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mercoledì 14 agosto 2013

Segnali spenti

CHIESA E CRIMINALITÀ

Reggio Calabria, la sfida di Fiorini Morosini

In diocesi imperversano le cosche. Il nuovo arcivescovo deve dare un segnale. Ma è già finito nella bufera.

Il 13 luglio scorso, dopo un lustro da vescovo della diocesi Locri-Gerace, monsignor Giuseppe Fiorini Morosini è stato nominato da papa Francesco arcivescovo della diocesi Reggio Calabria-Bova.
Col suo insediamento, il 21 settembre, il 67enne prelato di Paola (importante centro del Cosentino) si appresta a sostituire ai vertici della Curia reggina monsignor Vittorio Mondello.  
Durante il mandato arcivescovile, l’ex presidente della Cec (Conferenza episcopale calabra) ha dovuto fronteggiare agre voci su collusioni tra ‘ndrangheta e spezzoni della Chiesa reggina.

E il suo cerimoniere e parroco di Condera don Antonio 'Nuccio' Cannizzaro – ex assistente spirituale della polizia municipale di Reggio – nell’aprile 2012 è stato rinviato a giudizio nel processo Raccordo-Sistema per falsa testimonianza aggravata.
DON NUCCIO NELLA BUFERA. La cosca Crucitti si sarebbe avvalsa della sua mediazione per far chiudere i battenti all’associazione Harmos fondata dall’imprenditore Tiberio Bentivoglio, vittima di varie intimidazioni e di un tentato omicidio.
Don Nuccio, in un dialogo intercettato sul capobastone Santo Crucitti, ammise: «Gli ho fatto le dichiarazioni per lui, per aiutarlo, lo aiutai». E nel 2006 Bentivoglio rinunciò a organizzare un’iniziativa sul folklore in quanto, rivelò amareggiato ai magistrati, «don Nuccio Cannizzaro ci consigliava di desistere» perché «agli amici della zona dava fastidio questo progetto» e disse a sua moglie Vincenzina Falsone che «continuare nell’associazione avrebbe comportato il rischio di subire un altro incendio».
LE DIMISSIONI DEL PARROCO. In più, il parroco di Condera sarebbe stato un massone della Gran Loggia scozzese mediterranea del Sud, come emerso nel processo Libra imbastito a Catanzaro intorno alla connection tra ‘ndrine e zona grigia.
Ma il 17 dicembre scorso lo scandalo per alcune sue frasi finite sui giornali circa il comportamento pruriginoso di un altro (ignoto) religioso lo indusse a lasciare «tutti gli uffici ecclesiastici». Monsignor Mondello, però, respinse le dimissioni: anche se «i recenti fatti hanno causato scandalo», rispose a don Cannizzaro, «non si abbandona la nave quando le acque sono agitate».  
Da monsignor Fiorini Morosini molti fedeli si aspettano ora una soluzione di continuità rispetto al garantismo a oltranza. Il vescovo locrese, tuttavia, è già finito nell'occhio del ciclone per qualche dichiarazione azzardata.

Quando Morosini disse: «I mafiosi vanno perdonati»

Il 2 settembre scorso, nell'omelia tenuta alla festa mariana di Polsi – località nel cuore dell’Aspromonte dove nel settembre di ogni anno si terrebbero i summit dei clan –, monsignor Fiorini Morosini disse: «La Chiesa predica il perdono di tutti, anche per i mafiosi», pur specificando di non auspicare un «perdono facile», bensì il reale pentimento dei malavitosi.
Le sue parole, però, sconcertarono molti. «Il perdono non può essere concesso a un omicida», ha detto a Lettera43.it Mario Congiusta,  padre del giovane imprenditore sidernese Gianluca Congiusta, assassinato dal clan Costa il 24 maggio del 2005.
«Dopo quell’omelia mi posi la domanda se la Chiesa abbia il diritto di perdonare. Secondo me la Chiesa, al più, può assolvere dai peccati; e sul contrasto alle cosche dovrebbe parlare un’unica lingua».
MOROSINI IN DIFESA DI FIGLIOMENI. I punti interrogativi si sono infittiti nel luglio scorso, con la deposizione del presule paolano al tribunale di Locri nel processo Recupero: una testimonianza favorevole all’ex sindaco di Siderno Alessandro Figliomeni, arrestato il 14 dicembre di tre anni fa in quanto ritenuto il capo locale della città jonica. «L’ingegnere Figliomeni, anche nei nostri colloqui privati, ha sempre espresso concetti favorevoli alla legalità», asserì Fiorini Morosini, sentito come teste della difesa.
Il Comune locrideo è stato sciolto per infiltrazioni mafiose il 27 marzo scorso, nove mesi dopo le dimissioni del nuovo primo cittadino, Riccardo Ritorto, a sua volta indagato per mafia nel processo La falsa politica.
I LEGAMI TRA PRETI E CAPIMAFIA. Quello dei rapporti tra Chiesa e ‘ndrine è un nodo antico. Cinque giornalisti e studiosi – Romina Arena, Paola Bottero, Francesca Chirico, Cristina Riso e Alessandro Russo – ci hanno incardinato un convegno poi diventato un libro, La ‘ndrangheta davanti all’altare. Il procuratore aggiunto di Reggio Calabria Nicola Gratteri e il giornalista Antonio Nicaso, coautori di vari bestseller, hanno in cantiere un volume sul tema. Gli ‘ndranghetisti «prima di uccidere pregano la Madonna di Polsi», ha spiegato di recente Gratteri, e nei bunker vengono sempre trovate «immaginette»; d’altronde, ogni capomafia per rendere pubblico il suo potere «deve esternare il suo rapporto coi preti e coi vescovi», ma pure finanziare le processioni e i restauri delle chiese. «Ed è qui», ha affermato il neoconsulente del governo Letta, «che i preti chiudono un occhio; e a volte pure due». Una parola decisiva sull’argomento l’aveva pronunciata decenni prima la cantastorie di Licata Rosa Balistreri: «Mafia e parrini si déttiru la manu», cantava. Mafiosi e preti si diedero la mano. Un graffio per raccontare una delle facce più disperate della sua Sicilia.

di Mario Meliadò

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