Si consolida la ripresa - Parlano Melloni, Magister e Mancuso
La sottile gestualità del Papa gesuita
Umiliati e secolarizzati, ma all’assalto dei sacramenti
Le omelie a braccio di Francesco funzionano più dei video di David Bowie,quelli in cui si vede un prete che seduce una suora in un bordello. Ma nonostante tali episodi capaci di “suscitare la preoccupazione di qualunque coscienza liberale”, come scriveva domenica scorsa sul Corriere della Sera Ernesto Galli della Loggia, la chiesa mostra una sua vitalità, una ripresa della partecipazione popolare ai riti plurisecolari e un accostamento maggiore ai sacramenti rispetto a qualche anno fa.
E che qualcosa sia cambiato, lo si vede entrando in una delle tante chiese romane, la domenica mattina. Ci si accorge subito che fuori dai confessionali c’è un insolito assembramento di fedeli in attesa di entrare per ottenere l’assoluzione. Più che i numeri e le statistiche diffuse nelle ultime settimane, basta guardare le piazze. Piene. Un ruolo significativo in questo risveglio lo ha avuto Francesco, il Papa venuto dalla fine del mondo che ogni mercoledì mattina scambia il proprio zucchetto bianco con quello che gli porge un bambino, un pellegrino, un giovane prete. Certo, dice al Foglio lo storico Alberto Melloni, che ha appena pubblciato un libro sul modo di essere dei cristiani, “la curiosità attorno al nuovo Papa è tutt’altro che un fatto inedito. L’aspetto nuovo è il contenuto che la gente trova negli incontri con Francesco. L’atteggiamento del Papa e la sua predicazione sono diversi rispetto a quelli degli immediati predecessori. Mentre in loro era forte l’idea che il magistero fosse imperniato su ciò che attiene alla sfera pubblica e ai guai della società, quella di Bergoglio è una predicazione pastorale, molto vicina a quello che si può definire un accudimento del percorso spirituale delle persone”.Una ripresa lenta ma costante
La folla alle celebrazioni presiedute dal Pontefice e un riavvicinamento dei fedeli ai riti della tradizione cattolica non sono fuochi fatui, dice al Foglio il vaticanista Sandro Magister: “La ripresa c’è, è un fatto reale, anche se non inizia con questo pontificato. E’ una crescita che si registra negli ultimi anni sia nelle feste sacre popolari sia nelle processioni tradizionali. Dopo un periodo di oscuramento tra gli anni Settanta e Novanta, è iniziata una lenta ma continua ripresa della partecipazione a questo tipo di celebrazioni”.
Il 30 maggio, nonostante la pioggia e la temperatura poco primaverile, le transenne approntate dal servizio d’ordine contenevano a stento le migliaia di persone accalcate per vedere Francesco che a piedi procedeva lento dal Laterano a Santa Maria Maggiore per il Corpus Domini. Erano talmente tanti i fedeli che man mano che il corteo avanzava verso la basilica mariana le barriere di sicurezza venivano tolte, per permettere a tutti di accodarsi alla lunga teoria di cardinali, vescovi e sacerdoti che seguivano il Pontefice. Bergoglio pareva estraniato da tutto: avvolto nel candido piviale, teneva lo sguardo fisso sul Santissimo posato sul furgoncino (versione moderna e pacchiana dell’antico talamo su cui sedeva il Papa in adorazione) che negli anni scorsi permetteva a Giovanni Paolo II prima e Benedetto XVI poi di non affaticarsi troppo. Francesco ha preferito che a scortare l’ostensorio fossero due giovani diaconi. Ai suoi lati, i flash delle macchine fotografiche illuminavano a intermittenza il Papa, gli applausi senza sosta.
Lo chiamano “fattore-Francesco”. I santini con il volto sorridente di Francesco vanno a ruba nei negozietti delle vie vicino San Pietro. Perfino i commercianti cinesi ammettono che gli oggetti con impressa la faccia di Bergoglio sono molto quotati: tazze, catenine, cartoline e improbabili statuette kitsch vanno a ruba. Ma Francesco a tutto ciò è indifferente, non vuole essere lui l’oggetto del culto. Salutando i fedeli giunti a Roma da tutto il mondo in occasione della giornata dedicata ai movimenti, disse: “Facendo il giro in jeep, sentivo che continuavate a chiamare Francesco, Francesco. Mai avete detto Gesù, Gesù. Ecco, basta Francesco. D’ora in poi solo Gesù”. Anche in via Merulana, durante la processione del Corpus Domini, i cori per Francesco si alzavano non appena passava il Papa. Ma lui non si faceva distrarre. Guardava avanti, gli occhi fissi sull’ostensorio, come fa ogni mattina quando eleva l’ostia sull’altare di Santa Marta: dieci secondi abbondanti nei quali è assorto, quasi rapito, da ciò che tiene in mano.
“Tipicamente gesuita”, osserva Magister, aggiungendo che la gestualità di Francesco “non è per nulla improvvisata, ma sempre molto calcolata. Anche quando parla a braccio, le cose le ha ben pensate prima di pronunciarle. Insiste sempre sugli elementi che vanno incontro alla ripresa di interesse partecipativo da parte dei fedeli, in quanto aiutano a capire cos’è l’essenziale”. Insomma, c’è ben altro e di più profondo del buon pranzo e del buona sera.
Un esempio, per il vaticanista dell’Espresso, è dato dall’adorazione eucaristica di domenica scorsa in San Pietro: “A dominare è stato il silenzio, che tra l’altro è una cifra del predecessore. E’ stato Ratzinger, spiega Magister, a iniziare l’adorazione silenziosa. Era il 2005, era stato eletto da pochi mesi, e inaugurò quella pratica in occasione della Giornata mondiale della gioventù a Colonia”. Una scelta potenzialmente azzardata, perché “decise di affrontare una platea che poteva essere non particolarmente sensibile a un richiamo del silenzio così netto”. Un lascito fatto proprio da Bergoglio, soldato di Ignazio e quindi abituato a pregare da solo con Dio, in silenzio. Già a partire dalla sera stessa dell’elezione, affacciandosi alla Loggia delle Benedizioni. Preghiera collettiva per il predecessore, per la chiesa e per se stesso: “Facciamo in silenzio questa preghiera di voi su di me”.
Lui in alto, a capo chino; la piazza, sotto, di colpo muta. E anche pochi giorni dopo, salutando nell’Aula Nervi i giornalisti che avevano seguito i giorni difficili dell’interregno: niente formula di rito per la benedizione finale, niente mano destra alzata a segnare una ideale croce. “Dato che molti di voi non appartengono alla chiesa cattolica, altri non sono credenti, imparto di cuore questa benedizione, in silenzio, a ciascuno di voi, rispettando la coscienza di ciascuno”, disse quel giorno Francesco. Una cosa mai vista. Il Papa aveva sempre benedetto le folle: durante le visite negli ospedali o nelle carceri, passando in piazza San Pietro sulla sedia gestatoria o sulla papamobile, scendendo dalla scaletta di qualche aereo o appena aperta la portiera dell’auto con le bandierine gialle e bianche. Un gesto, quello di Bergoglio, che non a caso fece dire al vaticanista Luigi Accattoli che Francesco “non è solo un nuovo Papa, ma un Papa nuovo”.
L’umiltà plateale di Francesco
Un copione che si è ripetuto pressoché uguale ancora pochi giorni fa, all’Angelus domenicale: un minuto di silenzio per i caduti nelle missioni di pace. Lo ha chiesto lui, dalla finestra dello studio privato: “Facciamo insieme, adesso, in silenzio, nel nostro cuore una preghiera per i caduti, i feriti e i loro famigliari. In silenzio”. E quella piazza che fino a poco prima mostrava tutto il suo entusiasmo per il Papa argentino, divenne di colpo silenziosa. D’altronde, dice Melloni, “il magistero è fatto di tre cose: gesti, parole e silenzio. E saper ottenere il silenzio è molto rilevante; l’idea di lasciare lo spazio al vuoto ha un valore spirituale molto forte”. In Francesco, continua lo storico del Cristianesimo, “c’è la percezione vistosa di un’umiltà plateale. E’ un uomo incredibilmente sicuro, basti pensare alla scelta del nome Francesco, alla capacità di far tacere la piazza, l’inchinarsi, dire le cose che dice. In lui c’è una calma, una tranquillità sorprendente”.
L’umiltà plateale di Francesco
Un copione che si è ripetuto pressoché uguale ancora pochi giorni fa, all’Angelus domenicale: un minuto di silenzio per i caduti nelle missioni di pace. Lo ha chiesto lui, dalla finestra dello studio privato: “Facciamo insieme, adesso, in silenzio, nel nostro cuore una preghiera per i caduti, i feriti e i loro famigliari. In silenzio”. E quella piazza che fino a poco prima mostrava tutto il suo entusiasmo per il Papa argentino, divenne di colpo silenziosa. D’altronde, dice Melloni, “il magistero è fatto di tre cose: gesti, parole e silenzio. E saper ottenere il silenzio è molto rilevante; l’idea di lasciare lo spazio al vuoto ha un valore spirituale molto forte”. In Francesco, continua lo storico del Cristianesimo, “c’è la percezione vistosa di un’umiltà plateale. E’ un uomo incredibilmente sicuro, basti pensare alla scelta del nome Francesco, alla capacità di far tacere la piazza, l’inchinarsi, dire le cose che dice. In lui c’è una calma, una tranquillità sorprendente”.
“Questa insistenza sul silenzio e la riflessione va riconsiderata all’interno di una volontà di concentrare l’attenzione su ciò che veramente conta, sull’essenziale”, osserva Magister. Quello di Bergoglio è uno stile che piace: scendere dalla jeep prima e dopo l’udienza generale, andare incontro ai parrocchiani di Sant’Anna al termine della messa ancora vestito con i paramenti sacri, confessare divertito che anche il Papa, quando si raccoglie in preghiera la sera, può addormentarsi e che ciò non è grave – “Lui mi capisce, le giornate sono faticose”, disse Francesco. Tutti gesti che al Foglio il teologo Vito Mancuso definisce “semplici e come tali estremamente raffinati”. La semplicità, aggiunge Mancuso, “è un punto di arrivo, soprattutto per le persone che hanno alle spalle una formazione, un’erudizione notevole, dei titoli. Dire che i gesti del Papa sono semplici è un grande riconoscimento”. D’altronde, prosegue il teologo, “scegliere di chiamarsi Francesco e non essere semplice sarebbe una contraddizione stridente”. Attenzione, però: “La sua semplicità, conforme al nome che si è dato una volta eletto, non è cosa da intendersi ingenuamente come poco elaborata. Al contrario – chiarisce Mancuso – è una disposizione raffinatissima, e proprio per questo risulta efficace”. Francesco, osserva Melloni, “cita elementi dottissimi senza mai rivelare la fonte. Si pensi ai richiami a Sant’Ignazio d’Antiochia, agli appunti di Papa Giovanni. Non fa mai sfoggio della sua erudizione, e non lo fa per pura scelta di stile pastorale”. Non gli interessa mostrarsi dotto, “lui ha bisogno del contatto con la vita umana”, aggiunge al Foglio lo storico del Cristianesimo: “Ecco perché ha scelto di abitare a Santa Marta e non in un sarcofago del Quattrocento”.
Non c’è dunque da stupirsi se le piazze siano tornate a riempirsi, se ci sia attesa per ciò che il Papa dirà all’Angelus. La chiesa, spiega Mancuso, “sta riprendendo la sua capacità di parlare al popolo. Del resto, già nel primo discorso dalla Loggia delle Benedizioni, Francesco ha insistito più di una volta sulla necessità di instaurare un rapporto continuo tra vescovo e popolo”.
© - FOGLIO QUOTIDIANO
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