Quanto costa la tentazione di un cristianesimo senza fatica e senza sacrificio, nella chiesa che conta i propri seguaci su Twitter. Ma una cosa è unirsi al Corpo di Cristo, altro è sentirsi parte della community
Non è necessario essere così vecchi per avere un’idea di che cosa fosse un Cronicon e, magari, averci anche data un’occhiata. Era il diario in cui ogni sacerdote annotava i fatti salienti della parrocchia che gli era stata affidata in cura. Alcuni brillavano come piccoli gioielli letterari, perché i vecchi preti, finito il breviario, non avevano da stare dietro alla tv, a Facebook o a Twitter. Pregavano, studiavano, leggevano e, se avevano del talento per la scrittura, lo riversavano nelle cronachette quotidiane del loro gregge. In ogni caso, ciascuno a suo modo, tramandavano memoria del memorabile, tra cui non mancavano mai di annotare quante comunioni avessero distribuito.
Oggi, invece, si fa il censimento dei follower di Twitter. Ma una cosa è contare le comunioni di un gregge di cui si conosce pecora per pecora e un’altra cosa è contare i clic di un universo sconosciuto. Una cosa è unirsi al Corpo Mistico di Cristo cibandosi fisicamente della sua carne e del suo sangue e un’altra cosa è sentirsi parte di una community senza la necessità di mostrare il proprio corpo.
L’enfasi sui dieci milioni di follower raggiunti su Twitter da Papa Francesco non contribuisce a tenere separati i piani. Anzi, finisce per sostituire il concetto di conversione con quello di successo, l’unico che il mondo sia in grado di capire e di promuovere. I mezzi di comunicazione, che sono naturaliter mondani, non possono permettersi di trattare merce che comporti fatica come il cambiamento radicale di vita. Tutto deve essere facile e alla portata di tutti: se la chiesa cattolica vuole esserci, deve diventare un fenomeno che possa essere trattato come tutti gli altri. La pax mediatica non si estende oltre i confini e le leggi della mediasfera.
L’enfasi sui dieci milioni di follower raggiunti su Twitter da Papa Francesco non contribuisce a tenere separati i piani. Anzi, finisce per sostituire il concetto di conversione con quello di successo, l’unico che il mondo sia in grado di capire e di promuovere. I mezzi di comunicazione, che sono naturaliter mondani, non possono permettersi di trattare merce che comporti fatica come il cambiamento radicale di vita. Tutto deve essere facile e alla portata di tutti: se la chiesa cattolica vuole esserci, deve diventare un fenomeno che possa essere trattato come tutti gli altri. La pax mediatica non si estende oltre i confini e le leggi della mediasfera.
Ma l’idea che al cattolico sia consentito avere con il mondo un rapporto pacificato è un’illusione che non si può neppure definire pia. Si fonda sulla convinzione che non esisterebbe un’ostilità mondana nei confronti di Cristo. Anzi il mondo attenderebbe solo l’annuncio del Vangelo che, fino a oggi, l’inadeguatezza della chiesa e della sua tradizione avevano reso impossibile. Questo equivoco nasce dal superamento della classica distinzione di due concetti di mondo che convivono in tutti i Vangeli e nella tradizione. C’è un mondo oggetto dell’amore di Dio che deve essere amato dal cristiano. Ma c’è poi la parola mondo usata da Cristo per indicare il regno del nemico, che ha nell’angelo ribelle il suo principe incontrastato. Un cattolicesimo che si dimentichi di questa natura del mondo non è più, a rigore, un vero cattolicesimo. Diventa una religione della “buona volontà”, destinata a sciogliersi in tv in maniera indolore, perfetta per una prima serata da grandi ascolti.
“Il dialogo della chiesa con il mondo di cui oggi tanto si parla” scriveva il domenicano Roger Thomas Calmel nel 1967 “non potrà mai essere quello di due interlocutori su un piano di parità, in qualsiasi modo si intenda il mondo. Le prime cose che colpiscono nell’incontro fra la chiesa e il mondo sono la trascendenza della chiesa e la sua irriducibilità (…). Ne risulta quindi che l’incontro della chiesa col mondo non potrà mai assomigliare a quello di due cortesi compagni che inizino un dialogo da pari a pari, una sera d’estate, sotto gli alberi di un giardino pubblico. Il solo incontro autentico e salutare della chiesa con il mondo è quello dei confessori senza macchia, dei dottori inflessibili, delle vergini fedeli e dei martiri invincibili, ricoperti dalla tunica scarlatta intinta nel sangue dell’Agnello (…). Dobbiamo separarci dal mondo quando non possiamo fare come vuole il mondo senza offendere Cristo”.
Parole che suonano strane, specialmente se ci si appresta ad allestire un ospedale da campo dove non si può andare tanto per il sottile. Ma, anche quando si prestano i soccorsi, tanto più se lo si fa per le anime, bisogna porre attenzione al luogo in cui si alzano le tende. Non tutti gli accampamenti sono uguali. A questo proposito viene in soccorso la dottrina tomista delle tre città. Vi è la città di Dio, la chiesa, essenzialmente soprannaturale, senza peccato benché costituita di peccatori. Il suo compito fondamentale è annunciare il Vangelo, celebrare il Santo Sacrificio, salvare le anime. Ovviamente ciò non significa che la chiesa non porti un beneficio anche nell’edificazione della civiltà, e dunque non vi è opposizione fra la missione essenziale e primaria della chiesa, la salus animarum, e la promozione di una civiltà più umana.
di Alessandro Gnocchi e Mario Palmaro
© - FOGLIO QUOTIDIANO
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