Segreti e strategie di un social network chiamato Papa Francesco
Papa Francesco è un vero social network
Ne è convinto padre Antonio Spadaro, direttore della rivista dei gesuiti La Civiltà Cattolica, che in occasione della presentazione del suo libro “Cyberteologia. Pensare il cristianesimo al tempo della rete” (Edizioni Vita e Pensiero, p. 150, euro 14,00), tenutasi alla Camera dei Deputati, indaga come lo spazio digitale tocchi direttamente anche la fede, e spiega: “Quando Papa Francesco si è affacciato dal balcone di piazza San Pietro e, prima di dare la benedizione, si è chinato e ha chiesto lui una benedizione e una preghiera per il ministero che stava per intraprendere, ha dimostrato di essere egli stesso un social network, rendendo ‘attive’ in quel momento le migliaia di persone presenti e connettendole con la sua persona e con quanto stava accadendo”.
E’ una tesi forte, e anche controversa, che non può mancare di sollevare osservazioni critiche da parte di chi invece vorrebbe tenere la Chiesa lontana dallo spazio virtuale e, in particolare dai nuovi mezzi di comunicazione, come Twitter o Facebook.
La Chiesa sta dove stanno gli uomini
Invece, rimarca Spadaro, la sfida è nelle cose: “La Chiesa non è in rete perché è moderna, ma perché in rete ci sono gli uomini e la Chiesa deve stare dove ci sono gli uomini. E’ così non da oggi, o perché l’abbia detto il Papa: è così dagli Atti degli Apostoli”. In sostanza, prima ancora che alla missionarietà, si tratta di una chiamata alla condivisione e all’ascolto, cui non perde occasione di fare cenno lo stesso Bergoglio nelle sue omelie e nei suoi appuntamenti pubblici, che deve manifestarsi anche nello spazio digitale che – ammonisce il gesuita, citando il messaggio del Papa emerito Benedetto XVI in occasione della Giornata Mondiale per le Comunicazioni sociali del 2013 – non è un mondo parallelo, ma è ormai parte della realtà quotidiana”.
La più grande comunità del mondo dopo il mondo
Tra l’altro, sottolinea Riccardo Luna, giornalista de La Repubblica ed esperto di web, “molti dei valori dello spazio digitale sono gli stessi del cristianesimo, basti pensare per esempio a quello dell’apertura verso il prossimo”, ovvero colui che ci è vicino, ma oggi anche colui che è connesso con noi. “E’ difficile ai giorni nostri ignorare internet – ammette il Ministro della Pubblica amministrazione Giampiero D’Alia – se non altro perché internet è la comunità più grande del mondo dopo il mondo: per questo la rete può essere il luogo in cui si scopre un nuovo umanesimo, si coltivano una funzione e una dimensione positive”. Normale che per conoscersi sia necessario frequentarsi e avere una consuetudine di rapporto. “Internet – usa una metafora Antonio Palmieri, deputato e appassionato di tecnologia, nonché organizzatore dell’evento in onore di padre Spadaro – è come un bambino piccolo che ha sempre fame: se non lo si alimenta non lo si riesce a far crescere né si riesce a sviluppare un relazione reciproca tra noi e lui”.
Fede e rivoluzione digitale
Difficilmente quindi la Chiesa potrà eludere le domande di senso e i bisogni spirituali che emergono nell’ambiente digitale, magari da parte di chi dalla fede è distante, ripensando anche le modalità di trasmissione della parola di Dio, perché “la rete – conclude padre Spadaro – non è un mezzo di evangelizzazione, la rete è un ambiente in cui si vive il Vangelo”, e questo non può non cambiare l’approccio del cristianesimo alla tecnologia e a questo nuovo paesaggio umano. Del resto, delle aperture positive (quanto ai rischi, ci sarà probabilmente bisogno di un nuovo convegno) a un’intelligenza non più collettiva, ma “convergente”, parlava con slanci profetici già negli anni cinquanta il filosofo gesuita francese Pierre Teilhard de Chardin: “Sotto i nostri occhi l’umanità sta tessendo il suo cervello. Domani, per approfondimento logico e biologico del movimento che la contrae, chi sa che essa non troverà il suo cuore, il cuore senza il quale le sue potenze di unificazione non potrebbero mai scatenarsi pienamente?”.
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