Curiosa coincidenza. Questo giornale ha pubblicato, tra molti altri articoli problematici, di studio, di curiosità e di sostegno alla nuova chiesa o antica di Francesco, una serie di articoli critici. Gli ultimi, ma non in ordine di importanza, erano firmati da uno scrittore cattolico e da uno studioso e canonista, Alessandro Gnocchi e Mario Palmaro. Non hanno la tonsura, in questo senso sono laici. Si definiscono “paolotti” della bergamasca. Sono credenti devoti, hanno una loro idea della tradizione liturgica, teologica, e una loro impostazione di cultura religiosa ispirata agli aspetti più rigorosi e appunto canonici dell’apostolato cristiano. Curiosa coincidenza. Senza por tempo in mezzo, senza nominarli, il Papa ha attaccato come peccaminosa la rappresentazione delle loro opinioni nella sua predica focosa e cinquecentesca di Santa Marta dell’altro ieri, quella del mattino, quella in cui l’appello alla misericordia quotidiano si intreccia alla denuncia anch’essa quasi quotidiana dell’azione del diavolo.
Questo Papa ha una sua caratura di inflessibilità che sarebbe interessante mettere alla prova del pensiero laico, anche di quegli atei devoti che lo incensano con qualche sapore di zolfo e non si accorgono di certe allusioni difficili da accettare per chi crede in un pensiero razionale, e nella condizione libera che lo rende possibile anche in materia di fede e di cristianesimo. Dico per esempio della caccia agli sparlanti ed altri peccatori dello spirito critico, additati una volta da Francesco, in una cerimonia temporalistica con la sua polizia di stato, come banditi degni di essere accompagnati alla porta di Sant’Anna dalla gendarmeria pontificia, un messaggio trasversale che prende insieme il pettegolezzo fastidioso e ben poco innocente, tipo Vatileaks, e la libertà di pensiero e di parola. Un messaggio di cui la stampa internazionale volterriana non si è accorta, felice com’è di essere accolta e di poter accogliere un Pontefice in armonia con una condizione secolare che egli stesso non si ritiene in grado di giudicare con un metro diverso dalla libertà di coscienza in relazione a una nozione individuale di Bene e di Male.
Gnocchi e Palmaro, che non fanno pettegolezzi e sono estranei al can can anticlericale andato in pagina su tutti i giornali italiani tranne il Foglio, in particolare su quelli liberal che sono i prediletti del Papa, si sono esercitati con un linguaggio aspro nei contenuti ma rispettoso nella forma proprio su temi come la coscienza newmaniana, da distinguersi dall’ego antropocentrico degli atei devoti militanti; la “liturgia di Copacabana” oggetto delle attenzioni restauratrici e liberalizzanti di Benedetto XVI; la funzione eminente del papato cattolico e il suo modo di esercizio in cui Dio viene o dovrebbe venire prima della persona e dei suoi gesti e delle sue masse adoranti in istato di papolatria. E su moltre altre cose. Hanno opinato in sostanza che “questo Papa non gli piace”. Detto in ambito cattolico, è un pensiero forte. Eccita nervosismo e reazioni di pelle. Sono stati cacciati su due piedi da una radio cattolica, che ora li addita come nemici della fede con le solite focose intemerate del buon padre Livio. Vabbè. La figlia di uno di loro è stata malamente apostrofata all’uscita da scuola da un pronipote di Roncalli. Vabbè.
Ma ora il vescovo di Roma in persona se la prende, alla lontana e alla vicina, con le loro idee. E predica che “quando un cristiano diventa discepolo dell’ideologia, ha perso la fede e non è più discepolo di Gesù”. Anche questo è forte, come pensiero omiletico. Siamo dalle parti dell’anatema. Il Papa ha il diritto disciplinare e pastorale di usare il vangelo, nel caso quello di Luca, per bollare di farisaismo gli scribi che non sono d’accordo, non certo sul fatto che per un cattolico e per un cristiano Gesù è l’alfa e l’omega della fede, bensì sul modo di praticare l’evangelizzazione nel mondo moderno, in relazione al peso che sempre il deposito di fede e di cultura del passato ha avuto nella storia della chiesa, in relazione a certe caratteristiche peculiari della prassi e dell’opinione contemporanea e dei suoi mezzi di comunicazione. Ma agitare come un bastone nodoso la fede cristocentrica, il suo cuore non razionalizzabile, la sua immediatezza estranea all’ideologia e, se è per questo, straniera anche alla ragione che dovrebbe spiegarla, non sembra a noi, laici e devoti ma non come e quanto i baciapile illuministi e nemici della chiesa militante e giudicante, la via maestra.
Un editoriale di Avvenire, scritto da una giornalista bergoglista e pubblicato da un direttore del giornale dei vescovi che si sono per lo meno dimenticati di avvertire i lettori del contr’ordine compagni, del cambiamento di rotta di 180 gradi rispetto a quello che hanno scritto in quelle pagine fino a ieri ruiniane e ratzingeriane e giovanpaoline, peggiora le cose. Si dice in sostanza che queste posizioni snaturano la fede e, citando Péguy, sono per questo le più pericolose. I sostenitori di idee tradizionali sono trattati come cinghiali selvatici che squassano la vigna del Signore, o poco meno, sono “rigidi eticisti”, “specialisti del Logos” secondo De Lubac (ma uno specialista universalmente riconosciuto del Logos non abita forse, orante, le emerite stanze del Vaticano?); sono inoltre estranei alle “dinamiche sacramentali” dell’avvenimento cristiano (allusione un po’ sordida ai sacramenti, sa di scomunica minacciata); e poi sono “adulteratori ideologici della fede”; “cultori di format ideologici in versione cristiana” che trafugano, cioè rubano, dai cromosomi della tradizione dottrinale argomenti speciosi; sono una mutazione genetica e la grazia non li riguarda più. Cazzo. Ma non state esagerando. Chi siete voi per giudicare?
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