ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

martedì 13 agosto 2013

Commissariamento dei
Frati Francescani dell'Immacolata
Considerazioni
In queste serate agostane, approfittando del tempo prezioso che le vacanze consentono alla meditazione, mi sono posto alcune domande a cui oggettivamente mi sembra difficile rispondere. La tristissima vicenda relativa al commissariamento dei buoni frati Francescani dell'Immacolata pone infatti, a mio parere, una questione importante ovvero:
Come può essere motivato, se si vuole restare nell'ambito del "conciliarmente corretto", il legittimo diritto, sancito dal Motu Proprio "Summorum Pontificum" di celebrare o assistere alla S. Messa tradizionale?La questione, già per altro latente per lo meno dal 2007, assume oggi, in questo clima post-benedettiano, una valenza nuova e quasi drammatica. Se i fedeli in "piena comunione" vorranno, in altre parole, sfuggire agli strali della nuova "Santa Inquisizione" dovranno sempre più industriarsi a cercare espressioni morbide, levigate, untuose ed ambigue per giustificare la loro "insana" inclinazione, sempre sospettabile di non poter essere inquadrata nel sentire "cum Ecclesia".

Partirò da una considerazione ovvia ma, come quasi sempre, le considerazioni ovvie rischiano di spiazzare chi si esercita negli equilibrismi intellettuali. In ciò, non essendo io né sociologo né teologo, ma soltanto esponente, e neppure di primo piano, di quel "sottobosco" che riesce a scribacchiare solo sui blog,   mi soccorreranno le nozioni di micro-economia che ho insegnato per molti anni ai miei poveri allievi:

Ogni soggetto, posto di fronte ad una scelta fra due o più prodotti atti a soddisfare il medesimo bisogno, nel momento stesso in cui propenderà per l'uno o l'altro di essi, formulerà un giudizio di valore che egli, consapevolmente o meno, elaborerà all'interno della sua mente.

Bene. Nessuno può negare che le due Messe rappresentano, in questa ottica, due "prodotti" entrambi destinati a soddisfare il medesimo bisogno spirituale. L'assurdo dell'attuale situazione sta però nel fatto che il fedele, o il sacerdote, intenzionato a scegliere il Vetus Ordo, si trova nell'impossibilità pratica di poter giustificare tale scelta.
Proviamo dunque a metterci nei panni del povero cattolico "in piena comunione".   

Certamente egli non potrà, in alcun modo, esprimere riserve teologiche o dottrinali sulla nuova Messa. Una seppur minima obiezione in tale ambito rappresenterebbe, senza alcun dubbio, un grave delitto di lesa maestà nei confronti del concilio Vaticano II.
Il nuovo rito non rappresenta infatti uno dei principali frutti della "primavera" conciliare? Non è dunque possibile anche solo ventilare una sua, sia pur minima,  carenza sul piano dell'espressione dogmatica. Contro chi si azzardasse, ad esempio, ad affermare che i due Offertori differiscono sensibilmente nel loro significato "Anathema sit". 

Ci sarebbe forse, e taluni si sono avventurati, sia pur con scarsi successi, lungo questo arduo cammino, la possibilità di sostenere che la riforma liturgica non sarebbe stata voluta direttamente dal Concilio, ma rappresenterebbe piuttosto un  frutto della cosiddetta "ermeneutica della discontinuità", ovvero del post-concilio. Tale tesi trova qualche esile appiglio su talune disposizioni della Costituzione "Sacrosanctum Concilium" come quella che invita a mantenere la lingua latina e il canto gregoriano ma, nonostante ciò, resta comunque difficile da percorrere.
Si tratterebbe infatti di contrastare non i documenti conciliari in sé, ma tutto o quasi il Magistero Pontificio successivo che sempre ha affermato, in montagne di occasioni, la piena sintonia del N.O. con il dettato conciliare. Le citazioni in proposito potrebbero davvero riempire un libro.

Ed allora? Sentirebbe "cum Ecclesia" chi osasse contestare Paolo VI, Giovanni Paolo I, il futuro San Giovanni Paolo II e, finanche, per certi versi, il medesimo Benedetto XVI? Neppure da pensarci...

Diventa dunque obbligatorio, per il povero fedele deciso a chiedere l'applicazione del Summorum Pontificum, rifugiarsi nel soggettivismo e nell'intimismo più assoluti. Così facendo, penserà l'incauto, nessuno, forte del primato dell'uomo e della libertà di coscienza proclamati dal Concilio, potrà obiettarmi alcunché: non è infatti la Fede essenzialmente un'esperienza personale, un sentimento, un'emozione dello spirito?
Ebbene: io sento che a  me fa più bene spiritualmente la S. Messa antica... Questo è il mio cammino... Sento che Dio mi parla attraverso questa esperienza...
La speranza di averla fatta franca durerà però ben poco anche in questo caso.

Questo tipo di argomentazioni possono del resto andare bene per il ramadan dei mussulmani, per le cerimonie ebraiche o per i riti degli aborigeni australiani. Non ha alcun senso, affermano ad esempio i vescovi svizzeri che hanno stabilito di negare la concessione di chiese alla FSSPX, applicare tali principi a chi si dichiara cattolico. Costui, se vuole autenticamente sentire "cum  Ecclesia", non può fare il musone, l'asociale, il pelagiano, non può rifiutarsi di partecipare alla "festa" eucaristica, alla gioia della cena: da quando in qua chi è invitato a cena, si fa vedere addolorato dal Padrone di casa?
Mi dispiace: se queste sono le motivazioni non sarà possibile accettare la richiesta di applicazione del Motu Proprio.  

Cosa resta allora al povero sventurato?

Potrebbe forse appellarsi alla nostalgia della vecchia nonna... Ci ero tanto affezionato... Andando alla Messa che frequentava lei mi sembra di esserle più vicino...
Beh, questo potrebbe forse andare... Tanto, fra qualche anno diventeranno nonne le pioniere della "Messa beat" del 1970. Il problema si risolverà dunque presto.

Oppure... resterebbe, se si eccettuano le scomuniche di Andrea Tornielli, l'argomentazione meramente estetica.
Sa Eccellenza... io sono diplomato in organo al Conservatorio e faccio ogni anno l'abbonamento all'Accademia del Ricercare...  
o, per le Signore: Sono sarta esperta in pizzi e merletti... Quanto mi piacciono quei bei paramenti di una volta! Suvvia monsignore... lei continui pure nella sua pastorale del rock and roll ma, per favore, ci conceda, almeno una volta al mese, di ripassare la nostra lezione di musica medioevale e di ricamo!
L'ineffabile vaticanista de La Stampa si è, in realtà, specializzato nell'ironizzare su questa categoria di  tradizionalisti esteti che, a suo parere, sarebbero piuttosto numerosi. La realtà è al contrario ben diversa.
Forse però questa motivazione, pur essendo assolutamente inconsistente, se si superano i lazzi dei commentatori in mala fede, è l'unica che avrebbe qualche possibilità in più di essere accolta dalle legittime autorità. 

E così, dopo questa sintetica disamina, proverò a trarre qualche conclusione.
Qui il tono si deve fare, per forza di cose, molto serio. Anzi: rassicuro i miei pochi lettori che mi hanno severamente rimproverato per gli articoli precedenti, giudicati, forse a ragione, troppo "corrosivi" e canzonatori nei confronti del Vescovo di Roma.
Tutto quanto sopra esposto cerca in realtà di evidenziare, con toni semplici e non cattedratici, quanto il problema liturgico sia assolutamente centrale nella storia della Chiesa tutta ma, forse ancor di più, oggi che viviamo un periodo di terribile crisi della Fede. 
I due riti, spiace dover contraddire i cosiddetti conservatori conciliari, esprimono innegabilmente due ecclesiologie opposte e quasi antitetiche. Su questo punto devo dare ragione, anche se con dispiacere, ai vari Enzo Bianchi, Vito Mancuso ed alla buonanima del card. Martini.
La dicotomia è nelle cose. Per quanto ci si sforzi di ignorarla, negarla e superarla, essa sempre riemerge. Se è cacciata dalla porta, rientra dalla finestra.
Il Motu Proprio ha dichiarato, ad esempio,  che le due liturgie sono "due forme del medesimo rito romano" e che, di conseguenza, esse dovrebbero convivere pacificamente ed anzi arricchirsi a vicenda.
Convivono pacificamente del resto le liturgie ambrosiana, mozarabica o quelle orientali.
Ciò sarebbe possibile, senza dubbio, per il V.O. a patto che le due Messe esprimessero davvero, nella realtà e non solo nelle lodevoli intenzioni, la medesima dimensione della Fede.
Se però ciò non avviene nella pratica, a quasi cinquant'anni dalla promulgazione del nuovo Messale, Ci sarà  evidentemente un motivo, un perché. Ogni effetto ha la sua causa.
Oggi è riconosciuto, sulla carta, il diritto dei fedeli e dei sacerdoti ma... in pratica, la contrapposizione continua, ed anzi si accentua, a livelli inferiori, quelli amministrativi, delle singole Diocesi, delle congregazioni religiose, delle Parrocchie, spesso, addirittura, anche all'interno delle stesse famiglie di fedeli. Mi è capitato più volte di notare, nelle chiese dove si celebra il V.O.,  mamme o papà da soli e sapere poi che l'altro coniuge non ne vuole sapere di "quella roba da museo".
Sono due visioni opposte della Fede che emergono dai due riti. Quella verticale che adora Dio Creatore e Salvatore, morto sulla Croce per i nostri peccati, e quella orizzontale, che vede l'amico Gesù, uomo come noi, che divide il pane in un clima di comunitaria letizia, che non parla di peccato, tanto meno di quello originale.
Il silenzio si contrappone alle parole, l'adorazione all'amicizia, il dolore per il Calvario alla festa, il Sacrificio alla cena, in una parola, la Croce all'allegria.
L'orientamento capovolto dell'Altare è probabilmente, molto più del latino, il simbolo e l'emblema di questa metamorfosi ontologica.
E' ovvio dunque che non si trovino motivazioni valide per giustificare, agli occhi degli ecclesiastici modernisti, la richiesta di consentire pacificamente la celebrazione della Messa di sempre.  
Tali motivazioni non si trovano semplicemente perché non ci sono... o meglio non ce ne sono che possano essere accettate senza riserve da un modernista.
Non potrà mai, ai loro occhi, sentire "cum Ecclesia" chi fa propri i valori teologici e i significati metafisici espressi dalla Liturgia Cattolica tradizionale.
E qui mi fermo. Lascio ad altri immaginare quale sarà il futuro di questa contesa. Da parte mia mi limito ad osservare che, a differenza di quanto pensavano tutti i commentatori all'epoca in cui esplose il caso di mons. Lefebvre, il tempo non ha in alcun modo risolto il problema, anzi... I vecchi sono morti ma i giovani, in quantità ancor maggiore, si avvicinano, giorno dopo giorno, alle fonti pure della Liturgia Tradizionale. Ciò che allora sembrava soltanto un "pallino" di pochi sacerdoti nostalgici riuniti attorno alla FSSPX, oggi sta contagiando, grazie a Dio,  anche altre congregazioni e tanti altri fedeli. Chi vivrà vedrà!

di Marco Bongi


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