,
a capo della congregazione per la Dottrina della fede.
Sono assurdità che possono andar bene solo per i lettori della Stampa (quotidiano di collaudata tradizione
massonica), ai quali non importa nulla della fede cristiana ma sono ben contenti di vedere la Chiesa
cattolica in preda a una profonda crisi dottrinale e disciplinare, sperando che tutto ciò affretti la sua
definitiva scomparsa dalla scena sociale e politica. Ma Bianchi è ospitato anche dalla stampa cattolica,
e in quella sede l’assurdità di cui parlavo dovrebbe essere percepita da qualcuno.
Qualcuno dovrebbe rinfacciare a Bianchi l’ipocrisia di presentare come vittima del potere ecclesiastico
senza dire che il teologo svizzero non ha mai voluto riconoscere la legittimità (cioè l’origine divina)
di questo potere, che ad altro non serve se non alla custodia fedele e alla interpretazione infallibile
della verità che salva.
Bianchi si guarda bene dal riferire tutte le contumelie e gli insulti che Hans Küng è solito scrivere
(anche in italiano, sul Corriere della Sera) contro quei papi (soprattutto Paolo VI e Giovanni Paolo II)
che non gli hanno dato ragione (e come avrebbero potuto?).
IL COMMENDO DI DON CHISCIOTTE:Questo magistrale pezzo di Monsignor
LIVI,
ha aperto la strada a una critica doverosa e necessaria ad un fenomeno religioso
anomalo e unico nel suo genere.
Consigliamo vivamente di leggere con frequenza gli scritti del preparatissimo
e coltissimo Teologo e Filosofo del quale si può trovarein questa sua pagina
ampia documentazione della sua straordinaria opera di verità e conoscenza
della VERA TEOLOGIA. Roba di cui oggi sentiamo un disperato bisogno
in mezzo a millantatori e parolai di ogni genere e risma.
http://bosecuriose.it/monsignor-antonio-livi.html
ha aperto la strada a una critica doverosa e necessaria ad un fenomeno religioso
anomalo e unico nel suo genere.
Consigliamo vivamente di leggere con frequenza gli scritti del preparatissimo
e coltissimo Teologo e Filosofo del quale si può trovarein questa sua pagina
ampia documentazione della sua straordinaria opera di verità e conoscenza
della VERA TEOLOGIA. Roba di cui oggi sentiamo un disperato bisogno
in mezzo a millantatori e parolai di ogni genere e risma.
http://bosecuriose.it/monsignor-antonio-livi.html
OSSERVO IL MONDO E SUSSULTO… MIO DIO!
Satiricus & Bose Curiose
Pubblicato il dicembre 20, 2012
Gli amici di Bose Curiose hanno apprezzato l’ironico Fratelenzo: brucia per me! al punto da segnalare Satiricus come fortemente consigliato sulla testata del loro sito.
Satiricus profondamente commosso.
PS: Bose Curiose era già da qualche mese sui link dei miei siti consigliati.
Satiricus profondamente commosso.
PS: Bose Curiose era già da qualche mese sui link dei miei siti consigliati.
Un commento “Satiricus & Bose Curiose” →
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Gentilissimo amico, quando si incontrano ironia e intelligenza, se manifestati nel coraggio di andare contro la massa, in più gratis… senza alcun possibile vantaggio che non sia la libertà di pensiero, non può esser per noi altri che..”giù il cappello” e un sincero inchino come un cavaliere deve quando virtù incontra. Mercanzia rarissima al dì odierno caro fratello. Quando il fato (per i creduloni) per me Dio me lo donano, non posso far altro che esporlo con fiera audacia al moderno aeropago digitale, in cui giganteggiano nani ( con barbettarasoio e finte identità) e ballerine. Che il buon Dio abbia in gloria queste rare menti. Proseguire con immutato impeto battagliero.
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