LE RICADUTE DI UN’INTERVISTA AD ALTA QUOTA
Il Concilio ha promesso al mondo l'abbraccio di una Chiesa
non più docente ma dispensatrice in proprio di misericordia e indulgenze
incondizionate, senza curarsi troppo di verificare se per caso il mondo da
abbracciare non fosse quello stesso che il Maestro aveva raccomandato di
rifuggire. In ogni caso, bisognava allontanare l'idea troppo incombente della
legge di Dio e mettere un po' da parte anche il suo Autore, a cominciare dallo
spazio liturgico.
Chiesa e mondo hanno trovato una nuova intesa nell'egualitarismo,
teso, se non proprio alla salvezza delle anime, di certo alla solidarietà
sociale (Gaudium et Spes), socialisticamente intesa, e nel
riconoscimento della libertà come mito comune: una libertà tout court,
entrata di slancio anche nei nuovi canti liturgici, magari emancipata dalla
verità. La nuova Chiesa abbracciata al mondo ha inoltre inalberato quella
bandiera del pluralismo democratico, fatalmente destinato a trasformarsi in
pluralismo etico, per cui anche la dottrina, alla fine, dipende dai sondaggi,
dall'opinione pubblica. Sempreché tuttavia non si abbia a che fare con
questioni tanto importanti da poter diventare motivo di divisione, e sulle
quali perciò è buona norma non esprimersi. Questo è infatti uno dei punti di
approdo della nuova Chiesa del mondo e per il mondo: sui valori irrinunciabili
prevale come valore il silenzio collettivo. Se tutti stiamo zitti, significa
che tutti siamo cristianamente d'accordo.
Certo, Benedetto XVI ha tentato di ricentrare il
cattolicesimo sulla verità della creazione, sulla oggettività della legge
divina e sulla sua comprensibilità in termini di ragione, ma è stato oscurato,
oltrechè per la diserzione dei chierici, perchè una nuova sensibilità
sostituisce ora alla ragione la percezione, quando non la suggestione collettiva
mediaticamente indotta, quale vera forma di conoscenza degna dell'uomo
contemporaneo. Sia che si tratti di definire le temperature metereologiche, sia
che si tratti di decidere se considerarsi maschi o femmine.
Jorge Mario Bergoglio ha mostrato, sin dai primi gesti dopo
l'investitura, di voler rimodellare anche il papato secondo la sensibilità del
mondo votato all'egualitarismo democratico, al pluralismo delle concezioni
anche religiose, al ridimensionamento dei ruoli e delle vocazioni a cominciare
da quelle della Chiesa, alla liberazione da imperativi troppo pressanti in nome
dell'amore misericordioso che tutto soccorre e appiana.
L'intervista,
rilasciata a braccio ad alta quota durante il viaggio di ritorno dal Brasile,
sembra riassumere in modo esemplare sia la visione che la stessa Chiesa ha
maturato di sé e del proprio rapporto col mondo, sia un modo tutto personale di
intendere la funzione papale. Si è molto insistito sul tono disinvolto e sulla
consueta semplicità delle parole, che in questa circostanza si sono rivelate,
per contro, particolarmente gravide di significati e di conseguenze
impegnative. A cominciare dunque dalla frase - non a caso divenuta già storica-
"chi sono io per giudicare un gay". Il giornalista aveva fatto
riferimento in termini generali allo scandalo a sfondo omosessuale che ha
investito un prelato di fresca nomina allo Ior. Sui comportamenti legati
all'omosessualità, non era stato chiesto un giudizio morale, forse dato per
scontato, ma all'intervistato premeva mettere a fuoco proprio questo tema. E la
"risposta" contiene implicitamente due proposizioni: nessuno può
esprimere un certo giudizio morale, quindi neppure io; un certo comportamento
può sfuggire ad un giudizio morale secondo le ragioni esposte di seguito.
Come è stato già osservato, la prima proposizione richiama
anzitutto quella dottrina di recente seguita dalla Chiesa che, distinguendo il
peccato dal peccatore, ammette la condanna del primo ma la esclude per il
secondo. Dottrina che curiosamente riesce ad immaginare il peccato come una
entità capace di vita autonoma rispetto al suo autore umano. Ma avallata
apparentemente dalla lettura tronca di GV,7,24 che si suole ridurre ad un
immaginario icastico nolite judicare. In questo modo il
passo viene amputato però della parte decisiva: "(non giudicate) secondo
l'apparenza, ma giudicate con giusto giudizio" e acquista tutt'altro
significato. Giudicare significa valutare qualcosa secondo un criterio. Il
giudizio morale presuppone il criterio del bene e del male. Pilato non vuole
giudicare perchè non sa cosa sia la verità. Ma al cristiano il criterio della
verità è fornito dalla legge sacra, che nessuno può conoscere meglio del
reggitore della Chiesa al quale sono state consegnate le chiavi del Regno e che
quella legge ha ricevuto il mandato di custodire, interpretare e tramandare.
Dunque il testo evangelico non esclude affatto la legittimità del giudizio sui
comportamenti sodomitici, dal momento che già tutta Sacra Scrittura ne fornisce
i criteri di valutazione. Tuttavia Bergoglio - spostando l'attenzione proprio
sui comportamenti ispirati all'omosessualità - introduce una curiosa
distinzione, quasi modellata su quella dei reati, tra pratiche omosessuali “leviores”,
peccati di gioventù moralmente trascurabili, e comportamenti omosessuali che
assumono la non meglio precisata forma, più grave, del delitto e senza
ulteriori indicazioni di merito.
Forse consapevole della necessità di dare a questo schema
una più chiara definizione, egli auspica a questo punto una generale
risistemazione teologica del peccato in generale, volta, pare di capire, ad un
suo ridimensionamento, anch'esso se possibile in senso democratico. La
classificazione si arricchisce poi della ulteriore distinzione tra
comportamento individuale e "lobbistico" che, per gravità, diventa
forse un tertiumgenus rispetto al singolo comportamento
peccaminoso e a quello genericamente delittuoso. A questo proposito si potrebbe
osservare, tuttavia, che la forma associativa ha valore strumentale: è capace
di enfatizzare le caratteristiche e le potenzialità di un qualsiasi
comportamento umano, buone o cattive che siano, ma non di trasformarne
qualitativamente la natura. In altre parole, è difficile immaginare che una
attività acquisti carattere "delittuoso" nella forma associativa, ma
conservi invece quello della semplice "peccaminosità" (quasi-liceità)
se compiuta individualmente. E in ogni caso rimane la difficoltà, e non è cosa
da poco, di coordinare tante varianti con il fatto che sul tema del
comportamento omosessuale il dettato della Sacra Scrittura è estremamente
chiaro e che il Magistero lo ha approfondito in termini inequivocabili.
Entrambi hanno già fornito quei criteri che dovrebbero consentire a chiunque di
giudicare secondo il giusto giudizio.
Tuttavia, ora si pongono problemi che vanno oltre quelli
della sistemazione dottrinale del peccato e delle sue graduazioni e della
valutazione morale dei comportamenti omosessuali individuali. Nessuno può
ignorare infatti che quello omosessuale da fenomeno marginale comunemente
assorbito dalla collettività, ha assunto la forma di una potente forza politica
e ideologica che cerca di imporsi su tutta la società al fine di scardinarne
gli elementi portanti. Una forza che pretende di imporre se stessa come
"valore" meritevole addirittura di una tutela privilegiata: un
"valore" da far prevalere contro le leggi della natura, contro il
sentire comune, contro le esigenze educative e la responsabilità verso le nuove
generazioni, contro le esigenze di conservazione e di sviluppo della vita
comune.
Questa realtà, che coinvolge i fondamenti stessi della fede
nella creazione, non può essere ragionevolmente ignorata da colui al quale è
stata affidata formalmente la Chiesa universale con il compito di guidare gli
uomini, il gregge, lungo la strada indicata come salvifica da una volontà
superiore. E invece il problema sembra essere eluso di proposito, come d'altra
parte era già emerso vistosamente da un'altra risposta significativa alla
domanda della giornalista brasiliana Patricia Zanon, peraltro presto
scoraggiata dalla attenta regia di padre Lombardi. La giornalista aveva chiesto
come mai, nell'incontro con milioni di giovani, fosse stato omesso ogni
riferimento alla nuova legge brasiliana che ha ulteriormente liberalizzato
l'aborto e ammesso le "nozze omosessuali" con annesse adozioni. La
risposta è stata che la Chiesa si è già pronunciata in merito e che in quella
circostanza non c'era nulla da aggiungere. DunqueRoma locuta, causa finita?
Ma Roma ha il dovere di istruire sulla legge di Dio e quindi anche sulle
ragioni che rendono ingiuste le leggi degli uomini. Una ingiustizia astutamente
mascherata dai falsi dogmi, dai falsi diritti, dalla forza dell'antiragione con
cui vengono violentate proprio quelle coscienze più deboli perché lasciate
indifese. Eppure altri temi certamente meno fatali per il destino della stessa
umanità godono di una attenzione infaticabile.
Non è un caso che incertezze di giudizio e inspiegabili
reticenze abbiano offerto proprio agli esponenti della compagine che si batte
per imporre ad una società disorientata e inerme leggi perverse, il destro per
esibire grottescamente il supposto sostegno morale del Vescovo di Roma.
Se si creano addirittura le condizioni per una possibile
confusione delle parti nella commedia, questa diventa il surreale racconto di
una battaglia volutamente perduta.
di Patrizia Fermani
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