ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

sabato 4 gennaio 2014

Asserita, ma non provata

Isaia e Israele alla luce di S. Giovanni Crisostomo:
la asserita, ma non provata continuità con “Nostra aetate” 
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La S. Scrittura       Isaia (V 1-7)
Nel Libro del profeta Isaia al  capitolo V (versetti 1-7) si legge la predizione sull’abbandono d’Israele da parte di Dio, che avverrà circa 700 anni dopo, con l’Incarnazione del Verbo e la sua crocifissione:
«Canterò al mio  diletto l’inno del mio padrone alla sua vigna:
“ Il mio diletto aveva una vigna in un poggio fertile.
La cinse con una siepe, tolse tutte le pietre che vi si trovavano e vi piantò viti ottime.
Fabbricò in mezzo ad essa una torre ed un torchio.
Aspettò con pazienza che facesse uva, ma produsse spine”.
Ed ora siate giudici voi stessi, abitanti della Giudea, tra me e la mia vigna. Che cosa avrei dovuto fare per essa che non abbia fatto? Ma ora vi mostrerò ciò che farò alla mia vigna: toglierò la sua siepe e sarà calpestata; distruggerò il suo muro e sarà invasa. La renderò deserta e ordinerò alle nubi di non versare pioggia su di essa. Perché la vigna del Signore è la casa di Israele e i giudei la sua piantagione prediletta. Mi aspettavo che facessero opere buone, ed ecco invece l’iniquità; giustizia, ed ecco invece malvagità» (Is., V, 1-7).

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La Tradizione patristica
S. Giovanni Crisostomo “Commento a Isaia”
Il Crisostomo dà un’interpretazione moralmente unanime (e quindi infallibile) con quella dei Padri della Chiesa su Isaia, e commenta: «Isaia sta per accusare Israele di  tradire Dio e di misconoscere il Messia venturo. Tuttavia il Profeta scrive che la sua accusa è un “cantico” o un “inno”. Non sarebbe stato più esatto chiamarla un’invettiva? In realtà Isaia dà prova di una grande saggezza spirituale. Infatti egli voleva il bene delle anime degli israeliti: voleva aiutarli a ritornare a Dio e a non rinnegare il Messia venturo, Gesù Cristo. Quindi ha scritto sotto forma di cantico le sue accuse affinché Israele le cantasse continuamente, non le dimenticasse e non si scoraggiasse.
Inoltre il Profeta chiama il popolo d’Israele, che si è allontanato da Dio e rinnegherà il Messia, “la vigna amata del Signore”. Infatti Israele era la vigna amata da Dio e beneficata da Lui, ma non aveva corrisposto, già prima dei tempi di Isaia, all’amore di Dio ed avrebbe aggravato la sua infedeltà sino a giungere alla crocifissione del Verbo Incarnato.
Dio ha fatto tutto per Israele per pura bontà sua e non per i meriti di questo popolo, ma invece di essere grato a Dio Israele Gli ha mostrato molta ingratitudine.
Isaia enumera i benefici di cui Dio ha riempito Israele. Innanzitutto lo chiama “vigna” per mostrare quanto Dio lo abbia curato. Poi dice che l’ha posta “in un luogo fertile” come fosse una “fortezza” inespugnabile.
Inoltre Dio ha circondato Israele, la sua vigna, con una “siepe” e con una “staccionata”. La siepe è la Legge di Dio,  che protegge chi la osserva e lo mantiene puro; la staccionata è la cura con cui la Provvidenza di Dio si occupa del suo popolo per mantenerlo al riparo da ogni nemico spirituale e temporale.
Non basta! Il Signore ha costruito una “torre” ed un “torchio” al centro della sua vigna. La torre figura il Tempio di Gerusalemme ed inoltre vuol farci capire che Dio stesso ha costruito torre e torchio per non affaticare eccessivamente Israele. La bontà divina non si è fermata lì. Egli “ha spettato” con molta pazienza  che la sua vigna facesse “frutti”, producesse uva, ma Israele ha prodotto “spine” e non frutti, ossia una vita priva di fede, di grazia soprannaturale, di virtù e di buone opere.
La misericordia divina arriva a nominare “giudici” su Israele gli israeliti stessi, mostrando una gran compassione ed una assoluta certezza sulla colpevolezza di Israele, che non potrebbe essere assolto neppure dai giudei.
Il Signore esclama: “cosa avrei dovuto far di più per Israele che Io non abbia fatto?”. Ma Israele “ha prodotto spine e non frutti”. Il significato – scrive il Crisostomo – è il seguente: quale motivo ho dato ad Israele di comportarsi così? Può forse pretendere che non abbia fatto abbastanza per lui e che l’ho spinto, così, alla rivolta? Giudicatemi voi stessi, abitanti della Giudea!
Non avendo ricevuto accuse né scuse Dio passa ad enumerare i castighi che riserva ad Israele per aver peccato e non aver voluto pentirsi.
Tuttavia la sentenza di condanna è accompagnata dalla speranza che il timore dei castighi faccia tornare a Dio Israele, ma invano!
“Sradicherò la siepe, distruggerò la staccionata” e Israele sarà depredato dai ladri, ossia lo  priverò del mio aiuto speciale, del mio soccorso e della mia difesa e così sarà depredato dei beni che gli avevo concesso.
Di più: “abbandonerò la mia vigna”. Come ho spiegato sopra, “siepe, staccionata, muro” significano la Rivelazione divina e la Legge che Dio aveva dato ad Israele affinché le custodisse e le facesse conoscere a tutti i popoli quando sarebbe venuto il Messia, ma la sua infedeltà, la sua mancanza di fede e di buone opere obbligano Dio ad abbandonare Israele che per primo ha abbandonato il Signore, il quale non abbandona se prima non è stato abbandonato.
Così la vigna d’Israele sarà senza vignaiuoli, ossia non avrà più sacerdote, profeta, re, neppure il Tempio e sarà disperso in una terra straniera.
I “rovi” ricopriranno Israele e la “pioggia” non lo bagnerà più, ossia la grazia non irrorerà Israele infedele, che sarà ricoperto di male e peccato, tranne il piccolo resto che ha creduto al Messia e che assieme ai pagani è diventato la nuova vigna di Dio, ossia la Nuova Alleanza.
“Ho atteso che Israele facesse opere giuste, ma ha commesso altre iniquità e la sua malizia grida al Cielo!”, ossia la malvagità di Giuda è talmente grande che Dio non può non punirla».
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Il Concilio Vaticano II
La Dichiarazione “Nostra aetate”
La Dichiarazione Nostra aetate (28 ottobre 1965) su “Le relazioni della Chiesa con le religioni non cristiane” al n. 4, § h, insegna pastoralmente: «Gli ebrei non debbono essere presentati come rigettati da Dio, quasi che ciò scaturisse dalla S. Scrittura».
Ora, occorre distinguere: gli ebrei infedeli a Cristo da quelli fedeli a Lui e al Padre. I primi sono stati rigettati da Dio, come insegna la S. Scrittura nel Libro del Profeta Isaia, commentato dai Padri ecclesiastici, di cui ho citato soprattutto S. Giovanni Crisostomo per non tediare il lettore. Mentre gli ebrei fedeli a Dio Padre, Figlio e Spirito santo sono entrati nella Chiesa di Cristo assieme a tutti i popoli che hanno la fede nella SS. Trinità e nella divinità di Gesù.
Conclusione
Ne consegue l’ermeneutica della continuità tra Concilio Vaticano II (magistero pastorale, che non ha voluto definire né obbligare a credere e quindi non infallibile) e Rivelazione divina (Tradizione e S. Scrittura) non è provata anzi è confutata senza ombra di dubbio.
Per il principio evidente di non-contraddizione non posso affermare nello stesso tempo e sotto lo stesso rapporto che Dio ha rigettato Israele infedele e che non lo ha rigettato.
Quindi debbo restare fedele alla dottrina cattolica genuina, contenuta nelle due fonti della divina Rivelazione: la Tradizione e la S. Scrittura, la quale insegna che Dio ha rigettato Israele infedele ed ha stretto un Nuovo ed Eterno patto con l’Israele fedele a Cristo e con i Pagani convertitisi a Dio.
Sarà poi dovere dell’Autorità della Chiesa gerarchica e docente definire la questione in maniera dogmatica ed infallibile. Noi, che facciamo parte della Chiesa discente, possiamo e dobbiamo soltanto far presente il problema di contraddittorietà tra la Rivelazione divina e l’insegnamento puramente pastorale del Vaticano II, restare fermi ed ancorati alla Rivelazione ed attendere la soluzione dalla legittima autorità, senza arrogarcela dal basso.
d. Curzio Nitoglia

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