ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

giovedì 12 settembre 2013

EuChi?

La Repubblica e Papa Francesco

Papa Francesco
Qui nessuno vuole minimizzare nulla, intendiamoci. Ma che un Papa si interfacci con la stampa, diversamente da quanto notava ieri un gasatissimo Ezio Mauro, pur non rappresentando certamente un evento ordinario, non è una novità assoluta. Basti pensare che già Papa Leone XIII (1810 – 1903), rilasciò alla stampa più interviste, precisamente al Petit Journal nel febbraio 1892 e a Le Figaro nel marzo 1899.
Venendo all’Italia e a tempi meno remoti non possiamo poi non ricordare il colloquio-intervista – apparso sul Corriere della Sera del 3 ottobre 1965 – fra Papa Paolo VI (1897-1978) ed Alberto Cavallari (1927 – 1998). E che dire, rimanendo in tema di media, del fatto che il 12 dicembre scorso sia stato il “conservatore” Benedetto XVI – mai troppo coccolato, sulle colonne di Repubblica - a comparire su Twitter? La svolta, in quel caso, è stata davvero epocale. Ma allora, guarda caso, il riconoscimento verso Papa Ratzinger per un’iniziativa veramente rivoluzionaria – peraltro non priva di profili critici, primo fra tutti la possibilità, offerta a tutti, di dileggiare pubblicamente il Sommo Pontefice –è stato meno universale.
Basti pensare al titolo in prima pagina di Repubblica il giorno seguente, il 13: «Se c’è Monti non mi candido», una frase del Cavaliere, Silvio Berlusconi, ossessione perenne di quella redazione. Ma, a giudicare dalle prime pagine anche degli altri quotidiani di allora – fatta eccezione per i piccoli spazi riservati in prima pagina da La Stampa e il Messaggero -, l’iscrizione – questa sì mai vista prima – di un Papa ad un social network non colpì più di tanto. Diciamo questo, si badi, non già per negare a Repubblica il gran colpo editoriale, bensì per comprendere quanto di strumentale vi sia in certi commenti entusiasti e di infondato nella divisione fra schieramenti – i cattolici “progressisti” esultanti da un lato, quelli “tradizionalisti” attapirati dall’altro – dinnanzi alla scelta di Papa Francesco di rispondere ad Eugenio Scalfari. Il quale, come telefonate e lettere varie dimostrano, non è certo la prima persona a cui il Santo Padre ha rivolto le sue attenzioni.
Ciò non toglie, ovviamente, che si possa discutere circa l’opportunità di una simile iniziativa. Tanto più alla luce della manipolazione (abbastanza prevedibile, a dire il vero) che Repubblica ha riservato a Bergoglio intitolando il suo intervento in modo truffaldino: «La verità non è mai assoluta». Una frase incandescente, che però – verificate pure – non esiste nell’intervento papale, neppure come concetto. Papa Francesco infatti, pur scrivendo (notare il condizionale, lontano anni luce dal definitivo «mai») «io non parlerei di “verità assoluta”» – intendendo assoluta come irrelata -, precisa subito che «ciò non significa che la verità sia variabile e soggettiva, tutt’altro» (p.4). Il titolo da dare alla lettera, quindi, semmai era «La verità non è mai soggettiva». Ma sarebbe stato chiedere a Repubblica onestà intellettuale. Troppo, evidentemente, per giornalisti che quotidianamente cercano di raccontare Papa Francesco come un rivoluzionario.
Come se la disponibilità e in un certo senso l’informalità del Santo Padre fossero cose mai viste prima di oggi. Mentre, per capire che non è affatto così, basterebbe rievocare la disinsvoltura con la quale, per esempio, Papa Pio IX (1792 – 1878) ogni santa sera se ne passeggiava liberamente per il centro di Roma concedendo saluti, sorrisi e pure battute dialettali ai passanti. Fino al punto di arrivare – ha ricordato Vittorio Messori – a comprare di tasca sua del vino di gran classe pur di tranquillizzare un ragazzino in lacrime che, rotta la bottiglia che aveva con sé, non osava più rientrare a casa. Un episodio fra i tanti e che ben poco meraviglia, in realtà, chi ha dimestichezza con la storia della Chiesa. Ma che certamente stupirà buona parte dei lettori di Repubblica, testata che, pur di far dire a Papa Francesco novità assolute – che nella sua pur appassionata lettera a Scalfari, piaccia o meno, non ci sono -, piazza titoli manipolatori. Ci vuole fegato, a chiamarlo giornalismo.

SCALFARI? MA CHI? QUELLO CHE...


...scriveva, sì, proprio lui, Eugenio Scalfari, il 2 Dicembre 2007 su Repubblica:

"A Benedetto XVI il relativismo non piace ed è comprensibile in chi amministra la verità assoluta (la sua). Non c'è niente da dire su questo punto. Certo, anche la Chiesa cambia spesso di opinione su fatti peccati e peccatori. E' umano. A rileggere la sua storia ci si accorge che è anch'essa immersa nel relativismo. Anche questo è umano."

Non pago di questo suo rutilante giudizio, il 13 Gennaio 2008 elargiva questo commento su Repubblica:

"Al di là della palese inconsistenza politica e culturale di papa Ratzinger, che da Ratisbona in qua si comporta come un allievo di questo o quel dignitario della sua corte spostando la barra del timone secondo i suggerimenti che gli vengono da chi di volta in volta lo consiglia, esiste più che mai un disagio profondo nella Chiesa e nel laicato cattolico. La Chiesa di Benedetto XVI, ma anche quella di Giovanni Paolo II, non riesce ad entrare in sintonia con la cultura moderna e con la moderna società. Questo è il vero tema che dovrebbero porsi tutti coloro che si occupano dei rapporti tra la società ecclesiale e la società civile all'inizio del XXI secolo."

"I Papi poi rappresentano un fenomeno a se stante. Ce ne sono stati di grandissimi, di mediocri, di viziosi, di esemplari. Direi che gli ultimi esemplari sono stati Giovanni XXIII, Paolo VI, Papa Wojtyla. Quello attuale [Benedetto XVI] è un modesto teologo che fa rimpiangere i suoi predecessori."

Rifletteva poi il 22 Aprile 2010 sull'Espresso:

"Il Vaticano II ha rappresentato l'estremo tentativo di considerare il messaggio cristiano come un lievito da inserire nella cultura moderna, in una concezione pluralistica della società che preservasse la dignità della persona indipendentemente dalla sua fede religiosa. I diritti e i doveri della persona, la sua libertà, la sua responsabilità, la radice morale e l'amore del prossimo a confronto con l'egoismo e con la volontà di potenza. Questa visione metteva in discussione la gerarchia e il primato dell'istituzione. Perciò il Vaticano II fu dapprima frenato e poi reinterpretato; gli episcopati ricondotti entro la guida della gerarchia, gli equilibri ristabiliti all'insegna della continuità. Il quinquennio di Benedetto XVI ha avuto finora questo significato. Lo scandalo dei preti pedofili è stato affrontato dal Papa con apprezzabile anche se tardiva severità; ma non ha inciso sul tema di fondo e non ha proposto la domanda decisiva: la Chiesa è il luogo dove si attua il messaggio di Cristo o dove si amministra in suo nome il potere della gerarchia?"

Dopo un anno di meditata sosta scagliava i suoi definitivi fendenti il 27 Maggio 2012 su Repubblica:
"Benedetto XVI non è un grande Papa anche se l'ingegno e la dottrina non gli mancano. Non è un attore, anzi è il suo contrario. Wojtyla aveva un guardaroba grandioso perché tutto era grandioso in lui. Il guardaroba di Ratzinger è invece lezioso perché è il Papa stesso ad esser lezioso, come si veste, come parla, come cammina. Scrive bene, questo sì, i suoi libri sul Cristo si fanno leggere, le sue encicliche non sono prive di aperture ed anche alcuni suoi discorsi. La sua rivalutazione di Lutero ha suscitato sorpresa e qualche speranza di progresso verso la modernità, contraddetto però dalle sue scelte operative, dalla conferma di Sodano in segreteria e poi all'avvicendamento con Bertone: dal mediocre al peggio. Bertone: un Ruini senza l'intelligenza e la duttilità dell'ex vicario ed ex presidente della Cei. La gerarchia è ridiventata onnipotente ma spaccata in molti pezzi. L'ecumenismo è ormai è un fiore appassito anzitempo. Benedetto XVI ha riesumato in pieno la tomistica di Tommaso d'Aquino con tanti saluti ad Origene, Anselmo d'Aosta e Bernardo. Agostino sembrava uno degli ispiratori di Ratzinger, ma quale Agostino? Il manicheo, il coadiutore di Ambrogio o l'autore delle Confessioni? Agostino fu molte cose insieme arrivando fino a Calvino, a Giansenio e a Pascal. Se volesse dire qualche cosa di veramente attuale Papa Ratzinger dovrebbe dare inizio alla beatificazione di Pascal ma mi rendo conto che nel mondo dei Bertone, della Curia romana e delle attuali Congregazioni, questo sì, sarebbe un gesto radicale verso la modernità. Non lo faranno mai. Il pontificato lezioso andrà avanti finché potrà, poi non ci sarà il diluvio ma una pioggia da palude piena di rane, zanzare e qualche anitra selvatica. Quanto di peggio per tutti."

Esultava infine il 17 febbraio 2013 a dimissioni avvenute:
"Infine il processo di secolarizzazione di tutto l'Occidente e in particolare in Europa e nel Nord America. Nessuno di questi problemi è stato risolto da Benedetto ed è questa la vera ragione che l'ha indotto alla sua clamorosa rinuncia. Questa decisione ha rotto la sacralità, ha messo a nudo la natura lobbistica della gerarchia, ha indebolito il ruolo del Papa innalzando quello della Chiesa conciliare. Il Concilio sarà d'ora in poi un'istanza suprema, il colloquio con la modernità risveglierà probabilmente una Chiesa minoritaria e depositaria di un'etica meno ingessata dai dogmi."

Il Fatto e il Papa di Repubblica, quando i laici non comprendono la Chiesa

Il Fatto e il Papa di Repubblica, quando i laici non comprendono la Chiesa
I papi fanno sempre parlare e discutere. Non si può dire che Francesco sia diverso in questo da Giovanni Paolo II e da Benedetto XVI. Certo è che Jorge Mario Bergoglio sta dimostrando, almeno agli occhi di alcuni commentatori, una discontinuità rispetto a Ratzinger che genera qualche perplessità. Specialmente tra coloro che, fino a qualche mese fa, criticavano la Chiesa perché troppo conservatrice.
Nel Fatto Quotidiano di oggi, con la sua consueta sottigliezza, ci pensa Marco Politi a rincarare la dose. Entrando nella disamina sullo scambio epistolare che Francesco ha avuto con Eugenio Scalfari, il noto vaticanista conclude: “Una domanda cruciale rimane inevasa in questo dialogo. Scalfari, avendo confessato che gli piacciono moltissimo Papa Francesco, il Poverello di Assisi e Gesù di Nazareth, ricordava che la Chiesa cattolica è diventata quello che è, perché si tratta di una struttura di potere.
Che ne sarà? Qui Bergoglio non può rispondere. Perché l’interrogativo riguarda la sua stessa leadership e il successo o l’insuccesso della sua perestrojka”.
Potere? Perestrojka?
Proviamo a mettere un po’ d’ordine e a far capire qualcosa a chi ci legge.
In primo luogo potere. Questa categoria politologica corrisponde a qualcosa di molto reale, concreto e materiale. Per avere potere bisogna avere dei mezzi a disposizione. A dirlo non sono io, né la chiesa ma Max Weber. Ora, un pensatore certo non facilmente tacciabile di sinistrismo, anche se molto amato dai comunisti, come Carl Schmitt diceva giustamente che la peculiarità della Chiesa romana è che ha un’autorità assoluta, appunto perché non ha bisogno del potere. In Chiesa cattolica e forma politica, il giurista tedesco aggiunge che ciò la separa dalle istituzioni moderne. In effetti, sebbene la ricchezza e la gestione delle pecuniae non manchi, la forza della Chiesa è il messaggio cristiano, ossia il rappresentare la voce di Cristo nella storia. La Chiesa, e il papa ad personam, “rappresenta” Dio. Ciò basta a darle autorità, senza bisogno di persuadere mediante la ricchezza. E’ forse perché ciò talvolta è avvenuto, anche di recente, tra alcuni prelati, che Bergoglio sta, giustamente, sostenendo la povertà in spirito, che significa esattamente non rinuncia ma affermazione dell’autorità spirituale sopra i mezzi materiali a disposizione.
Qui vengo alla seconda categoria molto abilmente inserita nel contesto interpretativo da Politi: la perestrojka. Com’è noto con questo termine si è inteso l’insieme delle “riforme” che Gorbaciov ha introdotto nel sistema comunista russo negli anni ’80.
Perestrojka ha significato cambiamento, abbandono d’idee sbagliate. Qui nasce l’equivoco. Un Papa, e Francesco lo sta facendo e lo farà sempre più, può e deve riformare l’organizzazione ecclesiastica, la curia, cambiare le cariche, eccetera, se serve a migliorare la missione apostolica universale. Può e deve farlo perché serve a liberare l’autorità dal potere umano. Ma nessun papa, nessun fedele, può estendere il cambiamento e l’istanza riformatrice alla Verità. Al contrario dell’impero sovietico, costruzione umana artificiale, leviatanica, violenta e contro natura, la Chiesa è un’istituzione posta da Dio sopra la natura, i cui pilastri sono stati concessi all’umanità ma non sono frutto di una costruzione umana.
Dunque, che significa l’uso di questo termine, applicato a una realtà che non può essere riformata, ma al massimo ripulita e purificata anche con la povertà?
In ultimo, c’è una sottile confusione semantica nel parlare di una “fede laica”, come si legge sulla prima pagina del Fatto Quotidiano. La fede cristiana, al contrario delle tante credenze laiciste, non da ultimo quella che fino a ieri portava tanti giornalisti di sinistra a credere nello splendore dei Soviet, è un credere in Dio. Cioè è un aprire la propria mente, il proprio cuore, la propria libertà all’amore eterno di un Salvatore divino e umano. In questo senso solo la fede cristiana è laica, perché libera di aderire al soprannaturale come apertura a una dimensione di razionalità superiore. Nessun’altra fede è laica ma dogmatica, come si capisce dalle tante superstizioni che hanno gli illuministi e i laicisti di maniera.
Il Papa non laicizza la fede, riscopre, anzi, il suo valore di luce che spalanca l’anima alla verità.
Ci viene di chiedere a tanti validi commentatori se hanno la laicità sufficiente per capire quello che avviene Oltretevere.
http://www.formiche.net/2013/09/12/il-fatto-il-papa-repubblica-quando-i-laici-comprendono-la-chiesa/

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