Dopo l’anno mille i medioevali si dicevano moderni, ma la vera modernità comincia col rinascimento fiorentino (che è anche un neopaganesimo), quando inizia l’immanenza mascherata (Ficino, Cartesio), sempre più espressa nella corsa del progressismo fino a Hegel. E poi?
Poi lo scontro con la Chiesa si fa aspro e culmina con gli “anathema sit” del Concilio Vaticano I, cosiché le strade divergono.
Dove va la strada della modernità? Hegel aveva già recitato il “De profundis” sull’arte, la cui morte viene proclamata all’inizio del Novecento; Nietzsche aveva già lamentato la “morte di Dio”, che viene ufficializzata dalla cultura protestante con poco ritardo; Kant aveva già insegnato che l’Io non ha consistenza ontologica (ed è solo un’ipotesi per collegare intuizioni e categorie trascendentali) e così Freud ha la via spianata per il primato dell’inconscio; Sade aveva già tolto al sesso ogni significato spirituale e così ci siamo ritrovati in una promiscuità che corre verso l’infelicità e ha bisogno della droga … e non dimentichiamoci del vanto moderno della scuola che si è infranto nel balbettamento delle nuove generazioni schiave del computer.
Ebbene, per quanto appaia incredibile, si è diffusa tra vescovi e preti l’idea che occorre riconciliarsi con la modernità, entrare in gara con la modernità.
I Papi hanno un bel mettere in guardia riguardo all’esito della tecnocrazia moderna, al capitalismo moderno e al totalitarismo della democrazia moderna; parlano al muro. I preti sono diventati filo moderni. Se almeno ascoltassero Eugenio Scalfari, famoso guru della modernità, che scrive finalmente: “La civiltà in cui le persone della mia generazione sono nate e cresciute è ormai scomparsa o morente … si tratta della civiltà moderna”.
Sarebbe bene che i preti filomoderni si domandassero dove porterà l’insegnamento evoluzionistico che inculca fin dalle scuole elementari che il mondo è fatto a caso e che l’ordine è senza ragione; oppure dove porterà l’attuale distruzione dell’autorità che a suo presidio ha ora soltanto la forza; o dove porterà l’attuale vaniloquio dei valori restati senza giustificazione razionale.
E’ comune il motivato giudizio sull’inizio della civiltà moderna per le caratteristiche che la differenziano e la contrappongono alla civiltà medioevale: tra il Quattrocento e il Cinquecento, infatti, emergono nettamente individualismo laicistico neopagano, soggettivismo religioso e filosofico, culto della tecnica e della finanza, ambizioni imperialistiche partigiane.
Ma nel Novecento si fanno palesi i segni degli amari frutti di codesta svolta di civiltà.
Spengler dichiara apertamente il tramonto dell’Occidente Moderno, Evola è inequivocabile col suo “Rivolta contro il mondo moderno”, Toymbee fa meglio: compie un quadro completo di tutte le attuali civiltà residue, ne analizza il processo di trasformazione e ne prevede il possibile approdo di salvezza nel cristianesimo.
Altri autori penetrano più in profondità nel malessere moderno: Jaspers capisce che occorrerebbe arrivare alla trascendenza; Augusto Del Noce coglie il germe della malattia mortale (Il problema dell’ateismo), ma neppure lui valuta adeguatamente la matrice; C. Fabro affronta con sicuro magistero lo stesso problema, ma, per mantenersi nel rigore del suo teorema, non focalizza adeguatamente il volto del “nemico” che pur non ignora.
Chi non lo ignora e lo mette in luce sono Taubes e Jonas, ma restando nella prigione denunciata. Finalmente è Voegelin che indica senza complessi la gnosi come responsabile del tragico disordine. Seguendo la sua indicazione, sono stato io a dimostrare tutte le fasi delle sue inique mascherature nei secoli cristiani.
Ennio Innocenti
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