ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

martedì 14 gennaio 2014

De Collegialitate

Diario Vaticano / Il papa dà, il papa toglie

In Argentina, la nomina di un vescovo annunciata e poi revocata. In Venezuela, la rivincita degli ecclesiastici più ostili a Chávez. In curia e fuori, disparità di trattamento per i "monsignori". Il "Gentiluomo" sgradito a Sua Santità

di ***



CITTÀ DEL VATICANO, 14 gennaio 2014 – Oltre che nella nomina dei cardinali, papa Francesco si prende delle libertà anche nella selezione dei vescovi.
Soprattutto quando si tratta della sua Argentina, Jorge Mario Bergoglio tralascia spesso, se non sempre, di sottoporre la nomina al giudizio dei cardinali e dei vescovi che fanno parte della congregazione vaticana deputata allo scopo, pur da lui radicalmente rinnovata prima di Natale.

In Argentina, nei suoi primi dieci mesi di pontificato, Francesco ha fatto quindici nomine vescovili: otto "ex novo" e sette con trasferimenti da altra sede.

Ma in una di queste nomine qualcosa non deve essere andato per il verso giusto.

Si tratta di quella riguardante uno dei due ausiliari di Lomas de Zamora nominati dal papa il 3 dicembre scorso, il cappuccino Carlos Alberto Novoa de Agustini, 47 anni, che – si leggeva nella biografia ufficiale pubblicata nel bollettino della Santa Sede in quella data – nel maggio del 1996 aveva "ricevuto l’ordinazione sacerdotale dall’allora ausiliare di Buenos Aires mons. Bergoglio, ora papa Francesco".

È accaduto infatti che il successivo 14 dicembre un comunicato della diocesi ha informato che Novoa de Agustini non sarebbe stato consacrato vescovo perché "dopo un maturo discernimento" aveva "richiesto al Santo Padre Francesco la dispensa dalla sua nomina, che gliela aveva concessa". Non sono stati forniti dettagli sui motivi di questa retromarcia.

È piuttosto raro che un vescovo rinunci all’incarico dopo che la sua nomina sia stata pubblicata e prima della sua consacrazione. L'ultimo caso clamoroso fu quello del vescovo ausiliare di Linz, in Austria, il conservatore Gerhard Wagner, che chiese la dispensa a Benedetto XVI, che lo aveva nominato il 31 gennaio 2009, dopo che la rumorosa componente progressista del clero si ribellò alla sua nomina senza che gli altri vescovi austriaci lo difendessero. Wagner annunciò le sue dimissioni il 15 febbraio, mentre il 2 marzo la Santa Sede rese pubblico nel bollettino ufficiale – cosa che non è avvenuta per il recente caso argentino – il fatto che il papa lo aveva dispensato dall’accettare la nomina.

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Ancora a proposito di nuovi vescovi, non è usuale che il vescovo di una diocesi di un Paese venga consacrato da un presule di un altro Paese. Questo comunque avverrà il prossimo 8 febbraio, con l’ordinazione del nuovo pastore della diocesi venezuelana di La Guaira, il salesiano Raúl Biord Castillo.

Suo primo consacrante sarà infatti il cardinale anche lui salesiano Óscar Andrés Rodríguez Maradiaga, arcivescovo di Tegucigalpa in Honduras e coordinatore del consiglio degli otto cardinali creato da papa Francesco per aiutarlo nel governo della Chiesa universale e nella riforma della curia.

Il fatto è ancora più curioso perché Rodríguez Maradiaga fu un acerrimo avversario di Hugo Chávez, despota del Venezuela dal 1999 al 2013 tranne una breve parentesi nel 2002.

Nel luglio 2007 Rodríguez Maradiaga disse di Chávez che "è cieco, sordo e si crede Dio", facendosi rimbeccare dal leader marxista così: "È apparso un altro pappagallo dell’impero, ora vestito da cardinale, cioè un altro pagliaccio imperialista".

Senza contare che il neovescovo Biord Castillo è nipote del potente cardinale salesiano Rosalio Castillo Lara, il quale, dopo una lunga carriera ai vertici della curia romana (dove alimentò la battuta che la targa SCV stava per “Se Castillo Vuole”), terminò i suoi giorni in patria contestando duramente il regime di Chávez. Sempre nel luglio 2007 Castillo Lara definì Chávez "dittatore paranoico". Mentre Chavez salutò così, pochi mesi dopo, in ottobre, la scomparsa del porporato: "Mi rallegro che è morto questo demonio vestito con la sottana".

Ora in Venezuela governa Nicolás Maduro, delfino di Chávez. I contrasti con la Chiesa non sono ancora del tutto sopiti. Ma con l’avvento di papa Francesco, che ha ricevuto in udienza Maduro il 17 giugno, e l’arrivo a Roma come segretario di Stato dell’arcivescovo – dal 22 febbraio cardinale – Pietro Parolin che è stato negli ultimi anni nunzio a Caracas, il clima sembra essere migliorato.

Il 5 ottobre il papa ha ricevuto le lettere credenziali del nuovo ambasciatore venezuelano, dopo che Chávez aveva polemicamente lasciato vacante la sede diplomatica presso il Vaticano.

E il 30 novembre un nipote prediletto del compianto "demonio vestido de sotana" Castillo Lara è stato nominato vescovo, col via libera del governo venezuelano – che ha una sorta di potere di veto sulle nomine episcopali – e col "payaso imperialista" Rodríguez Maradiaga pronto a consacrarlo.

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Intanto, in Vaticano si discute sul futuro del titolo di "monsignore".

La segreteria di Stato ha stabilito che d’ora in avanti questo titolo onorifico si accompagnerà soltanto a quello di “Cappellano di Sua Santità” e sarà attribuito a sacerdoti oltre i 65 anni di età e non più, come in passato, a partire dai 35 anni.

La notizia, trapelata sui media, è stata confermata dalla Radio Vaticana nel notiziario del 7 gennaio. In questi termini:

«Con una lettera circolare inviata alle nunziature, [la segreteria di Stato] chiede di informare i singoli episcopati “che d’ora in poi nelle diocesi l’unico ‘titolo ecclesiastico’ onorifico che verrà concesso (e a cui corrisponderà l’appellativo di ‘monsignore’) sarà quello di ‘Cappellano di Sua Santità’, e sarà attribuito solo a sacerdoti che abbiano compiuto il 65.mo anno di età”.

«L’uso dell’appellativo, prosegue la direttiva, rimane invece “invariato” quando sia “connesso a certi uffici importanti”, come quello di vescovo o di vicario generale della diocesi. E nessuna variazione interverrà in merito anche in seno alla curia romana, sia per ciò che concerne i titoli sia circa l’uso dell’appellativo “monsignore”, “essendo connesso – si precisa – agli uffici affidati, al servizio svolto”. Tale norma, chiarisce la segreteria di Stato, “non ha effetto retroattivo”, per cui chi abbia “ricevuto un titolo in precedenza lo conserva”. Inoltre, la disposizione non introduce novità nemmeno per ciò che riguarda le onorificenze pontificie per laici.

«“È stato giustamente osservato – si legge in chiusura della nota informativa – che già Paolo VI, nel 1968, aveva ridotto a tre (rispetto ai precedenti, più numerosi) i titoli ecclesiastici onorifici. La decisione di papa Francesco si pone quindi nella stessa linea, come ulteriore semplificazione”».

La "nota informativa" della segreteria di Stato citata dalla Radio Vaticana – non senza qualche imprecisione: il titolo di monsignore ai vicari generali, in quanto “protonotari apostolici titolari”, era previsto nel vecchio codice di diritto canonico del 1917 ma non nel nuovo del 1984 – è curiosa perché specifica che mentre nelle diocesi la linea papale di "ulteriore semplificazione" è già in vigore, ciò non è avvenuto per chi lavora nella curia romana e tra i diplomatici della Santa Sede.

Pertanto, in base all’istruzione sul conferimento delle onorificenze pontificie, emanata dalla segreteria di Stato in data 13 maggio 2001, rimarrebbero in vigore le seguenti regole.

Per gli officiali della curia romana che sono membri del clero secolare la possibilità di diventare Cappellani di Sua Santità scatta raggiunti i 35 anni di età, dopo dieci di sacerdozio e almeno cinque di servizio (ma con più di 40 anni di età sono comunque sufficienti tre anni di servizio). Mentre la possibilità di diventare Prelato d’onore di Sua Santità è concessa ai sacerdoti che hanno raggiunto i 45 anni di età, i 15 di sacerdozio e almeno i 10 dalla nomina a Cappellano.

Ancora più agevoli sono le norme in vigore per gli "ecclesiastici nel servizio diplomatico della Santa Sede" che operano nelle rappresentanze pontificie fuori del Vaticano. Per loro il titolo di Cappellano, fermo restando le altre condizioni, può scattare dopo soli tre anni di servizio all’estero e quello di Prelato dopo "almeno dieci anni di servizio".

Sarà interessante verificare quanto resisterà ancora questa disparità di trattamento tra curia e resto del mondo riguardo alla "ulteriore semplificazione" degli onori ecclesiastici.

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Ricevendo in udienza il 10 gennaio i "Gentiluomini di Sua Santità" papa Francesco ha curiosamente omesso alcune parole del saluto iniziale che si trovavano nel testo preparato per l’occasione. "Cari amici, vi saluto tutti con viva cordialità e vi ringrazio per il vostro servizio", era scritto nella versione originaria. "Cari amici, vi saluto e vi ringrazio per il vostro servizio", ha effettivamente detto il pontefice.

L’aver omesso le parole "tutti con viva cordialità" può essere dovuto semplicemente a un banale intento di brevità. Ma non va trascurato che tra i Gentiluomini è annoverato anche l’ex ambasciatore dell'Argentina presso la Santa Sede Esteban Juan Caselli, che l'informatissima biografa del papa Elisabetta Piqué colloca nel partito dei grandi oppositori argentini dell’allora cardinale Bergoglio.

Se poi papa Francesco continuerà o meno a nominare altri Gentiluomini dopo che, a motivo degli scandali che avevano colpito alcuni di loro, durante il pontificato di Benedetto XVI fu deciso di congelarne la nomina di nuovi (l’ultimo a esserlo fu l’ex medico papale Renato Buzzonetti il 19 maggio 2009), questa è un’altra storia.

http://chiesa.espresso.repubblica.it/articolo/1350697
Il rimpasto di papa Francesco

IL RIMPASTO DI PAPA FRANCESCO

  

Bergoglio stravolge il governo della chiesa italiana, primo produttore mondiale di porpore cardinalizie.

Dopo avere amministrato un battesimo con l’acqua, sul capo di 32 neonati, a mezzogiorno il Papa lo ha fatto con il fuoco, annunciando i nomi di sedici nuovi cardinali, più tre fuori quota ottantenni. E in molti sono rimasti scottati, da questa e dall’altra parte dell’oceano, tra l’Italia e gli States.
L’esclusione di Torino e Venezia, con le candidature “consone” non solo foneticamente di Cesare Nosiglia e Francesco Moraglia, vicinissimi a Camillo Ruini e Angelo Bagnasco, brucia sulla pelle della vecchia guardia ed è acuita dall’inserimento a sorpresa di Perugia, che rimuove ogni alibi numerico e conferisce alla scelta un carattere politico.
All’esigenza naturale e neutrale di ridurre il numero delle porpore italiane si aggiunge infatti l’accelerazione del processo che, negli ultimi mesi, ha stravolto il profilo della conferenza episcopale, fin qui modellato a immagine e somiglianza di Ruini. Dopo il trasferimento a Latina del segretario generale Mariano Crociata e la sua sostituzione con Nunzio Galantino, chiamato dalla periferia estrema di Cassano allo Ionio, la nomina cardinalizia di Gualtiero Bassetti, nella domenica in cui la liturgia ricorda il battesimo di Gesù, squarcia evangelicamente i cieli sull’arcivescovo umbro e lo indica quale “figlio prediletto”, in vista di una prossima elezione del presidente della CEI.
Il papa, che candidamente si circonda di commissioni consultive, sa sfoderareall’occorrenza un decisionismo raro e solitario, assai temuto all’interno e altrettanto invidiato in queste ore al di là del Tevere, da Palazzo Chigi a Largo del Nazareno.
Per la Chiesa il concistoro costituisce infatti un rimpasto di governo e un’elezione di midterm: ovvero un consolidamento dell’esecutivo, che affianca il pontefice regnante, e un rinnovo parziale della camera alta, che un giorno eleggerà il suo successore.
Il mondo nell’occasione si divide in collegi sicuri e non, ossia in diocesi ordinariamente o solo provvisoriamente cardinalizie. Una mappa che Francesco ridisegna in funzione del merito e a scapito della rendita, modificando la pigmentazione dei capoluoghi e la densità purpurea dei continenti. A cominciare dall’America Latina, che riequilibra i rapporti con l’Europa, sicuramente, ma anche e soprattutto con il Nord del proprio emisfero.
Alle conferme scontate di Buenos Aires, con l’erede di Bergoglio, Mario Aurelio Poli, di Rio de Janeiro, con l’organizzatore della GMG, Orani João Tempesta, e di Santiago del Cile, con il “vicentino” Ricardo Ezzati Andrello, si aggiungono la new entry di Haiti, con Chibly Langlois, e il ritorno del Nicaragua, con Leopoldo José Brenes Solórzano, per rafforzare l’autorevolezza delle rispettive chiese, impegnate nella ricostruzione del paese, dopo il terremoto del 2010, e nella riforma delle istituzioni, ultimo capitolo nella saga delle dispute trentennali con Daniel Ortega.
Se poi ascriviamo al fronte latino anche l’unica porpora settentrionale, conferita però al francofono arcivescovo di Québec, Gérald Cyprien Lacroix, risulta viepiù stridente l’assenza degli Stati Uniti, grandi elettori del papa, che a questo punto potrà trovare compensazione soltanto nell’ascesa di Peter Brian Wells, ascoltato consigliere del pontefice, al terzo posto della gerarchia vaticana, nel ruolo strategico di sostituto della segreteria di Stato, che fu già dei due Giovanni Battista, bresciani entrambi, Montini e Re, ma dove nessuno yankee finora è mai arrivato.
Restano al palo invece i “conservatori creativi” e astri nascenti dell’episcopato a stelle e strisce, posizionati da Benedetto XVI in sedi tradizionalmente cardinalizie, con un’indicazione che Francesco per il momento ha però disatteso in toto: Charles Chaput a Filadelfia, José Gomez a Los Angeles, William Edward Lori a Baltimora, Allen Henri Vigneron a Detroit.
La deferenza nei confronti del predecessore si manifesta comunque nella nomina del suo pupillo, Gerhard Ludwig Müller, con un’intuizione astuta e lungimirante: come abbiamo già osservato nei mesi scorsi, la decisione di confermare a capo dell’ex Sant’Uffizio, e oggi onorare della berretta rossa, il curatore dell’opera omnia di Ratzinger, replica la mossa vincente del condottiero Wojtyla, che mentre si apprestava a compiere la sua cavalcata storica, chiamò dalla Germania il Panzer Kardinal, futuro pontefice, a presidiare le retrovie dottrinali. Insieme a Müller, e senza contare l’Italia, l’inglese Vincent Nichols, arcivescovo di Westminster, assai stimato da Bergoglio, rappresenta la sola e ulteriore porpora europea, in un Regno Unito rimastone privo ad onta del suo blasone aristocratico, dopo lo scandalo che ha tenuto fuori dal conclave lo scozzese Keith O’Brien.

Restando in Europa e tornando nella penisola, il calo del rating risulta attenuato, e mascherato, dal numero dei cardinali, quattro più il quasi centenario Loris Capovilla, che consente di mantenere il giudizio entro i confini della sconfitta e non la fa degenerare in disfatta.
Oltre al Segretario di Stato Pietro Parolin e all’arcivescovo di Perugia Gualtiero Bassetti, presidente “in pectore” della conferenza episcopale, i nunzi Lorenzo Baldisseri e Beniamino Stella si possono infatti considerare italiani all’anagrafe ma “creoli” per biografia e sensibilità pastorale, avendo trascorso buona parte delle ultime due decadi a Brasilia e Asunción, Bogotá e L’Avana. Sotto la loro guida, la macchina dei due dicasteri chiave del Sinodo e del Clero si muove su telaio e con meccanica di concezione sudamericana.
Come per la Fiat di Sergio Marchionne, anche per la Chiesa di Jorge Bergoglio la nazionalità della “ditta” non dipende, in definitiva, dalla sede legale, ma dall’ubicazione dei suoi “modelli” e “mercati” di riferimento, nonché dalla capacità espansiva, in termini di fatturato spirituale.
L’Italia, primo produttore mondiale di porpore cardinalizie, con 28 elettori nell’ultimo conclave, un quarto del totale, senza che nessuno dei suoi prototipi riuscisse a convincere l’azionista, vede oggi a rischio la continuità dei propri stabilimenti storici, sopravvissuti all’era delle signorie rinascimentali.
Dopo Torino e Venezia, in prospettiva, quando andranno in pensione i titolari attuali, diventano altrettanto incerte Bologna e Firenze, Genova e Palermo. Un privilegio che Wojtyla e Ratzinger non avevano mai osato intaccare: in nome della riconoscenza nei confronti del Belpaese, penalizzato dalla perdita del papato, e in virtù di un riconoscimento del suo dinamismo ecclesiale, che valorizzava il loro ministero.
Sotto questo profilo, paradossalmente, proprio l’oriundo Bergoglio, a differenza dei colleghi polacco e tedesco, appare il primo Papa pienamente “straniero” e globalizzato.
La sua Chiesa guarda verso i mercati emergenti e, su 16 posti che contano, riserva il 25% dell’investimento all’Africa, con Philippe Nakellentuba Ouédraogo in Burkina Faso e Jean-Pierre Kutwa in Costa d’Avorio, e all’Asia, con l’arcivescovo di Seoul, Andrew Yeom Soo-jung, e quello di Cotabato, Orlando Quevedo, nell’isola filippina di Mindanao.
Proprio quest’ultima, tra tutte, ci sembra la scelta più profetica del Pontefice. Sela riscoperta dell’Asia, sulla scia di Francesco Saverio, si fosse limitata in effetti alle rotte tradizionali, alla fine saremmo rimasti delusi, avendoci ormai abituati a gesti fortemente immaginifici. Ma la nomina di Monsignor Quevedo, sulla frontiera degli anni e dopo una vita in frontiera, nella regione a maggioranza musulmana di un paese a maggioranza cattolica, dove le bombe esplodono sulla porta delle cattedrale, restituisce alla porpora il suo significato storico.
Rivestendo i pastori che ne sono insigniti con il colore, e l’odore, del sangue. Oltre ovviamente a quello delle pecore.
Per approfondimenti visita: http://temi.repubblica.it
http://www.finanzainchiaro.it/il-rimpasto-di-papa-francesco.html?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=il-rimpasto-di-papa-francesco#

Papa Francesco, I Nuovi Cardinali E Il Rimpasto Di Governo Nella Chiesa Cattolica


Papa Francesco, i nuovi cardinali e il rimpasto di governo nella chiesa cattolica
La nomina dei nuovi cardinali da parte di papa Francesco può sembrare ai più una normale vicenda interna alla chiesa cattolica e lo è, in realtà. Ma con papa Francesco tale aspetto routinario ha assunto un altro valore.
Non ci sono state, infatti, nomine “automatiche”: cioè papa Francesco non ha dato la berretta cardinalizia a persone che occupano incarichi che di solito la prevedono. Inoltre il pontefice ha fatto delle scelte ben precise, optando di nominare cardinali non già illustri vescovi che presiedono grandi diocesi, ma ha guardato a diocesi piccole e spesso povere. Infine, papa Francesco ha ridefinito un po’ il cardinalato.
Partiamo da quest’ultimo punto e poi vediamo gli altri.

Il Ruolo Dei Cardinali Secondo Papa Francesco

Papa Francesco, i nuovi cardinali e il rimpasto di governo nella chiesa cattolica
Papa Francesco ha scritto una Lettera ai cardinali designati pubblicamente nel corso dell’Angelus e che saranno creati nel concistoro del prossimo 22 febbraio. Una lettera molto breve ma che stravolge quello che finora era stato il cardinalato: non più “principi della chiesa” come pomposamente vengono definiti i cardinali, ma servi. Afferma Bergoglio:
Il Cardinalato non significa una promozione, né un onore, né una decorazione; semplicemente è un servizio che esige di ampliare lo sguardo e allargare il cuore. E, benché sembri un paradosso, questo poter guardare più lontano e amare più universalmente con maggiore intensità si può acquistare solamente seguendo la stessa via del Signore: la via dell’abbassamento e dell’umiltà, prendendo forma di servitore (cfr Fil 2,5-8).
Consapevole degli sfarzi che spesso accompagnano queste nomine (con pranzi di gala e regali costosi, per non parlare delle migliaia di euro che si spendono per la veste rossa e tutte le altre suppellettili) papa Francesco mette bene in chiaro le cose:
Ti chiedo, per favore, di ricevere questa designazione con un cuore semplice e umile. E, sebbene tu debba farlo con gaudio e con gioia, fa’ in modo che questo sentimento sia lontano da qualsiasi espressione di mondanità, da qualsiasi festeggiamento estraneo allo spirito evangelico di austerità, sobrietà e povertà.
Chiaro e conciso: i cardinali (nuovi e vecchi) capiranno l’antifona che è giunta l’ora di fermare gli sprechi in Vaticano?

I Nuovi Cardinali Di Papa Francesco E Il Rimpasto Di Governo

Papa Francesco, i nuovi cardinali e il rimpasto di governo nella chiesa cattolica
Quello compiuto da papa Francesco è un vero e proprio rimpasto in seno alla chiesa. Lo si capisce guardando tanto coloro che sono stati nominati cardinali quanto coloro che sono stati esclusi dalla nomina.
Papa Francesco non ha nominato cardinale alcun vescovo in lista d’attesa: non Cesare Nosiglia, arcivescovo di Torino, non Francesco Moraglia, patriarca di Venezia, nonVincenzo Paglia, presidente del Pontificio Consiglio per la Famiglia (in mezzo a una bufera bella e buona per bancarotta della diocesi di Terni che guidava prima di approdare a Roma…), non Rino Fisichella, Presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione (per rinfrescare la memoria: Fisichella è il vescovo che giustificò la bestemmia di Berlusconi, dicendo che andava contestualizzata…!). Non è stato creato cardinale nemmeno il domenicano Jean-Louis Bruguès, bibliotecario di Santa Romana Chiesa (incarico solitamente cardinalizio) «“colpevole” d’aver contrastato, quand’era segretario della congregazione per l’educazione cattolica, l’allora cardinale Bergoglio riguardo la nomina a rettore dell’Università Cattolica di Buenos Aires di Victor Manuel Fernández, fedelissimo dell’attuale papa e suo ghostwriter», come nota Sandro Magister.
Ancora: sono esclusi vescovi degli Stati Uniti, ma anche vescovi del Medio Oriente, dell’Europa orientale e del Giappone.
Non ha nominato cardinale l’arcivescovo di Malines-Bruxelles, il conservatore André-Joseph Léonard, come pure non è nell’elenco Jose S. Palma, arcivescovo della più grande diocesi delle Filippine, Cebu, nonché presidente della conferenza episcopale. Però la porpora nelle Filippine ci è andata: è stato nominato cardinale Orlando B. Quevedo, O.M.I., arcivescovo di Cotabato, una diocesi filippina di “second’ordine”. E che dire diChibly Langlois, vescovo di Les Cayes (Haïti), una diocesi piccola e povera? Ci si aspettava un cardinale da una delle due arcidiocesi metropolitane di Port-au-Prince e Cap-Haïtien: invece no, il papa ha scelto una diocesi piccola e umile, com’è nelle sue corde.
Ma forse il rimpasto più eclatante è quello italiano: la porpora a Gualtiero Bassetti, arcivescovo Perugia-Città della Pieve. Papa Francesco stima molto Bassetti, tanto che lo messo nell’organico della congregazione dei vescovi al posto di Bagnasco. E, a quanto pare, potrebbe essere proprio Bassetti a sostituire Bagnasco alla guida dei vescovi italiani: sarebbe veramente la fine di un’era per la chiesa italiana!

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