ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

lunedì 29 luglio 2013

I prolegomeni del 3o CV?



I dilemmi della chiesa tra povertà, riforma e profezia

Perché con Francesco non è più tempo per reduci del Concilio

Pubblichiamo il testo dell’intervento di Giuliano Ferrara alla presentazione del libro del vaticanista di Panorama Ignazio Ingrao,“Concilio segreto”, avvenuta a Roma lo scorso 21 maggio.

Io penso che la frase citata dal direttore di Panorama e lettore del libro di Ignazio Ingrao sia una frase che sarebbe molto banale definire profetica, perché il profetismo si introduce nelle grandi faglie del magistero e dell’esperienza religiosa e mistica. Ma c’è una certa capacità previsionale di Ignazio Ingrao, che è una persona che è stata capace di scrivere un libro che è frutto di ricerca, lo si vede, e non un libro banalmente scandalistico e che risolva tutto con la ricerca di un materiale segreto da complotto. Diciamo che non è il Dan Brown del Concilio ecumenico Vaticano II. E’ un libro che cerca di rendere conto di una parte della realtà, la parte che necessariamente resta in ombra nel corso dei decenni, che resta negli archivi, nel terreno contiguo agli archivi, che è la memorialistica personale e scritta dei protagonisti.

Perché dico che è previsionale la frase di Ignazio Ingrao citata da Mulé – “Dunque non si tratta di convocare un nuovo Concilio sol oper risolvere i problemi lasciati in sospeso cinquant’anni fa, dai preti sposati alla pillola. Significherebbe, ancora una volta, far prevalere uno spirito da ‘reduci’ a fronte invece della creatività che richiedono i tempi nuovi” – perché secondo me il Concilio è veramente finito con l’elezione di Papa Francesco. Il nuovo Papa non è un Papa del Concilio né del dopo Concilio. E’ stato preso alla fine del mondo, in una terra, in una circostanza, in una situazione, in una koinè spirituale, lo si vede benissimo dal modo rivoluzionario anche formalmente con cui ha fatto i suoi primi passi, che non risponde più alla vecchia logica Concilio post Concilio, le divisioni che il Concilio introduce nella chiesa, il passaggio dalla chiesa dei pontefici Pii e della chiesa del Vaticano I, quindi da una chiesa ossuta dogmaticamente e infallibile a una chiesa del dialogo e della mescolanza con il mondo. Questo è un Papa gesuita, quindi innovatore lui più dei due Concili precedenti, perché è un Papa che viene da un ordine di quella complessità e di quel complesso rapporto che i gesuiti hanno con la modernità. Perché nascono come cugini o come gemelli della Riforma. Nascono come si forma il sistema degli stati nazione, nascono per stare a corte oltre che in metropolitana. Nascono per stare in contatto con il potere, oltre che con il popolo dei fedeli e con il deposito della fede cattolica. E nascono come ordine missionario e come ordine politico e sono la prima vera grande ipoteca geopolitica sulla vita della cattolicità, perché hanno uno sguardo cinese. E’ tutto dire, anche per il mondo di oggi, tutto sommato, la modernità dei gesuiti è controassicurata dal fatto che il problema cinese è in parte anche il problema oltre che del mondo, anche della chiesa, oltre che della materia della produzione dell’economia e della finanza anche dello spirito e della libertà religiosa nel mondo.
Allora, quando Ingrao in questo libro sapido dice “fare un terzo Concilio ecumenico per discutere del preservativo, del sesso e della morale cattolica non ha senso”, ha ragione e si mette sulla strada che secondo me è quella giusta. Il Papa eletto nell’ultimo Conclave non ha fatto il Concilio e non ha partecipato al relativo dibattito, ed è successore di un Papa che si dimette e che invece era nel cuore del problema. Era il perito del cardinale arcivescovo di Colonia Frings, uno dei più grandi animatori del Concilio, del dibattito conciliare. Il quale Concilio, come il libro dimostra ad abundantiam, fu come sempre un luogo orante, filosofico, teologico, di cultura, in cui si depositava tanto del meglio che la chiesa cattolica ha espresso nel corso dei secoli. Ma fu anche un teatro di grande violenza politica. C’era un partito, quello franco-tedesco e nordico, degli olandesi, dei luoghi in cui tra gallicanesimo e Riforma e diverse esperienze del pensiero cristiano era maturata un’insopportazione verso la chiesa romana. Romana. Pio XII era un Papa di Roma, non veniva dalla fine del mondo. Veniva da fuori porta ed era un aristocratico della romanità. La sua ieraticità era Roma e la sua chiesa era intelligente, vivace. Il vero protagonista del Concilio nei suoi aspetti più rivoluzionari (cioè la Dignitatis Humanae, la dichiarazione sulla libertà religiosa, di coscienza, l’apertura agli ebrei) fu Agostino Bea, un cardinale tedesco cresciuto sotto gli auspici e nella collaborazione con Pio XII, con il quale aveva scritto l’enciclica Divino Afflante Spiritu che è stata, sotto Pio XII, uno dei gesti più radicali di rottura della chiesa cattolica, perché era l’enciclica metodologica che autorizzava a leggere le Sacre scritture secondo il metodo storico-critico, con molte clausole sopravvissute anche in Ratzinger nei suoi libri su Gesù. La sostanza era: potete fare dell’esegesi e della storiografia in termini molto più liberi rispetto a prima. Bea fu il vero uomo di rottura del partito riformista del Concilio Vaticano II e fu l’uomo attorno cui ruotò lo scontro con la componente romana, il Coetus internationalis patrum, la componente centrista ortodossa. Parlo di Pericle Felici, della curia, gli uomini di Paolo VI dopo la morte di Giovanni XIII, che aveva lanciato il tutto con grande spontaneità, freschezza, con consapevolezza profetica delle conseguenze, era l’uomo del discorso sotto la luna. Era un conservatore naturale, che però sentiva che c’era bisogno di smuovere tutto perché c’era una crisi in atto. Secondo me, l’inizio del Concilio lo ha raccontato Giuseppe Alberigo, che è il suo massimo storico, rievocando una testimonianza ospitata su Repubblica. Alberigo disse che spesso “ci riunivamo in preghiera con mia moglie perché Pio XII passasse a miglior vita” perché ciò avrebbe aperto una grande nuova pagina nella storia della chiesa. E la cosa poi accadde, finì un’epoca e se ne aprì un’altra. E della chiesa di Pio XII rimase in piedi pochissimo.
Questo libro è straordinario perché è privo di pregiudizi. Alla fine del libro potete dire che ne sapete di più, ma non vi sentite guidati per mano in una passeggiata convenzionale su una riva del fiume o sull’altra. Ingrao scrive un libro e lo pubblica mentre con l’avvento di Francesco e delle sue procedure, dei suoi protocolli, del suo modo di essere e del suo particolare carisma, secondo me finisce la disputa sul dopo Concilio. Ne nasce un’altra, come dobbiamo essere, la povertà della chiesa intesa come simbologia personale assunta dal successore di Pietro, il Papa prima di tutto come vescovo di Roma, un uomo che passa da una diocesi all’altra, al primato petrino che viene governato come il residuo importante che andrà poi correlato ai fratelli separati, alla loro visione dell’autocefalia delle loro chiese. Il primato petrino c’è, resiste, esiste, ma non è che lo riguarda tanto. Francesco lo esercita, ma senza crederci. Lui è pastore universale ma in quanto governa spiritualmente se stesso come capo di una diocesi. Tant’è vero che ha lasciato nell’abbandono museale i palazzi apostolici, che è una cosa che qualunque romano innamorato dei papi sa quanto valore simbolico abbiano. Certo, parla sempre dalla finestra dello studio, ma abita in un albergo nel centro della Città del Vaticano, tra l’altro a poca distanza da un altro Papa che abita in un altro albergo. Siamo in una situazione totalmente e radicalmente difforme da quella vissuta fino a pochi mesi fa. Regnante Ratzinger, eravamo ancora con il grande teologo del Concilio, che poi si era separato dal gruppo di Concilium per fondare Communio, che aveva allevato una nuova leva di vescovi e teologi, che aveva avuto un suo rapporto complesso con la Nouvelle théologie, con il deposito da Maritain in giù, De Lubac. Era stato un grande professore, poi pastore a Monaco e poi era stato subito portato da Giovanni Paolo II (dopo la parentesi brillante e pastorale di Luciani), che è il vero successore di Paolo VI, cioè del Papa del Concilio, fu portato subito alla Dottrina della fede. E’ stato uomo di curia per tanti anni, poi per otto anni Papa. Giovanni Paolo II e Benedetto XVI sono stati i papi che hanno distrutto la teologia della liberazione, le loro encicliche dall’Evangelium Vitae alla Speranza e Carità sono stati capolavori di un’elaborazione innestata sulla grande modernizzazione del pensiero cristiano realizzata dal Concilio. Questa cosa mi sembra finita. Poi può essere che dopodomani Francesco convochi un terzo Concilio ecumenico a Roma, ma non mi pare l’aria francamente. Non è più una discussione con Martini, con gli eredi di Bea, con il Pontificio istituto biblico. Secondo me rimarranno anche questi tedeschi che vogliono che le donne facciano i vescovi, che gli omosessuali siano promossi in non so quale ruolo, tutti questi contro la morale tradizionale cattolica… Non c’è più l’aggancio alla dialettica conservatori-progressisti. Il Concilio fu una grande epifania storica e metastorica della bellezza del cattolicesimo del Novecento, ma fu anche teatro di uno scontro molto violento (parlo di violenza dello spirito). Era teatro di contraddizioni terribili. Un discorso strategico molto più importante fu quello di Giacomo Lercaro, arcivescovo di Bologna, sulla chiesa povera. Il reggicoda di Lercaro era Umberto Ortolani, conosciuto da noi poi come l’ispiratore con Licio Gelli della loggia P2. Questo per dire che nelle sfumature di una discussione sul rapporto col mondo e quindi, come fecero i gesuiti, a un certo punto anche con la massoneria, con la quale bisognava parlare e che andava incontrata e che era una delle forze attive del laicato moderno; poteva succedere che il cardinale del Concilio per sua natura santo e di ogni possibile idea progressista, trafficava. (Mi dice Ingrao che a casa Malta c’è un tabernacolo che gli regalò Ortolani).

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