Questo fatto ha gettato nello sconcerto non pochi cattolici
italiani, che si domandano se si tratti di pronunciamenti ufficiali della
gerarchia o di opinioni di alcuni esponenti del mondo ecclesiastico italiano.
Se è vero
che gli articoli pubblicati sul quotidiano della Santa Sede sono sottoposti al
preventivo vaglio della Segreteria di Stato vaticana, è pur vero che l’articolo
del 27 dicembre non è stato redatto da un ecclesiastico ma è l’espressione di
un’opinione del notista politico del giornale vaticano Marco Bellizi. Quanto
alle dichiarazioni del presidente della CEI, peraltro piuttosto generiche, esse
sono state rilasciate nel corso di una intervista estemporanea fatta per
strada.
Non si tratta, quindi, in entrambi i casi, di pronunciamenti
ufficiali gerarchici, ma solo e soltanto di opinioni personali. Lo testimonia,
tra l’altro, l’articolo del “Corriere della Sera” del 31 dicembre, che titola:
“Quei dubbi nella Chiesa dopo il sostegno al premier” e, nell’occhiello: “Le
parole della Cei, i silenzi del cardinale Scola, le perplessità di Ruini”.
Peraltro,
un pronunciamento ufficiale della gerarchia presupporrebbe un attento esame
dottrinale, mediante un corposo documento, della “agenda” del candidato premier
e, comunque, sarebbe difficile immaginare un intervento in favore di una
persona e di un programma che di cattolico hanno ben poco, se non la
partecipazione alla messa domenicale.
Come coniugare con la dottrina sociale cattolica il
programma di liberalizzazioni, comune ai due principali contendenti delle
prossime elezioni politiche, fondate, in fin dei conti, sul pensiero liberista
e, quindi, illuminista, degli economisti della cosiddetta scuola austriaca,
rivisitato, nel caso di Monti, dal keynesianesimo del suo maestro James Tobin ? [1]
Di comunanza tra i programmi dei due esponenti politici
parla anche Eugenio Scalfari, che nel suo editoriale domenicale su “la
Repubblica” del 30 dicembre, scrive: “Tra l’agenda Bersani e quella Monti non
vedo grandi differenze, anzi non ne vedo quasi nessuna…”.
Se tra il programma di Monti e quello di Bersani non c’è
alcuna differenza, allora perché prendere posizione in favore di Monti? In nome
di che?
Né va dimenticata la formazione scientifica del presidente
del Consiglio appena dimissionario. Dopo il liceo dai gesuiti
dell’Istituto milanese Leone XIII e la laurea in economia alla Bocconi, Monti,
nella seconda metà degli anni 60, partì per New Hawe, Connecticut, per una
specializzazione presso la prestigiosa università privata di Yale, fondata nel
1701 da puritani e calvinisti e alla quale si poteva accedere solo dietro
potenti raccomandazioni. Pare che il patrono di Monti, in quell'occasione, sia
stato Raffaele Mattioli, amministratore delegato della laicissima Comit, banca
fondata nel 1894 dai finanzieri ebrei Otto Joel e Federico Weil.
Da allora è stato un percorso tutto in salita, non nel senso
di faticoso, ma di continua ascesa, culminato, appunto, nell'attuale “salita in
politica”.
Non è solo la carriera accademica di Monti, iniziata nel
1969 come professore ordinario presso l'Università degli Studi di Trento e
coronata, nel 1994, dalla carica di presidente dell'Università Bocconi di
Milano, ad essere interessante, ma anche il suo percorso nel mondo dell’alta
finanza e delle lobbies politico affaristiche internazionali. Nel 1988 diviene
membro del consiglio di amministrazione della Fiat Auto S.p.A. e della Banca
Commerciale Italiana. Tra il 2005 e il 2008, è stato il primo presidente del
Bruegel, un comitato di analisi delle politiche economiche, fondato a Bruxelles
nel 2005 e attualmente presieduto da Jean Claude Trichet, governatore della
Banca Centrale Europea fino al 1.11.2011. Nel 2010 è divenuto presidente
europeo della Commissione Trilaterale, un “serbatoio di pensiero” di
orientamento neoliberista e supercapitalista fondato nel 1973 da David
Rockefeller, e membro del comitato direttivo del Gruppo Bilderberg, altro
“think-tank” del genere Trilaterale. Tra il 2005 e il 2011 è stato
international advisor per Goldman Sachs e precisamente membro del Research
Advisory Council del Goldman Sachs Global Market Institute presieduto dalla
economista statunitense Abby Joseph Cohen. È stato inoltre advisor della Coca
Cola Company, membro del "Senior European Advisory Council" di
Moody's ed è uno dei presidenti del "Business and Economics Advisors
Group" dell'Atlantic Council.
Anche se dagli incarichi apicali rivestiti nella Commissione
Trilaterale e nel Gruppo Bilderberg si è dimesso dopo la sua nomina a
presidente del Consiglio, è difficile immaginare come Monti possa sottrarsi
alle pressioni, dirette e indirette, provenienti da un tale mondo e dalle
associazioni internazionali super capitalistiche, alcune di carattere segreto,
settario e massonico, di cui ha fatto e fa ancora parte. Proprio in questi
giorni, nel discorso per la giornata della pace a Capodanno, Benedetto XVI ha
condannato la “mentalità egoistica e individualistica espressa anche da un
capitalismo finanziario sregolato”.
Un’ultima domanda, infine, ci si deve porre. Se la
candidatura Monti si rivelasse un “flop” elettorale, come i sondaggi lasciano
presagire, cosa ne sarebbe dell’immagine di chi per questa candidatura si è
tanto, e forse troppo, secondo i canoni della tradizionale prudenza
ecclesiastica, speso?
[1] Sul
tema cfr. il mio “Convergenze
e divergenze, e scelta dei cattolici”, in “Riscossa Cristiana” del
17.12.2012.
Se tanto mi da tanto,altro che "conflitto di in- teressi"!!
RispondiEliminaRuben