La carriera di Napolitano. Da comunista (e quindi scomunicato) a premiato dalla Pontificia Università Lateranense Con i complimenti di Eluana Englaro e dei patrioti ungheresi
Una volta la Chiesa scomunicava i comunisti e giudicava il comunismo “intrinsecamente perverso”. Oggi deve essere cambiato qualcosa, perché la Pontificia Università Lateranense, ci informa Zenit, ha conferito a Giorgio Napolitano la Medaglia d’onore.
Fantastico. Le motivazioni: “Innanzitutto “il generoso e sacrificato impegno nella promozione dei diritti della persona e nella tutela della dignità di ogni donna e uomo”, ha sottolineato il rettore mons. Enrico dal Covolo. Ma anche “la passione educativa nei confronti delle nuove generazioni” e “il cospicuo magistero e la coerente testimonianza di vita”. Le quali, ha rimarcato il presule, “invitano gli studenti all’impegno quotidiano e alle competenze indispensabili per valorizzare, nel dialogo sincero, le differenze di cultura, nazionalità, di razza, di religione”. Il ministero svolto da Giorgio Napolitano in questi oltre sette anni alla presidenza della Repubblica italiana si sposa quindi con gli obiettivi della Pontificia Università. Ovvero “formare i formatori”, secondo quello che Don Bosco definiva “il progetto dell’onesto cittadino e del buon cristiano”.
Non possiamo che manifestare tutta la nostra gioia per questo ulteriore abbraccio tra Chiesa e Stato, soprattutto laddove si consideri che lo Stato con la sua legislazione presente (e con quella futura) si dimostra quanto mai rispettoso della persona umana, dei valori non negoziabili, del diritto naturale. L’accostamento di Napolitano a San Giovanni Bosco favorirà di certo un nuovo e più intenso dialogo tra credenti, non credenti, diversamente credenti, atei e diversamente dubbiosi e contribuirà a togliere gli odiosi steccati eretti da una Chiesa che (come disse S. Em. Card. Martini, fulgido esempio di dottrina) “era indietro di duecento anni”.
Il dialogo è tutto. Senza dialogo non si vive. Beati i dialoganti, perché di loro è il regno della terra.
Insomma, tutti contenti.
Non hanno potuto purtroppo partecipare alla comune gioia diverse persone, perché morte. Ci limitiamo a ricordare le migliaia di patrioti ungheresi massacrati nel 1956 dai carri armati sovietici, in quella sanguinosa repressione condotta dalle truppe di Mosca, definita dall’allora giovane Napolitano come un “contributo alla pace nel mondo”
Ci limitiamo anche a ricordare Eluana Englaro, uccisa il 9 febbraio 2009, grazie al fatto che Giorgio Napolitano rifiutò di firmare un decreto-legge del governo, allora presieduto da Berlusconi. Il decreto legge serviva a fermare la fredda macchina di morte che si era messa in moto dopo che Beppino Englaro aveva trovato dei giudici che avevano appoggiato la sua diabolica volontà di sopprimere la figlia e avevano autorizzato l’interruzione dell’alimentazione con sondino, che manteneva in vita Eluana. Morta di fame e di sete. Una morte atroce, che si poteva evitare. Bastava firmare un decreto legge, che Napolitano non firmò.
È molto probabile che non possano partecipare alla comune gioia nemmeno i milioni di italiani che tirano la cinghia e a cui Napolitano tolse, con un vero colpo di Stato, il legittimo governo, che era presieduto da Silvio Berlusconi, e impose la distruttiva presenza di un grigio e incapace ragionierino, Loden Monti, che, fedele alle direttive della massoneria finanziaria, rovinò l’Italia. Questi milioni di italiani scippati del governo legittimo non possono gioire, perché troppo impegnati a tirare avanti a fatica giorno per giorno.
Ma tutto il resto d’Italia gioisce. Vi terremo informati non appena la Santa Sede rivolgerà una supplica allo Stato italiano per poter pagare le spese a suo tempo sostenute per aprire la breccia a Porta Pia e Eugenio Scalfari sarà nominato rettore della Pontificia Università Lateranense.
Siamo proprio contenti.
– di Michele Majno
23-11-2013
Non ci scandalizzano le cortesie istituzionali che la Chiesa riserva ai capi di Stato, anche i più discussi: giustamente si tiene la porta aperta al dialogo con tutti, se possibile si trova anche il modo di collaborare per migliorare la condizione degli uomini. Né ci scandalizza un rapporto di amicizia personale tra il papa o un cardinale e un capo di Stato lontano dalla fede. Molte volte è proprio l’amicizia con un uomo di profonda fede che fa breccia nel cuore dell’uomo, anche il più duro. Ne abbiamo avuto un esempio anche questa settimana ripercorrendo la straordinaria conversione – grazie all’amicizia con Tolkien - dello scrittore C.S.Lewis, di cui ricorreva il 22 novembre il 50esimo anniversario della morte.
E però quando si comincia a fare confusione tra bene e male, quando le cose cambiano nome allora non capiamo più. Oppure c’è qualcosa che ci sfugge nell’onorificenza concessa al presidente della Repubblica Giorgio Napolitano dalla Pontificia Università Lateranense. Giovedì 21 novembre infatti Napolitano si è recato in visita alla Lateranense, «l’Università del Papa», accolto dal vicario di Roma cardinale Agostino Vallini e dal rettore dell’Ateneo monsignor Enrico dal Covolo. Grande cordialità - e va bene - ma poi ecco il conferimento della Medaglia d’onore dell’Università. E già qui il primo colpo – un conto è accogliere, un altro è premiare -, poi ecco la motivazione:
«Per il generoso impegno nella promozione dei diritti della persona; per la passione educativa nei confronti delle nuove generazioni, speranza e garanzia di una società rispettosa dei principi democratici incardinati nella Costituzione della Repubblica Italiana; per la coerente testimonianza di vita, che invita gli studenti all'impegno quotidiano e alle competenze indispensabili per valorizzare, nel dialogo sincero, le differenze di cultura, di nazionalità, di razza, di religione».
E allora qui, escludendo la possibilità di un caso di omonimia, proprio non capiamo.
“Generoso impegno nella promozione dei diritti della persona”, dice la Lateranense: ma non stiamo parlando di quel Napolitano che, come dirigente del Partito Comunista, ha per decenni apertamente sostenuto la repressione di tanti popoli sotto il regime sovietico? Che ha teorizzato la necessità dell’intervento dei carri armati sovietici in Ungheria nel 1956, senza aver mai fatto cenno a una qualsiasi forma di pentimento? E ancora: non è lo stesso Napolitano che dal caso Welby (2006) in poi non ha perso occasione per fare pressioni a favore di una legge pro-eutanasia? Il cui intervento – fuori dai binari concessigli dalla Costituzione - è stato decisivo per uccidere Eluana Englaro? In quella drammatica occasione, siamo nel 2009, un missionario italiano in Uruguay, padre Aldo Trento, restituì l’onorificenza ricevuta dal presidente della Repubblica l’anno precedente, con queste parole rivolte a Napolitano: «…Come posso io, cittadino italiano, ricevere simile onore di Cavaliere dell’Ordine della Stella della solidarietà, quando Lei, con il suo intervento permette la morte di Eluana, a nome della Repubblica Italiana? Sono sdegnato e ripeto il mio rifiuto al titolo che Lei mi concesse». Non ci risulta che Napolitano si sia mai pentito di quella decisione, né ci risulta che la Chiesa abbia cambiato il suo insegnamento sul valore sacro della vita, sul primato della persona e sulla libertà.
Andiamo avanti: «Passione educativa nei confronti delle nuove generazioni». Non c’è dubbio che abbia passione educativa, ma bisogna vedere i contenuti di questa educazione. Se guardiamo all’esempio personale c’è da imparare il trasformismo e l’opportunismo, se guardiamo a ciò che afferma è un maestro di relativismo. Aperto a tutto ciò che va nella “giusta” direzione, verso cui guida il Parlamento. Non a caso ha sostenuto apertamente il varo di una legge contro l’omofobia, né è un caso che l’elezione per il secondo mandato sia stata salutata con grande soddisfazione anche dalle associazioni Lgbt, che lo ricordano come «il primo presidente della Repubblica ad aver aperto le porte del Quirinale alle associazioni gay, lesbiche e trans il 17 maggio 2010».
«Speranza e garanzia di una società rispettosa dei principi democratici». Ma come? Sarà pure la nostra classe politica ridotta male, ma come si fa a indicare come garante della democrazia uno che ha costruito la sua carriera politica a servizio del più grande impero totalitario, e contro gli interessi dell’Italia? Fino al crollo del Muro di Berlino ha giustificato il soffocamento di tutti i popoli che anelavano alla democrazia, e ora – senza neanche un cenno di autocritica (tra i comunisti non si usa la parola pentimento) – dobbiamo acclamarlo come speranza e garanzia della democrazia?
«Coerente testimonianza di vita»: su questo in effetti si può anche concordare. Napolitano è sempre stato un coerente uomo di potere, sempre in sella: stalinista con Stalin, brezneviano con Breznev, riformista con Gorbaciov, poi si è messo in proprio. La caduta del Muro di Berlino gli ha aperto le porte: presidente della Camera nel 1992, ministro dell’Interno con Prodi, senatore a vita con Ciampi e infine presidente della Repubblica dal 2006, carica che ha interpretato da coerente comunista interventista. Un bell’insegnamento sicuro per le nuove generazioni.
Ma il vero punto è: perché una Università pontificia, addirittura l’Università del Papa, sente l’irrefrenabile bisogno di dare la massima onorificenza a siffatto personaggio?
Noi siamo semplici fedeli, magari un po’ ingenui, ma non riusciamo proprio a mettere insieme ciò che la Chiesa insegna a proposito del valore della persona, della libertà, dello sviluppo dei popoli, della sussidiarietà con una onorificenza a un personaggio che ha sempre incarnato l’esatto contrario. Sarebbe il caso che qualcuno spiegasse, perché tanti fedeli si sentono giustamente confusi davanti a questa disinvoltura nell’indicare “maestri” ed “esempi”.
In ogni caso, per noi Napolitano non sarà mai una “speranza” né “un testimone di vita”. E’ solo il simbolo di una politica malata e di un potere che sta conducendo l’Italia lontano dalla democrazia.
http://www.lanuovabq.it/it/articoli-lateranenseai-piedidi-napolitanonoi-ci-dissociamo-7798.htm
La politica dei segni di Papa Francesco
Assenza dei corazzieri, una semplice vettura utilitaria che varca il portone del Quirinale. Dentro un ospite importante. Il vescovo di Roma, capo della Chiesa cattolica romana. Quel Papa Francesco che in pochi mesi sembra aver ribaltato, con il suo linguaggio, i suoi gesti, il modo di proporsi del Vaticano. La visita di qualche giorno fa che il Pontefice ha fatto al presidente della Repubblica Napolitano al Quirinale è stata particolare perché conteneva non solo l'aspetto formale ma anche un insieme di segni e di parole che meritano un approfondimento.
Non si tratta soltanto del carattere volutamente informale con cui si è voluto rappresentare questa visita di stato. Un clima di familiarità e affetto quello auspicato da Giorgio Napolitano in occasione della visita al Quirinale di Papa Francesco: Bergoglio scende da una Ford Focus blu che si muove per la città di Roma come se non stesse trasportando un passeggero speciale.
“A me fa male quando vedo un prete o una suora con un’auto di ultimo modello” aveva detto Francesco a luglio durante l’incontro con i seminaristi nell’Aula Paolo VI, iniziando la piccola rivoluzione a partire da se stesso, con la riduzione della scorta, con l’indossare vesti semplici, con la sua spiritualità gesuita al servizio della Chiesa.
I grandi gesti di Francesco, che garantiscono iperbolici titoli da copertina, sono anche in tutte quelle piccole manifestazioni d’affetto: spontanee, oneste, ma nel bene o nel male di grande impatto mediatico. C’è chi lo accusa di cadere nella banalità di gesti prevedibili, chi aspetta dalla sua Chiesa cambiamenti copernicani, in particolare sulla “questione famiglia”, chi lo elogia per essere riuscito a nascondere ogni traccia di dogmatismo, come Napolitano nel corso dell’incontro del 14 novembre.
Il Presidente della Repubblica ha esordito con la speranza che la solennità formale della cerimonia non appannasse i “sentimenti” che ha suscitato Francesco fin dai primi momenti del suo pontificato. Sentimenti genuini che scaturiscono da quello che è stato definito “un nuovo modo di rivolgersi” ai credenti come ai non. Secondo Napolitano quella di Francesco è una nuova concezione di fede che si diffonde attraverso “semplici e forti parole”.
Il discorso non entra certamente nel merito del rapporto più intimo fra Chiesa e modernità, ma prende spunto dalla “fede del dialogo” di un Papa che, come ha detto, “vorrebbe bussare alle porte di ogni casa”, per farne un termine di paragone e un momento esemplare per le “incomunicabilità” quotidiane della politica italiana, da cui Napolitano è stato in ogni caso scelto. Dal ragionamento sull’arte del parlare alla denuncia della piaga della corruzione.
Nel discorso a Casa Santa Marta dell’8 novembre, Francesco anticipava una denuncia, o meglio, un richiamo alla coscienza di ciascuno sulla pratica del “tangentismo”, un male che toglie la dignità e danneggia il bene comune. Se la politica deve imparare l’umiltà del confronto da questa nuova Chiesa, anche la Chiesa, insieme alla politica, deve combattere contro interessi personali e particolarismi. La parabola dell’amministratore disonesto invita a pregare e a meditare su un fenomeno sociale diffuso, quello di portare da mangiare ai propri figli “pane sporco”.
Napolitano racconta un’Italia che deve liberarsi da “i più meschini particolarismi” e da una corruttibilità dilagante “per recuperare partecipazione, consenso e rispetto”. Il Presidente, quasi si trattasse di un momento di espiazione della politica italiana al cospetto di Papa Francesco, confessa i “drammi” dell’attualità, chiedendo, invece che la “grazia”, l’assoluzione da quei peccati così diffusi da aver esposto le istituzioni oltre che a “critiche fondate” ad “attacchi distruttivi”.
Ludovica Passeri
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