ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

giovedì 24 ottobre 2013

Pro memoria.

di Ludovico Russomando
Sull’Osservatore Romano del 19 ottobre 2013, a pagina 6, è stata pubblicata integralmente la Dichiarazione congiunta del “foro ufficiale per il dialogo permanente tra la Commissione per i rapporti religiosi con l’ebraismo della Santa Sede e il Comitato ebraico per le consultazioni interreligiose”. La Dichiarazione, che si aggiunge a molti altri documenti dello stesso tenore, è stata redatta all’interno del ventiduesimo incontro del Comitato ebraico-cattolico, svoltosi a Madrid dal 13 al 16 ottobre 2013 e “ospitato dalla Conferenza episcopale spagnola e dalla Federazione delle comunità ebraiche in Spagna”. L’incontro ha avuto due presidenti, il cardinal Kurt Koch, prefetto per l’Ecumenismo e il dialogo interreligioso, per la parte cattolica, e la signora Betty Ehrenberg, per la parte ebraica. Come si vede non si tratta di incontri fra privati delle due religioni, ma di rappresentanti, specie da parte cattolica, investiti della più alta autorità. Se si trattasse di incontri tra fedeli delle due diverse religioni, la cosa sarebbe forse da tralasciare, ma essendo implicata l’autorità morale della Chiesa, non è possibile far finta di nulla e volgere lo sguardo da un’altra parte. Il fedele cattolico maturo deve possedere quel senso critico che gli permetta di valutare dell’opportunità e della coerenza di iniziative pastorali in sé né indiscutibili, né indiscusse. Se le autorità ecclesiastiche volessero impedirci queste valutazioni critiche, esse ci starebbero richiedendo un’obbedienza cieca, che proprio dal Concilio in poi viene vista come sbagliata, inutile e infantile. Lo stesso Codice di Diritto canonico (1983) autorizza il fedele a porre delle questioni ai propri pastori, cercando di capire meglio il senso di alcune iniziative e contribuendo così al chiarimento e alla migliore comprensione della vita della Chiesa. Il canone 212 § 3 recita: “In rapporto alla scienza, alla competenza e al prestigio di cui godono, essi [i fedeli] hanno il diritto, e anzi talvolta anche il dovere, di manifestare ai sacri Pastori il loro pensiero su ciò che riguarda il bene della Chiesa e di renderlo noto agli altri fedeli, salva restando l’integrità della fede e dei costumi, e il rispetto verso i Pastori”.

Lo scopo di questi incontri interreligiosi sarebbe quello di favorire il dialogo e la conoscenza reciproca, ma spesso e volentieri, da parte cattolica, si dimenticano elementi importanti del Magistero della Chiesa, o si passano sotto silenzio per favorire una “carità” che rischia di contrapporsi alla non meno importante “verità”. Tutta la presente Dichiarazione, a cui rimandiamo il lettore volenteroso, è segnata da queste ambigue dimenticanze, e quando si citano delle “pezze d’appoggio” per fondare il dialogo e il confronto, come qui si fa con la Dichiarazione conciliare Nostra aetate (1965), lo si fa in modo parziale e incompleto.

Vediamo qualche esempio significativo. Si dice per esempio in apertura del testo: “Gli ebrei e i cristiani condividono l’eredità della testimonianza biblica del rapporto di Dio con la famiglia umana nella storia. Le nostre Scritture danno testimonianza del fatto che sia gli individui, sia il popolo nel suo insieme, sono chiamati, ricevono un insegnamento, vengono guidati dalla Divina Provvidenza”. Ma fino a che punto gli ebrei e i cristiani condividono la testimonianza biblica? Qui, in mancanza di precisazioni necessarie, sembrerebbe che la condivisione sia pressoché totale. Eppure, sappiamo che non è così. Già l’Antico Testamento come lo conosciamo attraverso il Canone biblico definito a Trento è molto diverso dal “Canone ebraico” dei libri ispirati. Gli ebrei odierni, anche se forse c’è qualche discordanza tra scuola e scuola (il che complica ulteriormente il discorso) dell’AT cattolico rifiutano i seguenti libri: Tobia, Giuditta, Sapienza, Qoelet, Baruch, i due libri dei Maccabei, e alcuni brani dei libri di Ester e Daniele. Queste differenze materiali non sono di poco conto. Ma ovviamente la cosa più grave è il rifiuto intero, a volte accompagnato da disprezzo, del Nuovo Testamento.  Secondo il Concilio però, “La Parola di Dio, che è potenza divina per la salvezza di chiunque crede (cf. Rm 1,16), si presenta e manifesta la sua forza eminente negli scritti del Nuovo Testamento” (Dei Verbum, 17). Inoltre, “A nessuno sfugge [ma forse ci sono eccezioni…] che tra tutte le Scritture, anche del Nuovo Testamento, i Vangeli meritatamente eccellono” (DV, 18). Se dunque gli ebrei mancano di ciò che è più eccellente nelle Scritture, come si fa a dire che “ebrei e cristiani condividono l’eredità della testimonianza biblica”? Ma c’è di più. Secondo sempre la DV la Tradizione cristiana, la Sacra Scrittura e il Magistero della Chiesa “sono tra loro talmente connessi e congiunti da non potere indipendentemente sussistere” (DV 10). Gli ebrei che hanno una versione parziale dell’AT, che mancano interamente del NT, la parte più eccellente dell’intera Bibbia, e che rigettano sia la Tradizione che il Magistero ecclesiastico, avrebbero comunque “l’eredità biblica”? Ma allora basterebbe possedere un testo della Bibbia a casa per avere questa “eredità”? Insomma, compro una Bibbia e ne ricevo lo spirito? A ben vedere, su questa comune eredità biblica la Dichiarazionedel comitato ebraico-cattolico è evidentemente contraria alla Costituzione dogmatica Dei Verbum.

Purtroppo ci sono altri punti in cui la Dichiarazionenon riflette l’insegnamento ufficiale della Chiesa. Infatti si afferma poco dopo che l’istituzione del Comitato ebraico-cattolico “è tra i frutti più importanti della Nostra aetate”. “Il dibattito aperto in spirito di fiducia e rispetto reciproco ha caratterizzato il nostro incontro a Madrid e prosegue i passi avanti compiuti nell’insegnamento e nell’attuazione dei principi enunciati in quella fondamentale dichiarazione [cioè la NA]”. Ma così non è, almeno non del tutto. La NA infatti contiene alcuni elementi dottrinali taciuti sia in questa Dichiarazione, dunque non si può dire che queste riunioni ebraico-cattoliche siano conformi all’insegnamento e ai principi “di quella fondamentale dichiarazione”. Ne cito solo 3, ma sono elementi decisivi dal punto di vista cattolico. La NA dedica l’intero n. 4 al rapporto tra cristiani ed ebrei e ricorda, dopo aver usato parole di grande apertura e rispetto verso l’ebraismo, che: 1. “La Chiesa è il nuovo popolo di Dio”, e non ci sono dunque altri popoli di Dio oltre alla Chiesa; 2. “le autorità ebraiche con i propri seguaci si sono adoperate per la morte di Cristo”, e la Bibbia sul punto non inganna, né insegna l’antisemitismo, ma la verità; 3. “Il dovere della Chiesa […] di annunciare la croce di Cristo come segno dell’amore universale di Dio e come fonte di ogni grazia”, dovere verso tutti gli uomini, nessuno escluso. Omettendo questi tre punti dottrinalmente rilevanti, il dialogo ebraico-cattolico viene falsato da una teologia buonista, difforme però dalla lettera e dallo spirito del Magistero della Chiesa.

La Dichiarazione poi dopo aver ripetuto, in modo vago, l’esistenza di un “legato spirituale comune”, afferma che “come cattolici ed ebrei cerchiamo di edificare un mondo in cui i diritti umani [?] vengano riconosciuti e rispettati”. Ma il Magistero della Chiesa afferma, per esempio nell’enciclica del beato Giovanni Paolo II Evangelium vitae, che certi presunti dirittisono in realtà dei delitti, come è il caso dell’aborto e dell’eutanasia, e per estensione del divorzio e dello pseudo-matrimonio omosessuale. Cosa ne pensano gli ebrei circa questi diritti-delitti? A noi risulta che la comunità ebraica francese, tra l’altro una delle più numerose d’Europa, abbia fatto pressioni inaudite per sospendere il Gran Rabbino di Francia, colpevole di aver scritto un (ottimo) saggio contro le nozze gay. E allora, quali diritti umani vogliamo difendere assieme? E lo chiedo anzitutto al cardinal Koch, a cui una volta ho avuto la ventura di parlare di persona… Si rischia di essere nel vago quando si dice, sembrerebbe per accontentare il mainstream mondano-ecclesiale, che “ci impegniamo a rafforzare la nostra collaborazione nella ricerca di una distribuzione delle risorse sempre più giusta ed equa, affinché tutti possano beneficiare dei progressi nella scienza, nella medicina, nell’educazione e nello sviluppo economico”. Belle parole che rischiano di significare poco.
Si afferma che “i delegati hanno esaminato l’attuale aumento dell’antisemitismo, il crescente fenomeno della persecuzione dei cristiani in diverse parti del mondo”, etc. Discutibile il paragone tra l’antisemitismo, ufficialmente combattuto dalle nostre società, e l’anticristianesimo che ogni giorno fa morti in Oriente e colpisce la Chiesa e i cattolici in Occidente. I libri delle scuole non attaccano di certo gli ebrei, ma la Chiesa e ciò in ogni modo (nei libri di storia, di scienze, di letteratura, etc.). Ma nessuno se ne lamenta… Dopo aver deplorato l’antisemitismo in vari passaggi, si aggiunge, quasi per non creare una abnorme dissimmetria, che “allo stesso modo, qualsiasi espressione di anticristianesimo è altrettanto inaccettabile”. Ma qui il discorso davvero non torna. Tutta una cultura laica e laicista da mezzo secolo si batte, almeno a parole, contro l’antisemitismo perfino inventando nuovi delitti quali il revisionismo storico e il negazionismo; infiniti sono i programmi, i musei, i forum, i libri sulla Shoah e sullo sterminio degli ebrei. Ma i medesimi soggetti che lottano o dicono di lottare contro l’antisemitismo sono in gran parte protagonisti della cultura anti-cristiana odierna: come si può dire “allo stesso modo”? Chi è che condanna l’anti-cristianesimo d’Occidente, nuova religione laica imposta dall’alto agli studenti, ai fruitori di giornali e di mass media? Né le società occidentali, che non hanno mai varato alcuna norma in materia, né a quanto ne sappia io le alte istanze dell’ebraismo. Se la Chiesa, a partire da Pio XI (vari discorsi del Papa e l’enciclica Mit brennender Sorge) dichiara l’incompatibilità tra fede cristiana e antisemitismo (inteso come odio degli ebrei), ancora si attende una presa di posizione simile da parte dei nostri fratelli maggiori. Papa Francesco dice: il cristiano non può essere antisemita. Quale Gran Rabbino ha detto che l’ebreo non può essere anticristiano? Se abbiamo cattiva memoria preghiamo il lettore di scusarci e di correggerci…

La conclusione è nel senso del buonismo poco impegnativo: “Concordiamo di cooperare per migliorare la vita di quanti sono ai margini della società, i poveri, i malati, i rifugiati, le vittime del traffico umano, e di proteggere il creato di Dio dai pericoli presentati dai cambiamenti climatici”. Belle parole, certo… Ma il Concilio diceva di più e meglio asserendo, quasi ad ogni pagina: “E’ necessario che tutti si convertano a Cristo, conosciuto attraverso la predicazione della Chiesa” (Ad gentes, 7) e ricordando inoltre, con vera carità, che “questa unica vera religione crediamo che sussista nella Chiesa cattolica e apostolica” (Dignitatis humanae, 1)Ma l’eredità del Concilio è usata nella misura dell’utilità del momento, altrimenti è taciuta e occultata.

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