ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

sabato 23 marzo 2013

Se si toglie il Male,

Se si toglie il Male, la Redenzione è impossibile e il cristianesimo non serve


Molti intellettuali cristiani, o sedicenti tali, stanno portando avanti un disegno di svuotamento interno e di graduale erosione del cristianesimo, mediante l’adozione di schemi di pensiero laicisti e la soppressione di punti fondamentali della religione cristiana, senza che i fedeli se ne accorgano più di tanto e, soprattutto, in nome della buona, anzi, dell’ottima intenzione di rendere il cristianesimo stesso più aggiornato e “illuminato” di quanto lo sia stato finora. Per illustrare questo concetto, abbiamo scelto un caso particolare: ma avremmo potuto sceglierne innumerevoli altri, perché il loro numero, ormai, è legione.

Pietro Prini (1915–2008) è stato un filosofo cattolico ”progressista”, che deprecava la divaricazione esistente fra le indicazioni del magistero ecclesiastico e il comportamenti pratico dei credenti e che auspicava, a colpi di sondaggi e di questionari, che il primo si adeguasse maggiormente al secondo, in nome di una Chiesa “al passo coi tempi”, dunque moderna, aperta, culturalmente aggiornata, cioè incline a relegare fra le anticaglie una bella fetta del soprannaturale.
Il Diavolo, per esempio. Per secoli la Chiesa ha esercitato una sorta di terrorismo psicologico sui fedeli, agitando loro davanti lo spettro del Maligno e servendosene, fra l’altro, per imbastire crudeli processi alle streghe e agli stregoni; ma è giunto il tempo di relegare tutto ciò fra gli oggetti da museo, e di scordarsi un cosiffatto pessimismo dottrinale. Il credente moderno non deve più pensare al Diavolo, anche per non fare la figura del retrogrado e del credulone.
Bei discorsi, niente da dire. Peccato che colpiscano al cuore il cristianesimo; e peccato che tanti cristiani, per non parlare dei “filosofi” cristiani, non se ne siano accorti. Sì, è vero: l’abuso che si è fatto dell’idea del Diavolo, l’enfasi che si è posta su di lui, ha finito per screditare la serietà del discorso che lo riguarda; ma è solo uno dei tanti abbagli della cultura moderna, che, nella sua smania di “aggiornare”, ha messo in soffitta tutta una serie di cose essenziali, cominciando dalla metafisica e finendo, appunto, con il Diavolo.
Il nome non piace agli intellettuali laici e progressisti, compresi quelli che si dicono cristiani? Lo chiamino pure il Male, allora: ma sia chiaro, con la “m” maiuscola e non minuscola: perché il male con la “m” minuscola è il male naturale, quello con la “m” maiuscola è il male soprannaturale. Se esistesse solo il male naturale, non ci sarebbe bisogno di tirare in ballo il Diavolo, certo, ma nemmeno di scomodare Dio. Basterebbe fare appello alle forze dell’uomo: alla sua intelligenza, alla sua volontà, al suo senso morale. E invece non basta.
Lo vediamo tutti i giorni che non basta; ce lo mostra tutto il corso della storia umana. Non è mai bastato e non basterà mai. A parte il fatto che la morale puramente umana è sempre limitata e configge inevitabilmente con altre morali, proprie di altre civiltà o di altri sistemi di valori, resta il fatto che l’uomo, da solo, non sa e non può redimersi dal male, perché egli lo porta in se stesso, in una maniera tale che gli rende impossibile liberarsene con le proprie forze. Nel migliore dei casi, l’uomo può aspirare sinceramente a liberarsene: ma quanto a riuscirci, è tutto un altro discorso. Non solo non ci riesce, accade di peggio: accade che egli compia il male, sovente, non solo quando sa di volere il male, ma perfino quando vorrebbe fare il bene.
È un mistero terribile, ma reale: chi non ha compreso questo, non ha compreso nulla della condizione umana e parla dell’uomo in maniera retorica, ideologica, senza sapere quello che dice. Non vede l’uomo per quello che è, ma per quello che vorrebbe che fosse, cioè un angelo. L’uomo non è un angelo, perché la sua volontà è libera, ma la sua natura è debole (per la precisione: non debole, ma indebolita dal peccato originale): abbandonato a se stesso, persegue per un poco la retta via, poi, inevitabilmente, si svia, si perde. Il richiamo del male si fa sentire, seducente come il canto delle sirene. E non è un male con la “m” minuscola: se lo fosse, perché l’uomo non sarebbe in grado di fronteggiarlo e di sconfiggerlo? No: è il Male con la “m” maiuscola: un Male soprannaturale, che fa leva non sulla dimensione naturale dell’uomo, ma sul mistero della sua anima, che è la sua parte soprannaturale. Va da sé che l’uomo, da quando si è convinto di essere solo un essere naturale, da quando si è “liberato” del fardello concettuale della propria anima, non riesce più a capirlo.
Nella sua anima, peraltro, vi è anche una parte che aspira al Bene con la “b” maiuscola, che aspira all’Amore, cioè a Dio: ma anche questa parte non riesce ad attivarsi senza l’aiuto che viene dall’alto, senza l’intervento della Grazia. Tanto nei confronti del Cielo, quanto rispetto all’Inferno, l’uomo si trova al centro di uno scenario cosmico: non è una creatura chiusa in se stessa, ma aperta verso l’infinito. Da tale apertura deriva il richiamo che sono in grado di esercitare su di lui tanto il Bene che il Male.
Il cristianesimo ha un senso se si ammette questa apertura trascendentale, questa dimensione soprannaturale della condizione umana: se l’uomo fosse un essere finito, non avrebbe che da scegliere tra il male e il bene, con la “m” e con la “b” minuscole: una scelta, dunque, tutta “laica” e razionale. Egli sarebbe il padrone del proprio destino, come in effetti s’immagina di essere divenuto da qualche secolo in qua. Prima non lo credeva; prima della modernità, egli sapeva di essere creatura, dunque di avere in se stesso il principio dell’essere, di partecipare all’essere, ma di non identificarsi, lui, con l’Essere. Oggi, sembra che abbia perso di vista questa semplice verità e che abbia voluto salire in Cielo al posto di Dio.
Ne abbiamo già parlato in diverse precedenti occasioni, e specialmente nell’articolo «Il concetto cristiano della redenzione tra riparazione della colpa e divinizzazione dell’uomo» (apparso sul sito di Arianna Editrice in data 05/10/2008); ma vogliamo riprenderlo ancora una volta, perché molti cristiani, sedotti dalla presunzione e dal superficiale ottimismo della cultura laica, sembrano aver perso di vista, anch’essi, la centralità della questione del peccato e del Male, e l’importanza della posta in gioco: la salvezza dell’anima.
Torniamo al libro di Pietro Prini «Lo scisma sommerso» (Milano, Garzanti, 1999), in cui l’autore cita una statistica secondo cui appena un quarto dei cattolici che si dichiarano tali, dicono di credere a Satana come un essere personale. Alla domanda: «Chi è Satana?», Prini risponde in maniera ambigua e sfumata e dà l’impressione di propendere per una interpretazione simbolica. Questo decidere le questioni teologiche coi sondaggi d’opinione non è molto filosofico, a dire il vero, e non è nemmeno molto serio; ma questo è il modo in cui numerosi intellettuali, non solo atei o agnostici, ma anche credenti, affrontano le questioni teologiche. E sia. Resta da decidere se questo “simbolo” rende ancora necessaria l’Incarnazione di Cristo; se un male che non sia soprannaturale, ma soltanto naturale, richieda ancora, per difendersene, la necessità della Grazia.
Abbiamo visto che no: niente Male con la “m” maiuscola, niente orizzonte soprannaturale, niente Dio: l’uomo può farne benissimo a meno, può contare a sufficienza sulle proprie forze. In fondo, è pur sempre la vecchia idea di Pelagio: un ottimismo antropologico che oggi piace particolarmente, perché “riabilita” l’uomo dai suoi complessi di inferiorità nei confronti di Dio (e che egli li abbia, quei complessi, anzi, quella nevrosi, lo attesta e lo proclama la parola incontrovertibile di Freud, uno dei Sette Sapienti della cultura moderna).
Il collegamento fra l’ottimismo antropologico neo-pelagiano e la perdita di senso del cristianesimo in quanto tale, è stato visto con molta chiarezza da Gianni Baget Bozzo il quale, in una recensione al libro di Prini, intitolata: «Se Satana è morto la Redenzione è impossibile» (apparsa su «Avvenire» il 20 gennaio 1999), giustamente osservava:

«Questo libro, di un filosofo, non è propriamente filosofico. Esso è un annuncio, come quello della “Gaia Scienza” di Nietzsche: Dio è morto. Prima annuncia che è morto il diavolo e con esso il peccato originale, i peccati come violazioni di norme determinate e l’inferno. Il fondamento dell’annuncio non si fonda però sull’annuncio stesso, come in Nietzsche, ma sui sondaggi e sulle opinioni dei cattolici praticanti. Il libro sta tutto nella indicazione di questi eventi come un avvenimento contemporaneo: qualcosa che non si poteva dire prima e si può dire adesso. […]
L’oggetto del libro non è, dunque, un pensiero, ma l’annuncio di un evento: finalmente l’illuminismo ha raggiunto il Cristianesimo. Vi è un pensiero profondo, essenziale alla verità del Cristianesimo, nella figura del Diavolo, del Tentatore? Il demonio rappresenta un pensiero fondamentale dell’antico e soprattutto del Nuovo Testamento: se Satana è l’inizio del male,l il male non è interiore all’uomo.  Se l’uomo fosse l’inizio del male, due soluzioni sarebbero possibili:  o la “banalità del male” di Hannah Arendt oppure l’uomo stesso come male.  Questa seconda è stata la soluzione gnostica, che è sempre ricorrente, soprattutto nella stagione del nichilismo in cui viviamo. Prini interpreta Satana come maschera del “Niente”; la funzione simbolica di Satana è di metter ein luce la radicalità e il rischio dell’alternativa tra l’Essere e il Niente. […]
Il peccato cristiano è una offesa a Dio è di qui che nasce il senso del male proprio del Cristianesimo. Tutte le espressioni di autori cristiani sul tema della dannazione e dell’inferno, anche le più sconcertanti sono comprensibili di fronte alla realtà di un Dio che è irriducibile al pensiero umano e quindi anche al concetto umano di giustizia. Solo innanzi a un tale Dio trascendente e creatore si  può pensare che il male sia “l’alternativa tra l’Essere e il Niente” e che Satana ne sia la figura. Ma ciò significa considerare il peccato innanzi a Dio, non solo come una trasgressione innanzi alla propria idea del bene. Se questo non è inteso, le idee di redenzione, di salvezza, di sacrificio, di croce, perdono senso. Sono proprio le parole fondanti del Cristianesimo che ci indicano la potenza del peccato, per cui il Figlio di Dio è morto in croce. E uno dei motivi dell’affermazione del Cristianesimo  stato dato dal fatto che esso ha preso sul serio la potenza del male come peccato, come violenza dell’uomo sull’uomo, di cui l’esperienza comune è intessuta.. […] Il racconto della tentazione del Genesi pone il demonio come principio del peccato dell’uomo e quindi esprime il male come estraneo alla natura umana: il peccato è un modo esistenziale  e non essenziale di essa. In questo modo la gravità teologica del peccato è stata mantenuta nel quadro del riconoscimento della bontà della Creazione. La storia biblica fa parte del pensiero e non del mito. Lo gnosticismo è stata la lettura mutica della Scrittura cristiana. […]
Il libro di Prini si inserisce in quel pensiero del “Dio senza l’essere” e “senza il male”, infime un Dio assente dal mondo e un mondo assente da Dio.»

A ben guardare, la tragedia del mondo moderno è tutta qui. L’uomo ha smesso di considerarsi creatura, nello stesso tempo in cui si è persuaso della sua natura puramente ed esclusivamente biologica: ne deriva un corto circuito fra ciò che pensa di essere e ciò che vorrebbe diventare, o che s’immagina di essere già diventato, per il solo fatto di essersi sbarazzato della metafisica, della spiritualità, dell’anima, dell’immortalità, del Bene e del Male.
Un uomo siffatto non si accorge per nulla di essere bisognoso di qualcosa che gli manca: oscilla fra la disperazione della propria finitezza e la megalomania della sua aspirazione alla somma potenza, che è una forma mascherata di nostalgia per la perduta credenza nella propria immortalità. Non gli resta che perseguire un qualche surrogato dell’immortalità, intesa però in senso unicamente fisico: e il surrogato che più si presta alla bisogna è quello della potenza tecnica. Mediante la potenza tecnologica, l’uomo moderno cerca di ingannare, in se stesso, la propria sete di Dio, che è anche la sete – non riconosciuta – della propria parte più vera, e la migliore.
Egli nega l’esistenza del Diavolo, anzi ne ride, non solo per un pregiudizio scientista e materialista, ma anche e soprattutto perché una tale ammissione equivarrebbe al riconoscimento della propria fragilità, della propria imperfezione, della propria condizione di bisogno: bisogno delle altezze, bisogno di aria pura, bisogno di Dio. Ma l’uomo moderno vorrebbe essere Dio egli stesso; lo ha ucciso in un selvaggio rito freudiano e ne ha preso il posto: lo ha ucciso per deporlo dal trono e per succedergli; e, anche se non sarà mai disposto ad ammetterlo, l’ha ucciso anche per non dovergli rendere conto del proprio fratello, di ciò che sta compiendo a danno dei propri simili e dell’uso che sta facendo della Creazione: un uso cinico, spietato, ferocemente egoista.
E la Redenzione non ha senso, se non nella prospettiva dell’eterno Adamo tentato dal serpente…

di Francesco Lamendola - 19/03/2013


Fonte: Arianna Editrice [scheda fonte] 

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