I
media insistono nel presentare Papa Francesco come un nuovo inizio per
la Chiesa. È una visione fondata? Su cosa precisamente? E a chi giova
questo nuovo corso?
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La dialettica dei due Papi
Con
l’abdicazione di Benedetto XVI e l’elezione di Francesco abbiamo
assistito, senza alcun dubbio, a un’imponente operazione mediatica. Non è
semplice dire se i media siano stati le vittime di un rapidissimo restyling
del Papato, se ne essi siano all’origine, o meglio se vi sia un
concorso, o addirittura un concerto di cause. Fatto sta che l’immagine
mediatica del Papa e della Chiesa è improvvisamente cambiata.
La
Chiesa di Benedetto XVI era presentata come elitaria, distaccata dal
mondo moderno, ricca e estremamente corrotta, dominata dagli scandali
morali ed economici, dalla lotta per il potere. Lo stesso Papa appariva
come un intellettuale fastoso, fermo a tradizioni anacronistiche,
probabilmente colluso con il nazismo, e pieno di odio per il mondo
moderno.
La Chiesa di Francesco non ha più
alcun problema di cui si parli, e quelli che eventualmente ci fossero
sono affrontati con rigore o saranno presto risolti. Il Papa Francesco è
un uomo buono, mite, povero, sincero e comprensibile a tutti, deciso a
rompere con il fasto e le ricchezze della Chiesa per andare incontro
alle periferie esistenziali.
I due Papi sono veramente così contrapposti? La situazione è veramente diversa? Al momento, alla luce dei fatti, sembrerebbe di dover dire di no. Che i gravi problemi morali e finanziari della Curia Romana o di molte diocesi non possano essere stati risolti dalla semplice elezione di Papa Francesco, è palese, specie sapendo che tutti coloro che ne erano protagonisti sono al loro posto. Al massimo, questi problemi sono taciuti tanto quanto prima erano pubblicizzati. Quanto ai due Papi, indubbiamente siamo di fronte a personalità molto diverse: interiore, timido e raffinato Benedetto; estroverso, deciso e popolare Francesco. Ogni Papa ha la sua personalità, e ogni personalità potrebbe essere efficacemente messa a servizio del Pontificato supremo. Sulla dottrina, i due Papi sono uniti da una sostanziale identità di vedute sulle questioni principali: Francesco è, come Benedetto, un convinto assertore della triade conciliare. Come Benedetto, fa ecumenismo: entrambi hanno mandato il loro primo messaggio al rabbino capo di Roma, entrambi hanno ottime relazioni con gli orientali (Bartolomeo di Costantinopoli e Teodoro di Alessandria sono già stati a Roma, ricevuti con tutti gli onori possibili), e Francesco ha già incontrato i rappresentanti di tutti i culti. Come Benedetto, Francesco vuole libertà religiosa per tutti: «Questa esperienza deve portarci a promuovere la libertà religiosa per tutti, per tutti! Ogni uomo e ogni donna devono essere liberi nella propria confessione religiosa, qualsiasi essa sia. Perché? Perché quell’uomo e quella donna sono figli di Dio»[1]. Sappiamo come rispetti i non credenti, specie se giornalisti, evitando di forzare la loro libertà di coscienza con una benedizione (salvo poi coinvolgere due carcerate minorenni musulmane in un rito liturgico cattolico: ma l’effetto mediatico conta molto più della sostanza). Sulla collegialità, il Papa tiene a presentarsi come il Vescovo di Roma, evitando di sottolineare i segni della monarchia papale (parleremo più avanti della questione del “potere del Papa”).
Molti sono
stati appunto colpiti dall’abbandono di qualche insegna pontificale da
parte di Papa Francesco, esattamente come erano stati colpiti
(positivamente o negativamente a seconda delle diverse sensibilità) dal
ripristino di qualche elemento secondario del cerimoniale papale da
parte di Benedetto. Anche qui, se guardiamo alla sostanza, la figura
cerimoniale del Papa, nella sua complessità, è stata rasa al suolo da
Paolo VI. I piccoli elementi isolati dal loro contesto ripristinati da
Ratzinger ed eliminati da Bergoglio sono insignificanti se paragonati a
quanto demolito da Montini. Ugualmente, sempre a livello di stile, si è
notato il passaggio dal linguaggio accademico di Benedetto al tono
colloquiale di Francesco, che passa da prediche semplici e popolari, a
tratti edificanti, a veri e propri slogan del becerismo progressista.
Seppur
dunque la sostanza non sia per ora fondamentalmente cambiata rispetto
agli altri Papi post-conciliari (e se pensiamo agli anni folli di
Giovanni Paolo II, c’è perfino una certa sobrietà), è evidente che gesti
di per sé poco rilevanti sono stati usati, e forse anche appositamente
compiuti, per lanciare un messaggio che è risultato più chiaro di tante
teorie. Che tale messaggio sia voluto dai media, dai poteri mondani, dal
Papa stesso o da tutti insieme di concerto, non cambia di molto i
fatti. Papa Bergoglio presenta un’immagine della Chiesa che entra in una
fase completamente nuova, nuova anche rispetto all’“ortodossia
post-conciliare” incarnata dall’ermeneutica della riforma di Ratzinger.
Benedetto XVI rappresenterebbe così, forse scientemente, una sintesi (in
senso modernistico) della dottrina cattolica preconciliare con il
post-concilio, una sorta di punto di raccolta del soggetto-Chiesa, che
ora è pronto, a lanciarsi in una nuova antitesi, in una nuova rottura,
nel ritmo vitale di cui parla Pascendi. Anzi, conoscendo ciò che
l’enciclica di san Pio X dice del ruolo dell’autorità nella Chiesa
secondo i modernisti[2], sembra che tutto sia stato fatto ad arte:
rottura con l’ortodossia cattolica nel Concilio, rivoluzione, sintesi di
tutto questo con Ratzinger (sintesi vitale resa visibile
dall’equiparazione dei due riti), e ora contrapposizione a questa
sintesi. In pratica, d’ora in poi la rottura sarà presentata tra il “pre
e post Bergoglio”, piuttosto che tra “pre e post Concilio”. In questo
senso è rivelatore che il Papa non nomini più i problemi di ermeneutica
della lettera conciliare, ma a proposito del Vaticano II si limiti a
evocarne il famigerato “spirito”, identificato con lo Spirito santo tout
court, secondo il becerismo progressista della “nuova Pentecoste”[3]. I
“conservatori”, che si sono bevuti la favola para-ratzingeriana della
continuità, sono già caduti in questa trappola, e rimpiangono Ratzinger
con lo stesso sentimentalismo degli esteti che rimpiangevano Pio XII
nella Roma di Fellini. Per ora questa nuova antitesi è, lo abbiamo
detto, puramente mediatica e di immagine. Servirà essa di trampolino di
lancio a nuove deviazioni dottrinali? Sarà sufficiente a se stessa,
visto che “il mezzo è il messaggio”? Lo sapremo di certo in tempi brevi.
La nuova immagine della chiesa di Francesco
Qual
è questa nuova immagine della Chiesa? Su quale tipo di dialettica la si
è così rapidamente costruita? Ed è veramente una novità?
Papa
Francesco vuole distinguersi per povertà, sobrietà, semplicità. Niente
paramenti antichi, niente insegne (ma la maggior parte delle insegne
papali è scomparsa sotto Paolo VI). Si sottolinea il fatto che non abiti
nel Palazzo ma sia rimasto in una suite d’albergo, che abbracci i
bambini e accarezzi i cani, che dica “buongiorno”, che usi l’argento
invece dell’oro, etc. Si sottolinea, lo abbiamo accennato, il contrasto
–tutto relativo e spesso artefatto– con Benedetto sotto questi aspetti.
Parla dei poveri e di una Chiesa per i poveri, lontana da ogni tipo di
potere. La stessa struttura giuridica della Chiesa è minimizzata se non
disprezzata: non solo gli eccessi di questa (il “burocratismo”), ma il
fatto in se stesso. La Chiesa, dice Bergoglio, non è «una struttura ben
organizzata»[4]: egli respinge ogni immagine di autorità e l’idea della
societas perfecta; evita di sedere sul trono, non ama gli omaggi, né il
cerimoniale. Dal fioretto edificante si slitta rapidamente all’immagine
di una Chiesa non più strutturata come società visibile, ma come una
comunione, una “carità” (opposta a società)[5] cui presiede il Vescovo
di Roma. Sovrainterpretazione? Non sembra, se leggiamo quanto Bergoglio
dice contro il potere temporale della Chiesa (che pure ha inferenze
dogmatiche, secondo il Sillabo di Pio IX[6] e le definizioni di Unam
Sanctam[7]) nel suo libro “Il cielo e la terra”[8], scritto con il
rabbino Skorka quando era ancora a Buenos Aires. In questo libro, fra i
tanti luoghi comuni del conciliarismo, si leggono varie affermazioni
contro il fatto stesso che la Chiesa abbia un potere (che al massimo è
definito come “servizio”, ma proprio per opposizione ad autorità).
Leggiamo dal capitolo Sul futuro delle religioni: «Se osserviamo la storia, vediamo che le forme religiose del cattolicesimo sono palesemente mutate. Pensiamo, per
esempio agli Stati pontifici, dove il potere temporale era
indissolubilmente legato al potere spirituale. Fu una deformazione del
cristianesimo, che non corrispondeva né a ciò che voleva Gesù né a ciò
che vuole Dio. Se nel corso della storia la religione ha subito
un’evoluzione così grande, perché non dovremmo pensare che anche in
futuro si adeguerà alla cultura dei tempi? Il dialogo fra la religione e
la cultura è fondamentale: lo sosteneva già il Concilio Vaticano II.
Fin dalle origini si è sempre chiesta alla Chiesa una continua
trasformazione –Ecclesia semper reformanda–, e quella trasformazione
assume forme differenti nel corso del tempo, senza alterare il dogma. In
futuro la Chiesa si adeguerà alle nuove epoche, secondo forme e
modalità diverse, proprio come oggi si differenzia dalle antiche
modalità del regalismo, del giurisdizionalismo, dell’assolutismo». Ci
sarebbe da commentare l’idea della Chiesa che emerge da queste righe, ma
limitandoci al grassetto, è chiaro che affermare che il potere
temporale del Pontefice sia una deviazione dalla volontà di Gesù Cristo
non può andare senza alterazione del dogma stesso.
Le origini storiche della nuova immagine della Chiesa
La
concezione sottesa a questi atteggiamenti ci è svelata dal padre
Cantalamessa, il cappuccino predicatore della Casa Pontificia, da tempo
legato a Bergoglio. Lo si vede presente nella famosa foto in cui l’ex
Arcivescovo di Buenos Aires si fa benedire dai pastori pentecostali
protestanti. Noto studioso di Gioacchino da Fiore, così il frate
presenta il nuovo pontificato nella predica tenuta davanti al Papa il
Venerdì Santo scorso: «Dobbiamo fare il possibile perché la Chiesa non
divenga mai quel castello complicato e ingombro descritto da Kafka, e il
messaggio possa uscire da essa libero e gioioso come quando iniziò la
sua corsa. Sappiamo quali sono gli impedimenti che possono trattenere il
messaggero: i muri divisori, a partire da quelli che separano le
varie chiese cristiane tra di loro, l’eccesso di burocrazia, i residui
di cerimoniali, leggi e controversie passate, divenuti ormai solo dei
detriti. Nell’Apocalisse, Gesù dice che sta sulla porta e bussa (Ap.
3, 20). A volte, come ha osservato il nostro Papa Francesco, non bussa
per entrare, ma bussa da dentro perché vuole uscire. Uscire verso “le
periferie esistenziali del peccato, del dolore, dell’ingiustizia,
dell’ignoranza e dell’indifferenza religiosa, di ogni forma di miseria”.
Succede come con certi edifici antichi. Nel corso dei secoli, per
adattarsi alle esigenze del momento, si sono riempiti di tramezzi, di
scalinate, di stanze e stanzette. Arriva il momento quando ci si accorge
che tutti questi adattamenti non rispondono più alle esigenze attuali,
anzi sono di ostacolo, e allora bisogna avere il coraggio di abbatterli e
riportare l’edificio alla semplicità e linearità delle sue origini.
Fu la missione che ricevette un giorno un uomo che pregava davanti al
crocifisso di San Damiano: “Va’, Francesco, ripara la mia Chiesa” (...)
Che lo Spirito Santo, in questo momento in cui si apre per la Chiesa un tempo nuovo,
pieno di speranza, ridesti negli uomini che sono alla finestra l’attesa
del messaggio e nei messaggeri la volontà di farlo giungere ad essi,
anche a costo della vita».
La nuova era di una
Chiesa spirituale, libera tra tramezzi, cerimoniali e burocrazia, che
ritorna alle origini, annunciata qui da Cantalamessa e rappresentata
mediaticamente dagli atteggiamenti di Papa Francesco, è un’antica idea
portata avanti dalle frange ereticali francescane del XIII secolo,
un’idea che si fonda sul disprezzo gnostico della materialità e del
potere, sotto qualunque forma. Gioacchino da Fiore (ca. 1130-1202)
prevede l’avvento di una Chiesa spirituale, quando dei santi monaci
sostituiranno la gerarchia, non senza un nuovo Papato, un Vescovo
universale che rinnoverà la religione e predicherà la Parola di Dio[9].
Questa figura diventerà il “Papa angelico” dei francescani spirituali,
colui che secondo Ruggero Bacone, nell’Opus tertium, scritto
verso il 1267, «verrà a purgare il diritto canonico e la Chiesa di Dio
dai cavilli e dalle frodi dei giuristi [...] Grazie alla bontà, alla
verità e alla giustizia di questo Papa, i Greci torneranno
all’obbedienza della Chiesa Romana...». Arnaldo da Villanova e altri
autori “spirituali” presenteranno la contrapposizione tra l’Ecclesia
carnalis, dotata del potere mondano e corrotta, e la futura Ecclesia spiritualis
che, secondo l’eretico francescano Olivi e il suo discepolo Ubertino da
Casale, arriverà nella terza età del mondo, quando i Papi torneranno
alla assoluta povertà francescana[10].
Non è
infatti casuale che il Papa si ispiri al Santo di Assisi. Il san
Francesco di cui si parla oggi, anche all’interno dell’ordine
francescano, non è quello a noi noto, ma quello ricostruito da una
critica storica che ha applicato alle fonti sul Poverello lo stesso
processo che i modernisti hanno compiuto con i Vangeli. L’iniziatore di
questo processo fu il calvinista Sabatier[11], allievo di Rénan, che
«ipotizza simpatie sanfrancescane verso le idee di Gioacchino da Fiore e
influssi gioachimiti sull’Assisiate. Gioacchino da Fiore divideva la
storia in tre età (quella del Padre, quella del Figlio, del Figlio e
dello Spirito) e nell’ultima (quella dello Spirito) avrebbe prevalso
l'amore, la povertà, il rifiuto per tutto ciò che è scienza, cose tutte
che Francesco voleva inculcare al suo Ordine»[12].
Cui prodest?
Tutti
questi elementi indicano come la contrapposizione mediatica tra
Benedetto e Francesco, chiunque la abbia indotta e alimentata, serva a
presentare una nuova Chiesa, spirituale, non giuridica, povera, che si
contrappone alla vecchia e corrotta Chiesa carnale, la Chiesa legata al
potere e alla ricchezza, fatta rappresentare artificiosamente da
Ratzinger. Una Chiesa che si sarebbe rivelata impotente e fallimentare,
costringendo lo stesso Papa Benedetto ad abdicare per disperazione. Non
ha, mediaticamente parlando, nessuna importanza sapere ora quanto di
tutto questo sia reale. Ciò che conta è che così venga percepito.
Si
presenta dunque una Chiesa che si spoglia di ogni potere “carnale”, una
Chiesa senza corpo, che da società perfetta e giuridica (tale che il
Cristo l’ha fondata) diventa semplicemente “una storia d’amore”,
volontariamente e maliziosamente contrapposta alla Chiesa visibile e
organizzata[13]. L’organizzazione viene presentata come umana e
sostanzialmente come un pericolo, tacendo del tutto il dogma che vuole
che a dare questa organizzazione nei suoi tratti essenziali e nei suoi
poteri sia stato proprio Gesù Cristo.
A chi
giova questa nuova chiesa, o questa nuova immagine? La Chiesa dove il
potere non solo non è esercitato (per ostacoli o per debolezza), ma dove
il potere è radicalmente negato, la Chiesa dopo l’abdicazione, massimo
simbolo della rinuncia ad esercitare il potere, è una Chiesa che si
presta al gioco di altri inquietanti “poteri”. I francescani spirituali
del Medioevo, negando il potere alle gerarchie ecclesiastiche, erano
spesso i servi degli Imperatori. Gli “spirituali” di oggi sono
applauditi dai poteri del mondo, che aspetta dalla Chiesa questa
desistenza. Proprio in gennaio usciva un libretto di uno dei massimi
iniziati italiani, Massimo Cacciari, ovviamente alle edizioni Adelphi,
intitolato “Il potere che frena”. È un trattatello in chiave gnostica
sul katéchon, di cui parla san Paolo. Nella seconda epistola ai
Tessalonicesi l’Apostolo spiega che la venuta dell’uomo dell’anomia,
l’uomo senza legge, cioè l’anticristo, è frenata da un katéchon (“ciò,
o colui che trattiene”), che alla fine dei tempi sarà “tolto di mezzo”,
dopo l’apostasia generale. I Padri hanno interpretato questo misterioso
ostacolo come l’Impero Romano, o più in generale come il potere
costituito che mantiene l’ordine del mondo. Tale potere è stato anche
identificato come quello della Chiesa Romana, nella quale secondo san
Tommaso si è trasferito l’Impero[14]. Cacciari ovviamente spiega, con
dovizia di erudizione patristica, che il potere imperiale ed
ecclesiastico frena l’avvento di questa nuova era, quella appunto
dell’ultimo uomo che adora se stesso, che non ha più nulla da attendere o
da sperare al di fuori di sé. Così predice Cacciari a pag. 80: «Impero e
Chiesa secedono, allora, dalle proprie missioni, ma secondo una
possibilità sempre aperta ed immanente in loro. Del dilagare dell'apostasia il segno più tremendo non è l'abbandono di impero e Chiesa da parte delle moltitudini, ma la secessio che in loro si opera dalle loro proprie missioni, dalla funzione e dalla fede che avrebbero dovuto incarnare».
Lo stesso Cacciari aveva dichiarato in un’intervista dopo
l’abdicazione: «Perché Ratzinger si dimette? Non è un segno o una lucida
dichiarazione di impotenza a reggere una funzione katecontica?
Ratzinger dice: continuerò a essere sulla croce. Quindi, la dimensione
religiosa rimane. Ma la dimensione katecontica? Simbolo della Chiesa
era, assieme, Croce e katechon. Davvero, il segno di queste
dimissioni, a saperlo vedere in tutta la sua prospettiva è davvero
grandioso perché viviamo in un’epoca in cui lo Stato ha già dichiarato
la sua crisi e ora tocca alla Chiesa. Ma la Chiesa nella sua dimensione
di “potere che frena”. Ratzinger – ne sono convinto – appare consapevole
di questo. Continua a essere sulla croce, ma si dimette. Continua a
essere Papa in quanto crocefisso»[15]. Può quindi, nella visione
gnostica, che ci riporta a quanto dicevamo di Gioacchino da Fiore,
rimanere il Papa spirituale, ma non il potere, cosicché il nuovo Papato
non sia più ostacolo alla nuova era. La Chiesa Romana e il Papato
infatti, secondo le promesse di nostro Signore, non cesseranno mai di
esistere come tali; ma il mancato esercizio del potere, o peggio la
negazione del medesimo, e lo svuotamento di tutti i segni esteriori che
lo rappresentano, lo priverebbero della funzione katecontica.
Abbiamo
quindi potuto appurare alcuni fatti: la volontà mediatica di presentare
questo Pontificato come una rottura con lo stesso Ratzinger;
l’insistenza di Papa Francesco su una Chiesa che non sia società
giuridica perfetta; la coincidenza di questa visione, confermata da
Padre Cantalamessa, con le attese dei grandi iniziati e dei poteri
mondani. Abbiamo visto come antiche teorie siano in realtà attualissime.
Siamo davvero agli ultimi tempi, o semplicemente alcuni cercano di
accelerarli seguendo teorie molto chiaramente espresse? Si può pensare
come si vuole, ma non si può ignorare che c’è chi agisce contro la
Chiesa sulla base di queste teorie. Si tratta unicamente di
un’operazione mediatica, o vedremo altri radicali cambiamenti
all’interno della Chiesa? Teniamo presente che, in un mondo come questo,
quanto è mediaticamente rilevante sembra avere molto più peso di quanto
è realmente, e in questo senso il passo in avanti c’è già stato. Chi ne
è cosciente attore, chi pedina, chi vittima? A queste domande non sta a
noi rispondere, né lo potremmo facilmente. A noi basta sapere che ci si
vuole far entrare in una nuova epoca della vita della Chiesa, e
contemporaneamente sprofondarci in una nuova era anticristica (basta
guardare a cosa sono intenti i governi europei), e tenerci saldi alla
dottrina definita.
________________________________[1] Risposte durante la veglia di Pentecoste dedicata ai movimenti, 18 maggio 2013.
[2]
«Quindi studiando più a fondo il pensiero dei modernisti, deve dirsi
che l'evoluzione è come il risultato di due forze che si combattono,
delle quali una è progressiva, l'altra conservatrice. La forza
conservatrice sta nella Chiesa e consiste nella tradizione. L'esercizio
di lei è proprio dell'autorità religiosa; e ciò, sia per diritto,
giacché sta nella natura di qualsiasi autorità il tenersi fermo il più
possibile alla tradizione; sia per fatto, perché sollevata al disopra
delle contingenze della vita, poco o nulla sente gli stimoli che
spingono a progresso. Per contrario la forza che, rispondendo ai
bisogni, trascina a progredire, cova e lavora nelle coscienze
individuali, in quelle soprattutto che sono, come dicono, più a contatto
della vita. Osservate qui di passaggio, o Venerabili Fratelli, lo
spuntar fuori di quella dottrina rovinosissima che introduce il laicato
nella Chiesa come fattore di progresso. Da una specie di compromesso fra
le due forze di conservazione e di progressione, fra l’autorità cioè e
le coscienze individuali, nascono le trasformazioni e i progressi. Le
coscienze individuali, o talune di esse, fan pressione sulla coscienza
collettiva; e questa a sua volta sull'autorità, e la costringe a
capitolare ed a restare ai patti.» (Pascendi, n. 2)
[3] «Il
Concilio è stato un’opera bella dello Spirito Santo. Pensate a Papa
Giovanni: sembrava un parroco buono e lui è stato obbediente allo
Spirito Santo e ha fatto quello. Ma dopo 50 anni, abbiamo fatto tutto
quello che ci ha detto lo Spirito Santo nel Concilio? In quella
continuità della crescita della Chiesa che è stato il Concilio? No.
Festeggiamo questo anniversario, facciamo un monumento, ma che non dia
fastidio. Non vogliamo cambiare. Di più: ci sono voci che vogliono
andare indietro. Questo si chiama essere testardi, questo si chiama
voler addomesticare lo Spirito Santo, questo si chiama diventare stolti e
lenti di cuore.» (Papa Francesco, Omelia del 16 aprile 2013).
[4] Risposte durante la veglia di Pentecoste dedicata ai movimenti, 18 maggio 2013.
[5]
Sappiamo bene che l’espressione “presiedere nella carità”, riferita
alla Chiesa Romana, risale a sant’Ignazio d’Antiochia. Tuttavia c’è un
uso strumentale moderno di tale espressione, che vuole opporre l’agapé
alla societas, concetti che invece coincidevano nel linguaggio dei Padri
antichi.
[6] Due proposizioni condannate del Sillabo a titolo di esempio:
«LXXV.
Intorno alla compatibilità del regno temporale col regno spirituale
disputano tra loro i figli della Chiesa cristiana e cattolica. LXXVI.
L'abolizione del civile impero posseduto dalla Sede apostolica
gioverebbe moltissimo alla libertà ed alla prosperità della Chiesa».
[7]
«L’una e l’altra spada sono in potestà della Chiesa, cioè la spada
spirituale e quella materiale. Ma questa deve essere usata in favore
della Chiesa, questa dalla Chiesa. Quella è nella mano del Sacerdote,
questa dei Re e dei soldati, ma secondo il cenno e il volere del
Sacerdote. Occorre infatti che un gladio sia sottomesso all’altro, e che
l’autorità temporale sia sottomessa a quella spirituale». Bonifacio
VIII, Bolla Unam Sanctam del 18 novembre 1302.
[8] J. M. Bergoglio - A. Skorka, Il cielo e la terra, A. Mondadori 2013.[9] Gioacchino da Fiore, Liber de Concordia novi ac veteris Testamenti.
[10] Pietro di Giovanni Olivi (1274-1298), Lectura in Apocalypsim; Ubertino da Casale (1259-1330ca.), Arbor vitae crucifixae Jesu Christi.
[11] P. Sabatier, Vie de St. François d’Assise,
Paris, 1931. La sua opera è ripresa dai modernisti e dagli ordini
francescani stessi dopo il Concilio. Una piccola bibliografia sulle
opere di questo tipo:
E. Buonaiuti, Francesco d’Assisi, Roma, 1925.J. Le Goff, Francesco d’Assisi (raccolta di saggi), Milano 1998 (1a ed. it. 1967) (allievo di Bonaiuti).
P. Stanislao da Campagnola O.F.M.Capp., Introduzione alle Biografie di Francesco d’Assisi in Fonti Francescane, Padova, 1977.
R. Manselli, Nos qui cum eo fuimus. Contributo alla questione francescana, Roma, 1980 (pubblicata dall'Istituto Storico dei Cappuccini).
C. Leonardi, Il francescanesimo tra mistica, escatologia e potere, in “I Francescani nel Trecento, Atti del XIV Convegno internazionale della Società Internazionale di Studi Francescani”, Perugia-Assisi, 1988.
G. Miccoli, Francesco d'Assisi. Realtà e memoria di un’esperienza cristiana, Torino, 1991.
D. F. Accrocca, Francesco e le sue immagini. Momenti della evoluzione della coscienza storica dei frati Minori (secoli XIII-XVI), Padova 1997 (l’autore è sacerdote cattolico).
P. Pietro Messa O.F.M., Frate Francesco tra vita eremitica e predicazione, Assisi, 2001.
P. Pietro Maranesi O.F.M.Capp., Francesco, i suoi frati e la gente: evoluzione di una vocazione ad essere nel mondo, in “Miscellanea Francescana”, luglio-dicembre 2003.
[12] Dal saggio del P. Paolo M. Siano, F.I., Note di storia del francescanesimo, in Annales Franciscani, III (2008), pp. 108-213, unico studio recente che confuta le tesi neofrancescane.
[13]
«Noi, donne e uomini di Chiesa, siamo in mezzo ad una storia d’amore:
ognuno di noi è un anello in questa catena d’amore. E se non capiamo
questo, non capiamo nulla di cosa sia la Chiesa [...] Ma la Chiesa non
cresce con la forza umana; poi, alcuni cristiani hanno sbagliato per
ragioni storiche, hanno sbagliato la strada, hanno fatto eserciti, hanno
fatto guerre di religione: quella è un’altra storia, che non è questa
storia d’amore. Anche noi impariamo con i nostri sbagli come va la
storia d’amore». Omelia di Papa Francesco del 24 aprile 2013.
[14]
In 2.am ad Thessalonicenses, c. II, lect. 1:«Sed quomodo est hoc, quia
iamdiu gentes recesserunt a Romano imperio, et tamen necdum venit
Antichristus? Dicendum est, quod nondum cessavit, sed est commutatum de
temporali in spirituale, ut dicit Leo Papa in sermone de apostolis. Et
ideo dicendum est, quod discessio a Romano imperio debet intelligi, non
solum a temporali, sed a spirituali, scilicet a fide Catholica Romanae
Ecclesiae. Est autem hoc conveniens signum, quod sicut Christus venit
quando Romanum imperium omnibus dominabatur, ita e converso signum
Antichristi est discessio ab eo» («Ma come è avvenuto che le genti si
sono già separate dall’Impero Romano, e tuttavia non è venuto
l’anticristo? Si deve dire che l’Impero non è ancora cessato, ma da
temporale è stato mutato in spirituale, come dice Papa san Leone nel
sermone sugli apostoli. E perciò si deve dire che l’apostasia
dall’Impero Romano va intesa non solo del temporale, ma dello
spirituale, cioè dalla fede cattolica della Chiesa Romana. È invero un
segno conveniente che come il Cristo venne quando l’Impero Romano
dominava tutte le genti, così all’opposto il segno dell’anticristo è
l’apostasia da questo»).
[15] http://www.vita.it/mondo/attualita/la-chiesa-ormai-un-potere-che-frena.html
di don Mauro Tranquillo
[Fonte: Sito italiano della FSSPX da La Tradizione Cattolica n° 2 - 2013]
[Fonte: Sito italiano della FSSPX da La Tradizione Cattolica n° 2 - 2013]
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