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giovedì 5 settembre 2013

Il bellum iustum di San Pietro



Francesco, il doppio volto giovanpaolino e la diplomazia digiunante

“Verrà il momento in cui il Papa si porrà il problema di giustificare la guerra in Siria, se e quando scoppierà”. Daniele Menozzi, storico del Cristianesimo alla Scuola normale di Pisa, vede un Francesco ancora prudente, a metà strada tra l’idea giovanpaolina di avallare l’intervento umanitario in determinate situazioni e il rifiuto radicale e definitivo di ogni forma di violenza, compresa quella bellica. “Giovanni Paolo II legava il concetto di guerra giusta alle decisioni prese dagli organismi internazionali, in particolare le Nazioni Unite”, dice al Foglio. La memoria va ai primi anni Novanta, quando la Cortina di ferro calata sull’Europa quarant’anni prima era venuta giù insieme al Muro di Berlino e all’impero sovietico. Somalia e soprattutto Yugoslavia erano i primi teatri bellici del mondo non più bipolare. E il Papa polacco arrivò a dire che “l’intervento umanitario nelle situazioni che compromettono gravemente la sopravvivenza di popoli e di interi gruppi etnici è un dovere per le nazioni e la comunità internazionale”. Un imperativo anche morale, insomma. Poi, gli appelli contro la guerra in Iraq e l’Angelus drammatico e a braccio del 16 marzo 2003 con cui un Wojtyla già malato gridava “mai più la guerra!” hanno reso sbiadito il ricordo delle ferme parole pronunciate un decennio prima.

L’istituto del bellum iustum “ha avuto una lunga storia nell’ambito della tradizione cattolica. I criteri di legittimazione della guerra sono andati progressivamente restringendosi, man mano che questa diventava questione che riguardava sempre più le popolazioni civili. Si sono erose le basi da cui si partiva per giustificare da un punto di vista religioso un conflitto. Questo è un processo cui abbiamo assistito nel corso del Novecento”, dice Menozzi. La domanda che dobbiamo porci, prosegue lo storico del cristianesimo, è “se ora ci troviamo dinnanzi a un ulteriore restringimento di questi criteri”. Francesco, domenica scorsa, “ha detto che la religione non giustifica la violenza, che la violenza bellica è contraria alla legge evangelica e quindi mai giustificabile”. Nonostante ciò, però, “è troppo presto per dire se sia stato compiuto questo passo”, se la concezione della guerra giusta fatta propria da Giovanni Paolo II sia stata superata e archiviata in modo definitivo. In sostanza, aggiunge il nostro interlocutore, “il problema della giustificazione del conflitto si porrà in un secondo momento, mentre ora bisogna mettere in campo tutti gli strumenti atti a evitare un attacco armato su Damasco”.
Bergoglio crede davvero alla possibilità della chiesa cattolica di fermare la guerra, ne è convinto. Il suo appello di domenica non è una semplice esortazione fatta in termini consolatori. Per ottenere lo scopo che si è prefisso, “ha attivato i tradizionali strumenti a disposizione della Santa Sede, come la diplomazia, ma anche quelli tipici della chiesa, come il digiuno. La novità è che quest’ultimo è stato proclamato in forme nuove, che hanno coinvolto non solo i cattolici, bensì anche i fratelli separati e tutti gli uomini di buona volontà”. Per il momento, dunque, “Francesco punta a mobilitare le coscienze”, spiega Menozzi. In seguito, però, sarà possibile un’evoluzione dell’atteggiamento del Vaticano: “Se guerra sarà, si vedrà come orientare l’azione della chiesa”. Nulla è scontato né deciso.
La linea data dal Papa è quella di compiere un passo alla volta. Questo è il momento della diplomazia della Santa Sede, che alle spalle vanta una grande tradizione e storia e che alla chiesa ha dato brillanti nunzi, grandi segretari di stato e papi. E’ all’antica scuola che oltretevere da secoli tratta la politica estera, che Francesco si è rivolto. Lo ha fatto sabato scorso, quando ha ricevuto collegialmente tutti i vertici della segreteria di stato (compreso l’uscente Tarcisio Bertone) e il prefetto della Congregazione per le chiese orientali, il cardinale argentino Leonardo Sandri. E lo fa, aggiunge Menozzi, anche “in modo riservato e segreto, attraverso vie a noi ignote”.
Intanto, si è attivata anche la Conferenza episcopale degli Stati Uniti: con un appello diffuso martedì, l’organismo dei vescovi americani guidati dall’arcivescovo di New York, Timothy Dolan, ha sollecitato tutti i cattolici a contattare i rappresentanti di riferimento al Congresso chiedendo loro di votare contro la risoluzione che autorizza l’uso della forza militare in Siria. Nonostante “l’atroce attacco con armi chimiche condotto su civili innocenti”.

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