Le dimissioni di Papa Benedetto XVI sono circondate da tanti punti interrogativi. Ne emergono due, fra i temi su cui in questi anni mi sono focalizzato: il mistero Emanuela Orlandi e la nebbia che avvolge lo Ior, la banca del Vaticano. Tra le tante piste che si intrecciano attorno al caso Orlandi, una conduce anche allo Ior e passa per la controversa figura di mons. Paul Marcinkus, il vescovo di origine lituana, nato a Chicago che fu a capo dello Ior negli anni cruciali dell’attacco di Papa Giovanni Paolo II Wojtyla al comunismo polacco.
Ma è troppo complicato, ora, collegare quei fatti di ieri con i sospetti di oggi; meglio esaminare ciascuno separatamente i contraddittori comportamenti attorno al caso Orlandi, le strane manovre attorno allo Ior. In entrambi ci sono aspetti che portano al clima che sarebbe all’origine dell’ abbandono di Ratzinger.
Mistero Orlandi
Il 19 ottobre 1993 il programma di Raitre “Chi l’ha visto?“, allora condotto da Donatella Raffai, accostò per la prima volta il nome di un uomo del Vaticano alla scomparsa di Emanuela Orlandi e della sua coetanea romana Mirella Gregori, avvenuta nel 1983.
L’uomo in questione è Raoul Bonarelli, sovrastante maggiore del Corpo della Vigilanza del Vaticano. Il suo nome nel programma televisivo viene fatto perché la madre di Mirella ha fatto sapere ai magistrati che l’uomo da lei visto spesso seduto al bar con sua figlia e con la sua amica Sonia si chiama appunto Raoul Bonarelli.
La mamma di Mirella la segnalazione l’aveva fatta già alcuni anni prima, dopo avere visto tra gli uomini di scorta a Papa Wojtyla in visita alla parrocchia di S. Giuseppe nel rione Nomentano di Roma un individuo che le era parso fosse l’uomo del bar e del quale aveva saputo il nome informandosi nel vicinato.
Ma il giudice istruttore dell’epoca, Ilario Martella, non diede alla segnalazione nessuna importanza perché i controlli fatti a insaputa di Bonarelli non avevano dato risultati. Le cose cambiano di colpo nel ’93, quando della vecchia segnalazione si accorge per caso il nuovo giudice istruttore, Adele Rando, che il 13 ottobre mette a confronto, con esito negativo, la signora Gregori e Bonarelli. Le notizie arrivano alla Raffai, che ne parla nel suo programma con corredo di filmati della visita del Papa.
In quella occasione, come risulta dagli atti giudiziari del caso Orlandi, dal Vaticano intervennero direttamente sul direttore generale della Rai il Segretario di Stato, all’epoca Angelo Sodano, e il Segretario Generale del Governatorato e furono anche inviate varie raccomandate di diffida. Sarà stato anche un caso, ma la Rai di Bonarelli e dintorni non si occupò più molto.
Chi l’ha visto? senza la Raffai
Stando così le cose, lascia perplessi che lo stesso programma “Chi l’ha visto?“, sia pure non condotto più dalla Raffai, spari a zero contro il Vaticano fin dal 2005. Prima con il tormentone di Enrico “Renatino” De Pedis sepolto nei sotterranei della basilica di S. Apollinare; infine dando voce anche alla accuse del fratello di Emanuela, Pietro Orlandi, ormai ospite pressoché fisso del programma.
Pietro Orlandi si è impegnato anche a propagandare la raccolta di firme per le petizioni rispettivamente a papa Ratzinger e all’attuale Segretario di Stato Tarcisio Bertone lanciate dallo stesso Orlandi, petizioni che di fatto mettono sotto accusa il Vaticano e perfino il papa “santo subito!” Wojtyla. Il fratello di Emanuela è arrivato a organizzare una protesta in piazza S. Pietro il 18 dicembre 2011 e il 27 maggio dell’anno scorso in occasione della preghiera e dei saluti domenicali di Ratzinger dalla finestra del suo appartamento alla folla di fedeli in attesa.
La protesta sarà reiterata, almeno questa è la minaccia, domenica prossima, 24 febbraio, se Ratzinger non soddisferà la nuova pretesa di nominare Emanuela nel suo discorso di addio al trono papale. Come se, nominandola, potesse farla riapparire d’incanto e come se Wojtyla non l’avesse già nominata per ben otto volte di fila in altrettanti interventi pubblici già nel luglio dell’83, lanciando senza basi la pista del rapimento e danneggiando così irreparabilmente le indagini. Che infatti da allora furono messe d’autorità sul binario morto del rapimento politico finalizzato allo scambio di Emanuela con Ali Agca, condannato all’ ergastolo per avere gravemente ferito con due colpi di pistola papa Wojtyla nel 1981.
Da notare che la campagna di fatto anti vaticana è andata avanti anche quando, dal 4 maggio 2011 al 16 luglio 2012, è stata direttore generale della Rai la cattolica Lorenza Lei, molto vicina all’ Opus Dei e in ottimi rapporti con Angelo Bagnasco, il capo del vescovi italiani, e con Bertone.
Possibile che da Oltretevere a partire dal 2005 nessuno sia intervenuto con la Rai? Forse che hanno imparato a rispettare la libertà del giornalismo e l’autonomia dello Stato italiano? Non si direbbe, a giudicare da varie altre faccende. E se invece il Vaticano è intervenuto, possibile che alla Rai abbiano fatto finta di nulla per così tanto tempo? Forse che a viale Mazzini hanno imparato a rispettare l’autonomia delle reti, dei programmi e dei giornalisti? Non si direbbe, a giudicare per esempio dal trattamento riservato a Michele Santoro.
Cosa concludere? Appare giustificato il sospetto che qualche potente del Vaticano rema da tempo contro il pontificato di Ratzinger. Il sospetto è stato legittimato dalla vicenda del “corvo” Paolo Gabriele, il maggiordomo del papa colto con le mani nel sacco della sottrazione di una enorme quantità di documenti riservati di papa Ratzinger per consegnarli alla stampa.
Emanuela Orlandi. Nuzzi in tv La7 non scioglie il mistero
Il mistero di Emanuela Orlandi, avvelena come un miasma l’aria del Vaticano ancora oggi, a 30 anni dalla scomparsa della ragazza. Sarà la temperatura della Sede Vacante.
Mentre il Messaggero di Roma segnala muove attività investigative, una trasmissione in tv diGianluigi Nuzzi ha riproposto il caso per gli spettatori di La7, anche se non si è confermata all’altezza delle promesse (Come se non bastassero le decine di puntate mandate in onda dal 2005 in poi da Raitre con “Chi l’ha visto?” e l’anno scorso anche da Mediaset con “Quarto Grado“).
Le aspettative infatti erano molte, alimentate dal Corriere della Sera di sabato 23 febbraio, e da un titolo promettente: “Caso Orlandi, le intercettazioni del prete amico del boss”. Il contenuto era ancora più ghiotto, annunciava la messa in onda di intercettazioni di telefonate porno a carattere omosessuale tra quello che è considerato il nuovo Sospettato Numero Uno, un sacerdote, mons. Pietro Vergari e un giovane seminarista.
Tutto faceva pensare che la puntata avrebbe mostrato come gli inquirenti sono ormai arrivati a ritenere responsabile della scomparsa della Orlandi non più chi era nel loro mirino fino a poco tempo fa, ma il sacerdote “puntato” più o meno da un anno.
Ho collaborato in minima parte alla trasmissione di Nuzzi, procurando , una intervista scritta a Carla vedova di Enrico “Renatino” De Pedis, cioè del’uomo che tutti definiscono “il boss della banda della Magliana” anche se non esiste neppure una sentenza giudiziaria che lo confermi. Tant’è che, assai più correttamente degli altri e dello stesso Corriere della Sera, Nuzzi si è ben guardato dal definirlo in quel modo.
Quello che sconcerta è il voler insistere ancora oggi a considerare un mistero il perché della sepoltura di De Pedis in quella basilica, quando è stato chiarito fin dal 1995 al magistrato romanoAndrea De Gasperis oltre che da mie inchieste e interviste su Blitzquotidiano negli ultimi due anni scorsi oltre che in un mio libro del 2008.
Si vuole che mons. Piero Vergari abbia conosciuto De Pedis fin dal 1975-76 anziché solo dal 1986, cioè tre anni DOPO la scomparsa di Emanuela. Ma la testimonianza di Mons Vergari da me raccoltanon mi sembra lasci dubbi: “Enrico l’ho conosciuto solo più tardi, se non sbaglio nell’86. Ero in visita nel carcere di Regina Coeli e mi dissero che un detenuto di nome mi pare De Bellis voleva parlarmi, ma per errore dovuto alla somiglianza dei cognomi mi portarono De Pedis. Ecco come l’ho conosciuto. Ben dopo l’83. Altro che chiedergli di fare il becchino per conto terzi”.
Mons. Piero Vergari è il sacerdote che ha chiesto e ottenuto il permesso che la salma di De Pedis, ucciso nel febbraio ’90, venisse trasferita dal cimitero del Verano da Roma ai sotterranei della basilica per accogliere una richiesta della vedova.
C’erano ragioni sentimentali (lei aveva infatti sposato de Pedis, nel 1988, proprio in quella basilica) e pratiche (lei lavorava a meno di 200 metri di distanza e le era molto più comodo visitare la tomba del marito lì piuttosto che al Verano). Anche se non è da tutte le vedove potere avere la tomba dell’amato estinto a walking distance, è ormai noto perché mons. Vergari ha detto sì, voleva aprire i sotterranei della Basilica a sepolture private, quindi non solo a De Pedis, come peraltro confermano le centinaia di ossa trovate: inoltre De Pedis lo aveva aiutato in alcune iniziative benefiche.
Riporto il passaggio della intervista che feci a mons. Vergari nel giugno 2012:
“D – Può precisare in cosa sono consistiti gli aiuti di Enrico De Pedis alla basilica o alle sue mense dei poveri? E può spiegare meglio cosa fossero queste mense?“R – In certe circostanze si facevano per i poveri di Roma degli incontri con il relativo pranzo festivo, lui dava tutto il necessario e se avevo necessità per i libri o altro per i giovani, lui mi metteva la sua offerta in una delle quattro cassette nella cappella della Madonna”.
Eppure, dal 1995 ad oggi, chilometri di inchiostro speso male. C’è chi è arrivato a scrivere che Carla De Pedis avrebbe ammesso con i magistrati di avere versato un miliardo di lire al Vaticano per avere quella tomba, peccato solo che nei verbali non esista nulla di simile per il semplice motivo che si tratta di una delle tante affermazioni affascinanti, ma inventate di sana pianta.
Ormai anche i sassi sanno che Emanuela studiava musica (flauto traverso, pianoforte e canto corale) nel conservatorio Ludovico Da Victoria, sito al quarto piano del Palazzo di S. Apollinare, vicino a piazza Navona, e che tale palazzo NON è la basilica omonima, quella della quale don Vergari era parroco, o meglio il rettore come si usa dire quando si tratta di una basilica, e nella quale De Pedis era sepolto fino a quando l’anno scorso è stato dato finalmente il permesso di cremarne le spoglie.
La basilica è contigua al palazzo, ma pur avendo lo stesso nome, S. Apollinare, si tratta di un’altra e ben diversa costruzione, con ingresso diverso. E’ quindi francamente incredibile che per far apparire agli occhi dei telespettatori Vergari molto probabilmente colpevole del sequestro si arrivi a dire, come nella puntata de La7, che “Emanuela studiava musica nella basilica” e che “don Vergari era il padrone di casa di dove Emanuela studiava con i suoi strumenti musicali”.
Emanuela NON studiava affatto nella basilica, ma al quarto piano del palazzo vicino ma distinto, e Don Vergari non solo NON era il padrone di casa del Palazzo di S. Apollinare, ma lo stesso Palazzo ospitava varie associazioni oltre al conservatorio al suo ultimo piano, il quarto. E ospitava, al quarto piano, anche la segreteria particolare dell’allora vicepresidente della Camera dei deputati Oscar Luigi Scalfaro, futuro ministro dell’Interno e poi anche presidente della Repubblica.
Per carità, tutto è possibile e finché un caso non è risolto è bene sospettare di tutti, ma alterare i dati di fatto certi e inconfutabili per far quadrare i conti che non quadrano mai non è né serio né produttivo. Mons. Vergari poco più di un anno fa ha ricevuto un avviso di garanzia per la scomparsa della Orlandi, ma si è trattato di un atto dovuto per potergli sequestrare il computer e alcune carte che si riteneva potessero essere utili alle indagini. Il tutto sulla scorta del tormentone della pista De Pedis/S. Apollinare lanciata da “Chi l’ha visto?” sulla base di una telefonata anomima che oltre a non dire nulla di preciso aveva un chiaro sapore goliardico (era l’epoca del grande successo del romanzo e della serie televisiva “Romanzo criminale“, che tra i suoi protagonisti sotto pseudonimo si vuole avesse anche De Pedis). Dopodiché don Vergari non ha più avuto altri fastidi, non è mai stato interrogato, fa la solita vita, non teme mandati di cattura, ecc.
Vergari ha conosciuto De Pedis nel ’75-’76 anziché solo nell’86? Non si vede come, visto che Vergari era l’assistente volontario del cappellano del carcere di Regina Coeli, ma solo per il sabato, mentre De Pedis che si sappia a quei tempi era recluso a Rebibbia, dall’altra parte di Roma rispetto a Regina Coeli, che è in quel di Trastevere.
Vergari era gay e aveva telefonate erotiche con un seminarista? E allora? Cosa c’entra con la scomparsa della Orlandi? Vogliamo forse restare ai tempi in cui essere omosessuale significava poter essere colpevole di ogni ignominia e delitto? Suvvia!
In ogni caso, La7 e Nuzzi hanno avuto il buongusto di non mandare in onda le telefonata annunciata dal Corriere, si sono resi conto evidentemente che sarebbe stato solo un abuso, un segno di scarsa civiltà: l’eventuale vita sessuale di don Vergari sono solo affari suoi, se non sfocia in reati: e l’omosessualità non è più un reato.
E’ di pochi giorni fa la “grande novità” del turco Alì Agca che, nella sua 108esima versione dei fatti, accusa addirittura l’ayatollah Khomeini, la guida spirituale dell’Iran, di essere il mandante del suo attentato nel 1981 a papa Wojtyla. Non più dunque la Bulgaria comunista, l’Unione Sovietica ormai scomparsa, “il governo del Vaticano” e via delirando, ma l’Iran: che, guarda caso, è la bestia nera dell’Occidente oggi esattamente come lo era l’Unione Sovietica ieri.
Analogamente, ad avere “rapito” la Orlandi non sono più né gli amici turchi di Alì Agca né quelli della banda della Magliana né Il boss” De Pedis, ma don Vergari e/o affini. Non più dunque un “rapimento” per ricattare politicamente papa Wojtyla e lo Stato italiano pretendendo la liberazione dell’allora ergastolano Agca in cambio della restituzione della Orlandi, e neppure un “rapimento” semplicemente criminale per farsi restituire i grandi capitali prestai allo stesso Wojtyla per finanziare la lotta anticomunista nella natia Polonia.
Ormai siamo scaduti al sequestro per orge con ragazzine, a conclusione delle quali la quindicenne Orlandi sarebbe stata uccisa.
Lo spettacolo continua. Sempre più brutto.
Emanuela Orlandi. Una pista: orge nel palazzo di S.Apollinare?
È annunciata, come periodicamente capita, l’ennesima svolta del caso Emanuela Orlandi, vale a dire del mistero della scomparsa il 22 giugno ’83 della ragazza vaticana appena quindicenne. Ora i giornali scrivono di “pista sessuale” come nuova strada imboccata dai magistrati inquirenti e di interrogatori, addirittura di domenica, di tre o quattro persone. Una delle quali sarebbe un ex studente dello stesso conservatorio musicale Ludovico Da Victoria frequentato dalla Orlandi e sito al quarto piano di Palazzo di S. Apollinare. L’edificio confina con la omonima basilica e affaccia sulla piazza che pure porta il nome di S. Apollinare.
Ciò che gli inquirenti stanno cercando di appurare è chi eventualmente frequentasse la sera e la notte il Palazzo e forse la sagrestia della basilica, parcheggiando spesso l’auto nel grande cortile comune interno. Il Palazzo infatti aveva – e ha tuttora – quattro piani e solo l’ultimo era occupato dal conservatorio musicale, oltre a ospitare la segreteria particolare dell’allora vicepresidente della Camera dei deputati Oscar Luigi Scalfaro, in procinto di diventare dopo qualche settimana ministro dell’Interno prima di diventare infine capo dello Stato. Gli altri tre piani erano occupati da vari altri uffici di varie altre associazioni, tutte facenti capo all’Apsa, acronimo diAmministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica.
Le chiavi del pesante portone d’ingresso nel Palazzo le aveva perciò molta gente e i magistrati stanno cercando di capire quanta gente e possibilmente chi. Di sicuro non le aveva solo don Piero Vergari, che nell’83 era il rettore della basilica e senza il cui permesso non si poteva accedere alla sagrestia o canonica perché per timore dei ladri ne teneva sempre la porta sbarrata.
In particolare gli inquirenti stanno cercando di capire se il Palazzo la sera o la notte fosse frequentato anche da chi frequentava una specie di night club, un po’ chiacchierato, che ai quei tempi si affacciava supiazza delle Cinque Lune, sito nel palazzo dove oggi c’è il negozio Ai Monasteri, che vende i prodotti alimentari e le bevande confezionate nei monasteri italiani. Ricordiamo che un lato del Palazzo di S. Apollinare dà proprio su piazza delle Cinque Lune, che si trova all’angolo tra corso del Rinascimento e via di S. Agostino.
Per cercare di capire il tipo di gente o di fauna che poteva bazzicare nottetempo il Palazzo ed eventualmente la basilica i magistrati hanno interrogato e intendono interrogare persone che gravitavano nelle associazioni con sede negli altri tre piano di Palazzo di S. Apollinare e forse anche i gestori del localino allegro, se ancora vivi.
Da qualche tempo si tende a spostare davanti alla basilica il luogo dove Emanuela è stata vista l’ultima volta. E’ bene allora ricordare che ci sono testimonianze, di sue compagne di conservatorio, che l’ultima volta è stata vista alle 7 di sera alla fermata degli autobus di corso Rinascimento, esattamente di fronte aPalazzo Madama, sede del nostro Senato. La fermata dista dalla basilica oltre cento metri. La sera in cui scomparve, è accertato che Emanuela aveva infatti intenzione di prendere l’autobus 70 per poi prendere il 64 in Largo di Torre Argentina e arrivare così a pochi metri da Porta S. Anna, ingresso nel Vaticano dove abitava con la famiglia.
Ipotizziamo, come è ovvio che facciano anche gli inquirenti pur senza dirlo, che nel Palazzo e nella basilica si scatenassero orge, alla Stanley Kubrik, e che nel localino ci fossero donnine allegre. Di sicuro gli assatanati non si scatenavano già alle 7 di sera, di solito si aspettava la sera inoltrata, se non la notte, diciamo a partire dalle 10 di sera. Il problema è che è difficile immaginare Emanuela che per tre ore se ne sta in attesa in strada o nei paraggi, per giunta senza che nessuno l’abbia notata, lei che aveva uno zainetto, il mitico modello Tolfa, e indossava sulla camicetta bianca delle bretelle di tipo particolare.
A dire il vero di problemi ce ne sono altri due. Uno è che è arduo ipotizzare orge e affini in un immobile al cui quarto piano ha il suo ufficio il vicepresidente della Camera nonché poco dopo ministro dell’Interno o, come si soleva dire una volta, ministro di Polizia. L’altro problema è che in quella piccola piazza, di fronte alla basilica, c’è il ristorante Il Passetto, dove l’allora presidente della Repubblica Sandro Pertini amava andare non di rado a cena, come lui stesso amava raccontare. Sì, forse tutto sommato si trattava dell’ambiente ideale perché Kubrik vi ambientasse la versione clerical-politica del suo film Eyes wide shut.
E’ chiaro che gli inquirenti vogliono soprattutto capire che tipo di vita conducesse don Piero Vergari, amico del “boss della banda della Magliana” Enrico De Pedis e postulatore della sua arci famosa ed ormai eliminata sepoltura nei sotterranei della basilica. In tempi di frequenti scandali dagli Usa all’Australia di pedofilia nel clero – e di dimissioni addirittura del Papa per sfrenata gayezza e altri vizi di cardinali vaticani – certi sospetti sono inevitabili, forse d’obbligo. Non c’è quindi che da aspettare, come sempre fiduciosi nella magistratura e, soprattutto, nelle eventuali sentenze. Che non possono certo essere sostituite da scoop transeunti o da gossip, per quanto pruriginosi, o dai sospetti per antipatie personali del tipo “quel prete però ha una faccia da porco” o comunque “una faccia che non mi piace”.
Infine tre considerazioni, la prima delle quali è una notizia. Si insiste a dire, a partire da una lettera come al solito anonima pubblicata da Pietro Orlandi nel suo libro “Mia sorella Emanuela”, che De Pedis potrebbe essere stato chiamato da don Vergari per ripulire la scena di un’orgia finita tragicamente. Per sostenere questa ipotesi si afferma che non è vero che i due si siano conosciuti nell’86, come hanno spiegato sia don Vergari che la vedova di De Pedis, Carla, ma che invece si conoscevano già prima dell’83, prima cioè che la ragazzina del Vaticano sparisse.
Per supportare tale anticipo delle loro conoscenza, nei giorni scorsi è comparsa la notizia che don Vergari portava i messaggi di De Pedis in carcere a Regina Coeli, in Trastevere, al ristorante Popi Popi di suo fratello, sempre a Trastevere. Il problema è che il ristorante fino all’83 era proprietà di tale Cecere, quindi non c’era nessun Popi Popi e nessun De Pedis fratello al quale portare messaggi.
Inoltre De Pedis dal 1990 al 1994 era libero, non in carcere, e quindi non c’era nessun motivo e nessuna possibilità di portare messaggi da Regina Coeli al Popi Popi.
Senza contare che se si dice che i messaggi glieli portava don Vergari, che a fare assistenza spirituale ai detenuti ci andava il sabato, ciò vuol dire cacciare dalla scena la “supertestimone” Sabrina Minardi. Ma come? Non s’è detto e ridetto che lei era “l’amante per dieci anni” di De Pedis? Poiché De Pedis è morto nel febbraio ‘90, e poiché la matematica non è un’opinione, la liason sarebbe iniziata nell’80. Ma allora i messaggi al ristorante (non ancora esistente) dei fratelli perché non glieli portava la Minardi? Il motivo è semplice: perché dai registri delle visite del carcere, e dagli accertamenti dei magistrati, la donna e “il boss della banda della Magliana” si sono conosciuti molto più tardi e si sono frequentati al massimo per un paio d’anni essendo lei scappata in Brasile nell’88 per il dolore dovuto al fatto che De Pedis sposava non lei ma Carla.
L’ultima considerazione è che avere insistito fin dal primo momento a dire che Emanuela “è stata rapita” per giunta “solo perché era cittadina vaticana”, come insiste a dire ancora oggi Pietro Orlandi, ha solo danneggiato, e irreparabilmente, le indagini. Si comincia infatti a fare solo oggi ciò che si sarebbe dovuto fare 30 anni fa. E se si tratta di conclusione tragica di sesso con minorenni, sia pure assolutamente non consenzienti e obbligate con la forza, che ci azzecca la cittadinanza vaticana? Un po’ più di umiltà e realismo da parte di chi, tra l’altro, insiste a insultare chi non beve le versioni ufficiali, non sarebbe male.
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