La chiesa non è più un problema, almeno per lui
Sono belle le lampadine che si accendono, illuminano i volti. Che Papa Francesco non abbia partecipato al Concilio, stava in seminario ai confini del mondo, lontano dall’estenuato piano inclinato della guerra tra chiesa e modernità, è un bel taglio di luce. Forse farà la Grande Riforma, o forse no. Il terzo Vaticano, o forse no. Ma in ogni caso, a renderlo lo stupor mundi che è, è una luce diversa: è un Papa che non ha problemi. Non ha il problema del Concilio. Del moderno e del post moderno. Nemmeno, secondo me, dei poveri (i poveri come “problema”, roba da pietose ong). Semplicemente, è un Papa che non ha il problema della chiesa come un rebus da risolvere (quello è il Papa di Moretti: “Non si può fare che scompaio?”). E questo, al mondo d’oggi, è già una cosa che farebbe girare la testa per strada, più di una bella donna.
Quando dissero il suo nome sulla loggia, a molti miei cari amici, e a me di riflesso, il cuore è balzato nel petto. Lucio Brunelli stava in piazza in mondovisione, gli è partito un sorriso trattenuto, dei suoi. Sono partite le mail e gli sms, non ci potevamo credere. Come si sta con un Papa per amico? Io non è che lo conosco. Ma so della sua lunga amicizia con alcuni miei amici, nata attorno alla rivista 30Giorni, che ora non c’è più, e a un rapporto bellissimo con don Giacomo Tantardini, che ora c’è forse più di prima. Di Bergoglio mi avevano parlato. Non come di un candidato, o almeno non a questo giro (mica siamo tutti Messori). Ma come un bel tipo, un vero cristiano, un cardinale addirittura, con cui era scattata qualcosa di più di una umana simpatia. E di molto diverso da una conventicola, da una cordata ecclesiale. Un riconoscimento tutto basato su un modo di vivere il cristianesimo come una storia semplice, e bella. Non fuori dal mondo. Non misticamente inconsapevole. Non è che si debba essere inconsapevoli dei grandi temi – islam, politica, morale, valori non negoziabili, spazi pubblici da occupare o da cui fuggire precipitosamente, coscienza e libertà – tutte cose che il mondo non considera, e che apposta da queste colonne ci piace sparare come missili. Ma la percezione, che in Papa Bergoglio è addirittura fisica, è che prima di tutto il cristianesimo sia un’altra cosa. Un fatto di vita, una storia di uomini.
Giovanni Paolo I (Luciani) ha detto una frase che basterebbe, da sola, a farne un grande Papa: “Il vero dramma della chiesa che ama definirsi moderna è il tentativo di correggere lo stupore dell’evento di Cristo con delle regole”. Quanta fatica, quanta morale, quanta “attuazione del Concilio”, quanto blabla clericale spazzato via. Bergoglio, tra le prime cose che ha detto, alla messa di Santa Marta, fregandosene della forma perché la sua forma è la sostanza, ha detto che i discepoli di Emmaus erano “fuori di sé per lo stupore… questo è grande, è molto grande… è lo stupore che viene quando ci incontriamo con Gesù”.
Così è apparso sulla loggia, buonasera. La simpatia per lui, e credo anche quello che suscita nella gente, viene da qui. “Noi crediamo in Persone, e quando parliamo con Dio parliamo con Persone: o parlo con il Padre, o parlo con il Figlio, o parlo con lo Spirito Santo. E questa è la fede. La fede è un dono, è il Padre che ce la dà”. Senza, che serve all’uomo conquistare tutto lo spazio pubblico del mondo, se poi non ci trova se stesso? Sai che palle.
Io, devo dire, sono molto contento di come sono andate le cose, anche con l’altro Papa. Parafrasando Andreotti, protettore di papi, che amava così tanto la Germania da preferirne due, io li amo così tanto i miei due papi che mi sento consolato che ce ne siano due. Sarebbe ingeneroso dire che Benedetto XVI è rimasto intrappolato nella guerra col relativismo, e ora è arrivato un vento nuovo. Ratzinger ha preso su di sé la croce di ricapitolare un secolo di subbuglio teologico, e dipanare la matassa del Concilio per il verso giusto, di riscrivere in tre splendidi libri la persona di Gesù di Nazaret, che si erano un po’ perse le tracce. Sono contento di sapere che ancora sta lì, nel recinto di Pietro, a reggere su di sé questa incombenza. Così che Francesco ne sia libero, e possa camminare con le sue scarpe dove vuole.
Devo anche dire che il Ratzinger che amo di più, a differenza del mio direttore, è quello della semplicità. Quello che soprattutto negli ultimi tempi ripeteva “vedo la chiesa viva!”, e non credo che tutti, nemmeno in curia, vedessero altrettanto, e che all’ultima udienza pubblica disse “anch’io sento nel mio cuore di dover soprattutto ringraziare Dio”. Il Ratzinger ricco di felicità che disse “abbiamo dichiarato eretici l’amore e il buon umore”, che fu il vero leitmotiv della nostra pazza campagna contro l’aborto. Il Papa insomma della “grande gioia”, il saluto per cui spesso è stato deriso come un timido e impacciato professore. E invece è della stoffa dei buonasera allegri di Bergoglio: loro lo vedono, Gesù. Basta guardarli, e non è che la gente non si accorga. Ed è questo che fa il botto. Quando Ratzinger si è dimesso temevo, sì, l’avvento di un papato da combattimento: un Papa neogollista, finalmente capace di riformare l’istituzione, di fornirsi di una sua force de frappe e fargli finalmente un culo così, al Mondo. A che sarebbe servito?
Devo anche dire che il Ratzinger che amo di più, a differenza del mio direttore, è quello della semplicità. Quello che soprattutto negli ultimi tempi ripeteva “vedo la chiesa viva!”, e non credo che tutti, nemmeno in curia, vedessero altrettanto, e che all’ultima udienza pubblica disse “anch’io sento nel mio cuore di dover soprattutto ringraziare Dio”. Il Ratzinger ricco di felicità che disse “abbiamo dichiarato eretici l’amore e il buon umore”, che fu il vero leitmotiv della nostra pazza campagna contro l’aborto. Il Papa insomma della “grande gioia”, il saluto per cui spesso è stato deriso come un timido e impacciato professore. E invece è della stoffa dei buonasera allegri di Bergoglio: loro lo vedono, Gesù. Basta guardarli, e non è che la gente non si accorga. Ed è questo che fa il botto. Quando Ratzinger si è dimesso temevo, sì, l’avvento di un papato da combattimento: un Papa neogollista, finalmente capace di riformare l’istituzione, di fornirsi di una sua force de frappe e fargli finalmente un culo così, al Mondo. A che sarebbe servito?
Invece c’è un Papa che non ha il problema. Questo credo stupisca. Sono contento che il mio direttore abbia usato questa parola, stupore. “I concetti creano gli idoli, solo lo stupore conosce”, è un’altra frase, di san Gregorio di Nissa, che ci fa compagnia da tanto tempo. Non serve manco essere teologi. Ce la disse il don Giuss. E’ una frase straordinariamente bergogliana, e io credo che l’affetto di don Giacomo per lui, e di lui per don Giacomo, nascesse da qui. Presentando un libro di Tantardini su Agostino, Bergoglio scrisse: “Alcuni credono che la fede e la salvezza vengano col nostro sforzo di guardare, di cercare il Signore. Invece è il contrario: tu sei salvo quando il Signore ti cerca. Quando lui ti guarda e tu ti lasci guardare e cercare. Il Signore ti cerca per primo”. Sono le stesse cose che dice ogni giorno, da Curato Universale. E’ questo che cambia il paradigma. Se no come le riguadagni, le periferie esistenziali? Quando parla dei cristiani “tristi, trasformati in una sorta di collezionisti di antichità oppure di novità”, ecco che tutte le pippe sul tradizionalismo, sul rinnovamento conciliare, svaniscono come un bel giorno nuovo. Ha colpito persino Patti Smith, una che disse “Gesù è morto per i peccati di qualcuno. Non certo per i miei”, può colpire chiunque, anche un “cazzone avariato” del nostro tempo, per dirla come il timidissimo Hugh Grant di “Notting Hill”, deliziosa commedia sullo stupore dell’imprevisto e della felicità.
© - FOGLIO QUOTIDIANO
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