La verità su Giovanni Paolo II e quel “ponte” costruito per Francesco
Giovanni Paolo II affossatore del Concilio Vaticano II; Wojtyla grande nemico della Teologia della Liberazione e amico dei dittatori dell’America Latina. Sono questi alcuni degli abusati luoghi comuni che lo storico segretario personale del futuro santo, Stanislao Dziwisz, smonta punto per punto nel libro pubblicato da Rizzoli, intitolato “Ho vissuto con un santo”. Una conversazione che il cardinale, attuale arcivescovo di Cracovia, intrattiene a 360 gradi con il giornalista vaticanista Gian Franco Svidercoschi.
Il cardinale Dziwisz ha confutato le tante accuse ingiuste fatte ricadere sulla testa di Wojtyla nel tentativo di impedirne, prima la beatificazione voluta da Benedetto XVI ed oggi la canonizzazione ad opera diFrancesco. L’immagine che scaturisce dalla lettura del libro è quella di Giovanni Paolo II grande anticipatore dell’attuale pontificato. Alcuni progetti oggi rilanciati con vasta eco da Francesco furono infatti largamente anticipati da Wojtyla che, secondo quanto riferisce l’ex segretario, si sarebbe preoccupato di “seminare”, per poi far germogliare i frutti in seguito.
E quali sarebbero questi semi che presto potrebbero trovare maturazione con Bergoglio? Dziwiszli elenca dettagliatamente: una Chiesa meno clericale e più aperta ai laici; una Chiesa meno gerarchica e più collegiale, resa tale soprattutto dal contributo dei movimenti ecclesiali e dell’associazionismo cattolico; una Curia meno autoreferenziale, depurata dai retaggi dell’antico potere temporale e animata da autentico spirito pastorale; un’attenzione particolare per le periferie del mondo; un’opzione preferenziale per i poveri e per i deboli maggiormente bisognosi dell’amore e della misericordia di Dio. Una politica pienamente in linea con i dettami del Concilio Vaticano II, che Wojtyla ha promosso pur nella consapevolezza di un’immaturità nei tempi di realizzazione e di un’ostilità preconcetta in ampi settori della Chiesa.
Non è vero che con lui fu creata la “fabbrica dei santi”. Semmai grazie a questo straordinario pontefice la santità non fu privilegio per pochi ma per tante persone comuni che con la loro vita erano da esempio per l’umanità e non potevano contare sul sostegno degli ordini religiosi d’appartenenza. Giovanni Paolo II non fu mai amico dei regimi autoritari. Dziwisz contesta la ricostruzione storica dell’incontro con il dittatore del Cile Augusto Pinochet raccontata per anni in maniera distorta.
Nell’incontro privato infatti il Papa criticò duramente la sistematica violazione dei diritti umani ad opera del regime militare, sollecitando il rapido ritorno del Cile alla democrazia. Incontrò ed incoraggiò, seppur lontano dalle telecamere, alcuni membri dell’opposizione cilena. Non fu pregiudizialmente ostile alla Teologia della Liberazione nella quale intravedeva molti aspetti positivi, ma ne ostacolò le degenerazioni e le tendenze marxiste che avevano condotto sacerdoti e religiosi alla lotta armata. Non perseguitò mai il vescovo salvadoregno Oscar Romero. Furono certi esponenti della Curia romana a far arrivare a Romero notizie false e tendenziose su una ostilità di Giovanni Paolo II.
Il Papa in realtà nell’incontro che ebbe con lui, testimonia ancora Dziwisz, gli raccomandò prudenza e lo invitò a non lasciarsi strumentalizzare da quanti sostenevano l’inevitabilità della lotta armata come soluzione alle ingiustizie della terra; ma al tempo stesso lo incoraggiò ad andare avanti in direzione di quell’impegno in favore dei poveri e per il rispetto dei diritti umani. E la notizia dell’assassinio del vescovo fu per lui motivo di grandissima sofferenza al punto da sfidare due anni dopo le autorità governative di El Salvador che volevano impedirgli di pregare sulla tomba di Romero.
Giovanni Paolo II fu chiaramente anticomunista e non poteva essere diversamente visto che gli orrori del comunismo li aveva vissuti in prima persona nella martoriata Polonia soggetta ai sovietici. Ma con altrettanta durezza condannò le disfunzioni del capitalismo, del liberismo, i rischi della globalizzazione. Fu infine un conservatore sul piano dei valori. Lo fu senz’altro ma perché in perfetto spirito conciliare, aveva compreso meglio di altri che “abbracciare il mondo” non poteva significare l’accettazione del secolarismo e dei suoi “dogmi laicisti”.
Questo dovrebbe far riflettere i tanti che si aspettano da Francesco chissà quali eclatanti cambiamenti in seno alla Chiesa e nella tradizione cattolica. Se Bergoglio ha voluto santo Wojtyla è perché il suo operato dovrà essere da esempio per la Chiesa e per il mondo. Dunque, anche per lui.
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