ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

lunedì 15 aprile 2013

DAL SOVVERTIMENTO SEMANTICO AL TEOLOGICO

Apparve, sul numero 5 “si si no no” -15 marzo 2012, un articolo di M. G. in cui, con fine ed acuta analisi veniva dimostrato, senza veli, reticenze o dubbio alcuno, la strategìa che il modernismo ha posto in atto, già prima del Concilio Vaticano II, in termini di linguaggio con cui, stando alla denuncia di Romano Amerio  - Iota unum – ed. Lindau 2009 – con l’adottare un dire circiteristico, e cioè, l’uso di una affermativa e, subito dopo, di un’avversativa quale “sì. . .ma”, “non. . .anche”, “ così. . .però”, la stessa dottrina sta perdendo la propria chiarezza a vantaggio di un’esegesi dove il possibilismo e il relativismo giocano a tutto campo.


Strategìa colta, silenziosa e accattivante - solidarietà, accoglienza, rispetto, condivisione, partecipazione attiva. . . -  dove la dialettica del capovolgimento o della contro-affermazione eccessiva dice tutto e il contrario di tutto. Basti, ad esempio, la redazione del Novus Ordo Missae di Paolo VI – il Sacrificio mutato in Cena e la singolarità e l’unicità del rito definite “Sinassi”  o assemblea, per non dire dello stravolgimento delle parole di Cristo: “sparso per voi e per molti” in “sparso per voi e per tutti” -  su cui si sono già versati fiumi di inchiostro, il più efficace dei quali fu la denuncia dei cardinali Ottaviani e Bacci o, ancora, la democratica dichiarazione conciliare D. H. [Dignitatis Humanae] con  la quale la  Chiesa propugna ed afferma il “rispetto delle idee altrui” vanificando, così, l’impegno a combattere le idee stesse quando in opposizione al Vangelo, alla legge di Dio e alla ragione stessa.

Il rispetto, e lo diciamo con convinzione, va semmai  espresso alla persona mentre le idee possono e devono essere, se necessario e se eretiche, combattute anche in modo ardente e senza inchini. Ma oggi si preferisce ritenerle tutte “rispettabili”. Ne è  prova  la convinzione di Papa Francesco I che, al rabbino Skorka, ribadisce proprio questo suo credo (cfr: Jorge Bergoglio/ Abraham Skorka: Il cielo e la terra – ed. Mondadori 2013 pag.110 “sul matrimonio fra persone dello stesso sesso” ). 

Facendo, noi, seguito a questa riflessione, ci permettiamo di aggiungere qualcosa a mo’ di esemplificazione per indicare come questo sovvertimento semantico si sia affermato anche nella corrente terminologia liturgia con riflessi negativi sulla concezione e sul rispetto del sacro.

Nella Chiesa preconciliare, la partecipazione dei fedeli al rito della Santa Messa o a qualsiasi forma devozionale – processioni, adorazione, Via Crucis, rogazioni… -  veniva definito come “Servizio” e “servir messa”era il massimo della partecipazione in questo officio, nella conferma del ministero generico di cui è portatore il fedele.
Manzoni ne ha scritto pagine magnifiche.

Da alcuni decenni è sorta, e s’è sviluppata, una nuova tipologìa di partecipazione che vien denominata pomposamente “Animazione”. Sicché la Santa Messa non “è servita da…” ma “animata da…” quasi a significare, nel rito del Sacrificio Eucaristico, un alcunché di “morto”, nella scenografìa di un obitorio ove giace un corpo senza vita al quale canti chitarraioli  e voci festivaliere rendono il soffio vitale.

Che bello animare Cristo!!

E tanta è l’esaltazione che siffatta scoperta terminologica ispira e suscita che, di fronte a una critica teologica,  al buon senso e alla logica  stessa - come ci siamo frequentemente permessi di opporre – movimenti, scouts, capocori, parroci e vescovi non sentono ragioni.
Troppo bello  dicevamo, “animare”.
Insomma: Cristo che prima del conciliabolo Vaticano II era la VIA, la VERITA’ e la VITA, Colui che dà la vita e la salvezza eterna, adesso ha bisogno di essere animato.
Ego sum resurrectio et vita; qui credit in me, etiam si mortuus fuerit, vivet” (Gv. 11,25), ma i moderni ritengono che la verità stia messa in altro modo dal momento che la vicenda di Lazzaro possa essere una bella invenzione della Chiesa primitiva!

Tutto ciò, infatti, al di là di una mera adozione terminologica, è indiziario di un più profondo degrado antropologico e parte da quell’ umanesimo divino che Paolo VI ha predicato ed affermato, come quando, presso l’ONU, il 5 ottobre 1965, ebbe a dichiarare che la Chiesa, più che altre istituzioni, attesta e fa suo il “culto per l’uomo”.

Ed è ben tanto riuscito, nella sua opera dissolutoria ed eversiva, siffatto capovolgimento semantico, e dottrinario, che il termine di cui abbiamo parlato è tipico proprio del mondo d’oggidì, quel mondo a cui la Chiesa tende spasmodicamente di unirsi e da cui mutua continuamente stili, fogge e cultura, il mondo, cioè, dei villaggi turistici, delle feste, delle balere, delle comitive, del carnevale.
In sintesi: un linguaggio semanticamente funzionale nel capovolgimento e nella squalificazione delle funzioni religiose – scopo della massoneria indicato nel “Piano” redatto a Parigi nel 1963 e rielaborato nel 1993 -, un linguaggio “di legno” della moderna società del divertimento – come la definisce Peter Hahne (La festa è finita – ed. Marsilio – 2006).

Dio si è fatto Uomo ma l’uomo, secondo Paolo VI, si è fatto Dio. E allora è veramente degno e giusto che sia lui ad… animare!
di L. P.

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