Una dura riflessione sui sedevacantisti acattolici
Una serena riflessione sulla Fraternità Cattolica di San Pio X
pubblicato su Chiesa e Postconcilio.
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EPETITA juvant, dice il proverbio. Ma anche: Non c'è peggior sordo di chi non vuol sentire. Ci lascia invero attoniti l'articolo con cui padre Ariel Levi si cimenta in speculazioni sull'obbedienza e sull'appartenenza alla Chiesa, dal quale si evincono alcuni travisamenti pericolosi, oltre alla ripetizione della formula ermeneutica, secondo la quale il Concilio è cattolico e il postconcilio eretico.
Non si accorge, il reverendo, che affermando una differenza sostanziale tra quello e questo, e negando che tra essi vi sia un rapporto di causalità, egli nega appunto l'ermeneutica della continuità, spostando semplicemente il punto di rottura: non fu il Concilio a distruggere la Chiesa, ma il postconcilio. Il risultato non cambia, e comunque il postulato che vi è sottinteso rimane sempre e comunque da dimostrare, anzi: ci pare che si sia già ampiamente dimostrato il contrario.
Non si accorge, il reverendo, che affermando una differenza sostanziale tra quello e questo, e negando che tra essi vi sia un rapporto di causalità, egli nega appunto l'ermeneutica della continuità, spostando semplicemente il punto di rottura: non fu il Concilio a distruggere la Chiesa, ma il postconcilio. Il risultato non cambia, e comunque il postulato che vi è sottinteso rimane sempre e comunque da dimostrare, anzi: ci pare che si sia già ampiamente dimostrato il contrario.
Don Levi ci invita:
Chi ha accolto nel tempo e persino con plauso certe mie critiche, deve altrettanto accogliere — semmai non condividendole o semmai dissentendo in parte o in tutto — altrettante critiche che in coscienza mi sento di rivolgere a taluni ambienti del mondo della cosiddetta Tradizione.
Cogliamo quindi l'invito e ci permettiamo di dissentire, quasi in tutto, adducendo motivazioni e argomentazioni che riteniamo non siano da archiviare senza una riflessione seria.
Errore 1
A proposito dell'obbedienza alla Gerarchia, padre Levi sostiene:
Per questo come prete intendo cogliere più che mai la sfida difficile e dolorosa: sottostare con la venerazione alla legittima autorità ecclesiastica alla quale ho promesso devota obbedienza filiale nel giorno della sacra ordinazione, riconfermandola di anno in anno durante la celebrazione della Messa crismale. Autorità ecclesiastica alla quale posso, anzi devo all’occorrenza oppormi con decisione in due casi: qualora un vescovo avente giurisdizione su di me cadesse in apostasia e tentasse di impormi cose in aperto contrasto con la dottrina cattolica e il magistero della Chiesa, o qualora tentasse di impormi cose che costituiscono reato per le leggi civili e penali.
Notiamo anzitutto la (superflua) dichiarazione di conformità e di omologazione: ...riconfermandola di anno in anno durante la celebrazione della Messa crismale, ovvero: Io sono un bravo sacerdote perché partecipo alla Messa Crismale in duomo con Sua Eccellenza, col rito nuovo e tutto. Sappiamo ormai tutti, grazie alle attestazioni del Nostro, che non abbiamo a che fare con un sacerdote tradizionalista, ma con un conservatore moderato abituato a celebrare la liturgia riformata e a vestire ilclergyman appena può.
Quello che invece ci stupisce è la formulazione dei casi in cui l'obbedienza non è richiesta, allorché il Vescovo voglia imporre cose che costituiscono reato per le leggi civili e penali. Errore, caro don Levi, errore macroscopico! L'obbligo di disobbedire ad un ordine del legittimo Superiore interviene quando questi richieda al suddito di compiere un'azione cattiva in se, e non in quanto essa è considerata reato dalla Legge civile. Ad esempio, in alcuni Paesi per un medico l'obiezione di coscienza all'aborto è un reato, così com'è un reato per un sindaco rifiutarsi di celebrare matrimoni gay, mentre per il cattolico la disobbedienza in questi casi è un dovere, anche se questa comporta di incorrere nelle sanzioni di legge.
Errore 2
Un'altra affermazione temeraria è la seguente:
Chi dinanzi alle mediocrità e alle inadeguatezze di non poche autorità ecclesiastiche di oggi rompe invece l’unità — mosso semmai da tutte quelle migliori intenzioni che lastricano le vie verso l’Inferno — credendo in tal modo di poter lavorare meglio da fuori a suprema tutela e salvaguardia del depositum fidei, sceglie la strada più facile e sbagliata, ed a mio parere non difende la verità che risiede nell’unità della Chiesa, ma difende la propria idea di verità mosso da tutte le migliori intenzioni del caso, una verità che può essere anche ottima, ma slegata dall’unità resta pur sempre parziale ed incompleta.
Qui occorre far veramente chiarezza. Padre Ariel sostiene che chi rompe l'unità credendo di poter lavorare meglio da fuori, sceglie la strada più facile e sbagliata. Ci troviamo di fronte ad una riflessione che parte da presupposti indimostrati. Anzitutto, occorre precisare chi realmente rompe l'unità: il laico o il chierico di sana dottrina che viene emarginato o il Vescovo o il Cardinale eretico che continua a sedere al proprio posto? Non confondiamo l'abbandono fisico di un luogo - come può essere la parrocchia, o la Diocesi, o un Istituto religioso - con l'abbandono della Chiesa Cattolica.
Quanto al lavorare meglio da fuori, si deve precisare anche in questo caso se il da fuori indica che il fedele o il laico compie opere di apostolato senza trovarsi canonicamente inserito in una specifica struttura ecclesiastica, o se piuttosto che l'attività di apostolato, essendogli de facto preclusa in seno alle organizzazioni cattoliche, deve rassegnarsi a fare il bene senza l'etichetta di CL, dei Catecumenali, di Azione Cattolica ecc.
Un cattolico, validamente battezzato e che professa la Fede della Chiesa, non si mette fuori da essa per il semplice dissenso con parte della Gerarchia, nemmeno nel caso in cui egli dovesse esser colpito da una scomunica illegittima o invalida, comminata non per ricondurre al bene il peccatore, ma per punire ed allontanare il fedele che ad esempio rifiuta di avvallare l'ecumenismo o la Comunione in mano.
Quanto alla strada più facile, piacerebbe sapere come possa essere considerato comodo e semplice, per un padre di famiglia, lasciare la parrocchia di appartenenza e percorrere 100 chilometri per raggiungere una cappella dove si celebri la Messa cattolica, o per un sacerdote esser privato della prebenda e vedersi interdire l'accesso a tutte le chiese, vivendo in miseria ed essendo evitato dai confratelli. Dov'è la comodità di non potersi sentire parte di una Diocesi, per il solo fatto che quella Diocesi e il Vescovo che la presiede ti scacciano, ti deridono, ti ignorano, mentre squittiscono e vanno in deliquio dinanzi a qualsiasi pastora luterana? Quale semplicità, caro don Ariel, Ella intravvede nella vita di uno studente che, mentre i compagni strimpellano la chitarra alla Messa yé yé del gruppo universitario, deve sentirsi escluso solo perché ama la millenaria liturgia della Chiesa? Che comodità vi può essere per il giovane che vuole tutelare la propria castità e rispettare la propria fidanzata?
E ancora: la verità che risiede nell’unità della Chiesa. Si dovrebbe dire piuttosto che la Verità costituisce l'unità della Chiesa, e non il contrario. La Chiesa è una perché tutti i suoi fedeli, sotto la guida del Supremo Pastore, aderiscono tutti alla stessa Verità. L'unità dipende dalla Verità, ne è segno. Un travisamento grossolano, che porta a ritenere preferibile - come vediamo col dialogo ecumenico - che l'unire cattolici ed eretici ai danni della Fede sia preferibile ad esser divisi pur mantenendo l'ortodossia.
E ancora: la verità che risiede nell’unità della Chiesa. Si dovrebbe dire piuttosto che la Verità costituisce l'unità della Chiesa, e non il contrario. La Chiesa è una perché tutti i suoi fedeli, sotto la guida del Supremo Pastore, aderiscono tutti alla stessa Verità. L'unità dipende dalla Verità, ne è segno. Un travisamento grossolano, che porta a ritenere preferibile - come vediamo col dialogo ecumenico - che l'unire cattolici ed eretici ai danni della Fede sia preferibile ad esser divisi pur mantenendo l'ortodossia.
Altra affermazione non condivisibile:
Le peggiori eresie che si sono sviluppate nei primi otto difficili secoli di vita della Chiesa, per seguire coi successivi scismi, sono infatti sempre nate per tutelare la vera fede e la vera Chiesa. Chi ne volesse conferma non deve far altro che praticare i testi di patrologia, la letteratura dei grandi Padri e la storia della Chiesa.
Ci piacerebbe sapere se padre Ariel, attingendo alla fonte inesauribile delle proprie certezze, si sia mai chiesto se Sant'Atanasio, al tempo dell'eresia ariana, fosse eretico in ragione della condanna comminatagli, o se piuttosto non si sia trovato ad essere dichiarato tale da un Papa pavido e piegato al potere imperiale, vivendo da perseguitato in esilio e venendo riabilitato e canonizzato solo dopo esser morto. Qui si confonde ancora una volta l'aspetto soggettivo e relativo delle intenzioni del singolo con l'aspetto oggettivo e assoluto dell'effettiva conformità delle intenzioni al fine buono. Se un eretico pensa di difendere la verità - ammesso che la Chiesa odierna si periti di condannare le sue dottrine e lo scomunichi - può aver le migliori intenzioni, ma rimane eretico e come tale si dannerà in eterno. Se viceversa un cattolico difende la verità anche dinanzi all'Autorità dei Pastori infedeli, può esser condannato e scomunicato, ma di fatto è e rimane cattolico, membro vivente della Chiesa, e il suo gesto è buono e meritorio. La storia della Chiesa e i testi di Patrologia confermano i numerosi casi in cui l'opposizione a dottrine eretiche, professate apertamente anche da Papi, abbia meritato l'onore degli altari per molti Martiri e Confessori della Fede.
Errore 3
Le critiche di don Levi giungono a partorire un'altra proposizione erronea o quantomeno equivoca:
Nessun Forte e nessun regista del Cortile dei Gentili mi può in alcun modo indurre a crearmi la mia “Chiesa pura”: preferisco seguitare a lavorare dentro la mia “Chiesa impura”, perché quando ho detto «Eccomi» e poco dopo ho promesso solennemente nelle mani apostoliche del vescovo dinanzi all’assemblea del Popolo di Dio, non scherzavo, facevo molto sul serio.
A premessa di queste parole, troviamo un'affermazione che ci lascia esterrefatti:
Ammetto che non pochi vescovi difettano nella dottrina e la interpretano spesso in modi che non dovrebbero piacere ad alcuna mente cattolica.
Una premessa che, da sola, legittima il dissenso spontaneo del laico o del chierico verso il proprio Superiore. Ma questa premessa, secondo don Ariel, condurrebbe inevitabilmente a crearmi la mia “Chiesa pura”, mentre nessun fedele realmente cattolico può avere un'intenzione del genere: la Chiesa Cattolica è - stat, si direbbe in latino - , ed è Sancta, nonostante sia infeudata da non pochi vescovi che difettano nella dottrina, ed il legittimo desiderio del fedele di esser confermato nella Verità non comporta la creazione di una propria Chiesa pura, casomai può indurre i singoli a raccogliersi in un gruppo in cui poter trovare una dottrina, una morale ed una liturgia cattoliche. Un desiderio legittimo, anzi diremmo doveroso, non solo per riguardo a se stessi, ma anche per i propri figli, circa la formazione religiosa dei quali un padre e una madre hanno dei precisi doveri cui non possono derogare.
E crediamo altrettanto sbagliato affermare che vi sia una Chiesa impura, giacché la Chiesa è sempre Santa ed Immacolata, a prescindere da chi la governa e dai suoi membri. Se i Pastori sono indegni - ed oggi i casi non si contano - non siamo noi a doverci fare una setta che risponda al nostro gusto estetico, o ai nostri ricordi d'infanzia: sono piuttosto i lupi travestiti da pastori che devono essere denunciati, scoperti nelle loro opere malvagie ed allontanati. E se non sono allontanati, ciò non significa che essi siano ancora cattolici, per il semplice fatto di usurpare un ufficio che ricoprono abusivamente e che spetterebbe a dei veri cattolici.
Ritorna la Professio fidei conciliaris del Nostro:
Quando ho detto «Eccomi» e poco dopo ho promesso solennemente nelle mani apostoliche del vescovo dinanzi all’assemblea del Popolo di Dio...
Sappia don Ariel che vi sono sacerdoti che, almeno per ora, possono ancora dire Adsum e non devono ogni tre righe tranquillizzare il lettore circa la propria appartenenza alla chiesa conciliare, con pedanti riferimenti a questo o quel rito riformato. E poi: l'assemblea del Popolo di Dio: non si fa prima a chiamarli fedeli, o si rischia di urtare le delicate orecchie dei progressisti? E le mani apostoliche: sono forse meno apostoliche se indossano le chiroteche?
Errore 4
Errore 4
Arriviamo poi alla Fraternità San Pio X. Don Levi dice:
Il mio parlare è mosso dallo spirito di chi le cose le vive e le vede da dentro, come sacerdote che dipende in toto da una struttura ecclesiale e da una autorità ecclesiastica alla quale — ancora ripeto — ho promesso quella devota e filiale obbedienza.
Il rispettabile e stimato sacerdote finge di dimenticare che i chierici della Fraternità erano perfettamente dipendenti da una struttura ecclesiale e da una autorità ecclesiastica alla quale avevano anch'essi promesso obbedienza. Ma quell'autorità, che all'inizio li aveva benedetti ed incoraggiati, ha deciso che non sapeva cosa farsene di un seminario pieno di vocazioni tradizionali, nel deserto che si diffondeva dopo il Concilio, ed ha così imposto di frequentare le lezioni di un Università eretica, cosa inaccettabile per mons. Lefebvre. Tutti quei chierici, e con essi i fedeli loro vicini, sarebbero ancora perfettamente dipendenti da una struttura ecclesiale e da una autorità ecclesiastica, se quell'Autorità li avesse anche soltanto tollerati, ma sappiamo bene che la sola esistenza di un movimento tradizionale in seno ad una Chiesa che da cinquant'anni rinnega il proprio passato era ed è un'intollerabile contraddizione, specialmente quando era chiaro a tutti che quel movimento otteneva copiose vocazioni, mentre la primavera conciliare aveva solo un incremento di spretati.
L'obbedienza promessa, come si vede, non avendo per oggetto un fine buono, legittima il rifiuto del suddito, e non possiamo non ringraziare l'eroismo di Monsignore e di tanti suoi sacerdoti, senza i quali oggi ci potremmo dimenticare il Summorum Pontificum.
L'obbedienza promessa, come si vede, non avendo per oggetto un fine buono, legittima il rifiuto del suddito, e non possiamo non ringraziare l'eroismo di Monsignore e di tanti suoi sacerdoti, senza i quali oggi ci potremmo dimenticare il Summorum Pontificum.
Errore 5
Dopo aver accennato alle divisioni interne alla Fraternità San Pio X, padre Ariel prosegue:
Due sole sono per taluni le campane da suonare a distesa: il "Concilio pastorale", vettore di tutti i peggiori mali della Chiesa nell’arco degli ultimi cinquant'anni, quindi la "Messa di sempre", termine debitamente virgolettato perché in tutto e per tutto sbagliato. Infatti, prima della promulgazione del Messale di San Pio V, non si celebravano forse “Messe di sempre” sin dalla istituzione dell’Eucaristia?A onor del vero, le campane andrebbero suonate a morto. Comunque sia, la complessità della discussione teologica sulla crisi dottrinale presente si estende a moltissimi temi, coinvolge diversi aspetti dogmatici, morali, scritturistici, magisteriali, canonistici. Ma che questi siano tutti strettamente legati al Concilio e alla riforma liturgica è innegabile, poiché questa fu l'espressione orante della nuova formulazione conciliare della Fede. Il Concilio fu vettore dei peggiori mali della Chiesa, e ci stupisce che don Levi accetti il postulato opposto, nonostante basti il buon senso per rendersene conto.
Quanto all'espressione Messa di sempre, essa è e vuol essere nient'altro che un modo immediato per identificare un rito perenne, differenziandolo da uno inventato a tavolino da una conventicola di eretici e pseudoliturgisti con borse piene di carte massoniche al seguito. E stupisce che padre Ariel ignori che, nella sua struttura, la Messa codificata da San Pio V corrisponde quasi pedissequamente ai più antichi riti apostolici, anche orientali, per cui a giusto titolo si può dire che essa sia effettivamente di sempre, mentre ripugna alla storia della Chiesa la costruzione di riti fai da te comparsi da un giorno all'altro solo per compiacere Luterani e Protestanti.
Errore 6
Un'altra proposizione:
Bisogna usare perciò cautela nell’esprimere in modo sottinteso che in passato, prima del “famigerato Vaticano II”, le cose andavano meglio, perché espressioni di questo genere sono tipiche di persone animate da “fede” immatura e debole che non conoscono la storia della Chiesa ma pur malgrado presumono di conoscerla.
Apprendiamo di essere persona animata da fede immatura e debole: credevamo che affermare un'ovvietà sotto gli occhi di tutti non ci mettesse nella posizione di dover argomentare un fatto appurato. A sentire don Levi, la frequenza dei fedeli alle Messe era prima del Concilio allo stesso livello di quella cui ci siamo ridotti oggi; i seminari e i conventi erano vuoti anche prima; i Vescovi predicavano eresie dai pulpiti, e il Papa, dopo essersi messo un naso da clown e le scarpe vecchie, affermava che il proselitismo è una solenne sciocchezza, e che non era nessuno per giudicare. Prima del Concilio, come è noto, la percentuale di sacerdoti immorali e scandalosi era ancor maggiore di oggi, come ben superiori erano i casi di sacerdoti concubinari con prole e quelli che, pur concubinari, Natura ha voluto non potessero aver figli dai loro turpi commerci.
Ci chiediamo: ma in che iperuranio vive don Ariel S. Levi di Gualdo, e soprattutto: cosa ne sa lui di come era la Chiesa prima del Concilio, visto che par ignorare com'è la Chiesa del dopo?
Errore 7
E qui arriviamo al delirio:
Sbaglia chi afferma che il post concilio è la conseguenza logica e naturale del concilio, cosa che in sé equivale a dire che l’AIDS contratto durante il post operatorio per una trasfusione di sangue infetta praticata al paziente da dei paramedici scellerati, è frutto logico e naturale delle sue dissolutezze di vita.
Il paragone utilizzato è improprio, perché mentre le valutazioni circa la crisi presente trovano logiche e immediate prove nello studio storico di come si svolse il Concilio e di chi fu che lo manovrò (cose acclarate e documentate anche dagli stessi responsabili dello sfacelo), nel paragone il virus ha molteplici modalità di contagio, alcune delle quali implicano una responsabilità morale del contagiato, ed altre no.
Vorremmo comunque capire dove fosse la Gerarchia conciliare, quando i teologi eretici che presero parte al Concilio iniziarono la propria campagna di divulgazione, durante il famigerato postconcilio: non si accorgevano di quello che avveniva? Quando mai uno solo dei Papi postconciliari si è permesso di condannare l'ecumenismo di Assisi, le deviazioni sulla cosiddetta Collegialità, gli orrori in campo liturgico? Non abbiamo piuttosto assistito a vergognose azioni di sostegno e di incoraggiamento da parte della Sede Apostolica e di tutte le Diocesi dell'orbe cattolico, nei confronti di eretici matricolati? Non fu Giovanni Paolo II a inaugurare la stagione dei pantheon di Assisi, dei baci al Corano, degli amplessi con la Sinagoga? Chi ha celebrato per primo quell'orrore del Novus Ordo, se non lo stesso Paolo VI, che a comporlo aveva invitato dei Pastori luterani e che aveva nominato il massone mons. Bugnini a capo della Pontificia Commissio ad exsequendam? Erano tutti postconciliari che durante il Concilio erano sulla luna?
Se veramente il postconcilio fosse stato un'entità a se, perché la Sacra Gerarchia, quella che lo avrebbe celebrato per il bene della Chiesa, non è immediatamente intervenuta, fermando sul nascere le presunte interpretazioni moderniste del Concilio? Dov'era? Ah sì: era impegnata a scacciare dai Dicasteri i prelati refrattari, a giubilare il Card. Ottaviani, a interdire l'elezione ai Cardinali anziani (guarda caso tutti conservatori) e ovviamente a sospendere a divinis o a scomunicare mons. Lefebvre...
Ovviamente, lungi dall'argomentare, anche don Ariel si erge a paladino del Conciliabolo romano e fulmina le sue scomuniche:
A nessun cattolico che sia veramente tale è lecito affermare, come purtroppo si sente dire o come a volte capita di leggere, che “La fonte degli errori è proprio il Concilio” o che “Il Concilio è stato” nientemeno che una colossale opera del Demonio”, per seguire con varie altre assurdità che chiunque può liberamente proferire, ma cessando all’istante di essere cattolico per divenire altro, al momento che rifiuta in modo così ostile e aperto un atto solenne celebrato dai Padri Vescovi riuniti in una assise ecumenica sotto la presidenza del Successore degli Apostoli.Ebbene, con la fierezza che mi viene dalla veste che porto (sempre), mi faccio onore di affermare: La fonte degli errori è proprio il Concilio, che fu una colossale opera del Demonio. Lo affermo, lo proclamo, lo dichiaro e lo sottoscrivo come Cattolico, e avrei ragione di credermi a rischio di dannazione se pensassi che una tale congerie di errori, equivoci, insinuazioni ed omissioni possa considerarsi atto magisteriale al pari dell'ultimo Concilio Cattolico, il Vaticano I.
Con buona pace di padre Ariel S. Levi di Gualdo, il quale candidamente soggiunge:
Certe espressioni presenti nel Vaticano II potrebbero essere corrette o integrate senza alcun problema.Corrette? Ma come, queste espressioni non erano frutto dello Spirito Santo in un atto solenne celebrato dai Padri Vescovi riuniti in una assise ecumenica sotto la presidenza del Successore degli Apostoli?O vogliamo insinuare che il Paraclito, a differenza di quanto ha fatto nei precedenti Concili, abbia garantito la propria assistenza solo in certi momenti ed in altri no? E se così fosse, chi ci dice cosa è giusto e cosa è erroneo - se merita una correzione, di errore si deve trattare - nei testi cui è richiesto comunque un assenso fideistico benché contraddetto dalla semplice ragione e prima ancora dal sensus Ecclesiae? Ce lo dirà Bergoglio, che ex professo non crede nel Dio cattolico? E se c'è qualcosa di erroneo, non è dovere del fedele rifiutare di accogliere un documento contenente degli errori, e limitarsi ad abbracciare la Fede immutabile dei precedenti Concili e del Magistero, che peraltro insegnano esattamente l'opposto di quello che dice il Vaticano II?
Don Ariel afferma che esso non hanno sancito alcun nuovo dogma: questo implica che un cattolico può serenamente continuare ad essere tale rifiutando con riserva il Concilio, dato che non vi è nulla di nuovo cui credere, a parte - verrebbe da dire - la libertà religiosa (condannata), l'ecumenismo (condannato), la laicità dello stato (condannata), la dottrina del deicidio e dell'alleanza giudaica (condannata), la collegialità (condannata) e la nuova liturgia (che evitò la condanna solo perché Paolo VI cambiò il famoso ed eretico art. 7 della Costituzione Generale dopo aver comunque promulgato il Messale ispirato ad esso).
Errore 8
Don Ariel è ancora rimasto alla disputa sulla validità del Novus Ordo, che nessun cattolico mette ormai in dubbio, al di là di sciocche battute all'uscita di Messa. Io viceversa auspicherei che rito riformato fosse invalido, perché impedirebbe migliaia di profanazioni che gridano vendetta al Cielo. Quel che è certo è che, mentre nella Messa di San Pio V è praticamente impossibile non disporsi a compiere ciò che vuole la Chiesa, con la Messa di Paolo VI bisogna porre un atto esplicito di volontà positiva per consacrare validamente, dal momento che i riferimenti al Santo Sacrificio sono stati talmente ridotti e nascosti da render difficile, specialmente per il sacerdote medio che non ha ben chiaro cosa sia la Messa cattolica, celebrarla validamente.
Ma dopo le sue elucubrazioni su validità e invalidità, se ne esce con queste parole:
Quindi col messale del 1962 celebro solo una volta alla settimana in una chiesa a porte chiuse. Questo il motivo: non voglio trovarmi attorno — come potrebbe facilmente capitare — oltre ai devoti fedeli, anche fanatici estetici dei pizzi e dei merletti chilometrici, persone che vantano quarti di nobiltà, aspiranti cavalieri o sedicenti tali, fanatici di cappe magne, persone che anziché vivere il mistero del Sacrificio Eucaristico misurano i gesti e le movenze del sacerdote, perché qualora le mani fossero aperte oltre l'altezza delle spalle ciò potrebbe essere motivo — a loro dire, s’intende — di vera e propria invalidità della Santa Messa.Padre Ariel dovrebbe sapere che il dovere di un sacerdote è celebrare la Messa per i fedeli che la richiedono, senza indagare su chi è più o meno d'accordo con le convinzioni del celebrante. Egli deve amministrare un Sacramento a fedeli in grazia di Dio, e questo deve presumere. Perché è un diritto del fedele avere la Messa tridentina da qualsiasi sacerdote, senza chiedere permesso al Vescovo.
Questo ovviamente non significa che i laici tradizionalisti debbano sempre e comunque sentirsi autorizzati a prender parte alle funzioni come inservienti, e men che meno che sia richiesto dal loro ruolo di difensori della Tradizione anche il sentenziare su quanti Confiteor si devono dire o circa l'altezza a cui tenere le mani durante gli Oremus. Circa i pizzi chilometrici, don Levi dovrebbe fare un salto negli uffici proprio sopra Piazzetta Pio XII, dove vige un mercato frequentatissimo di merletti, nonostante i clienti siano tutti Prelati e Monsignori che non celebrano mai la Messa romana.
I casi estremi, cui purtroppo siamo tutti avvezzi in ambito tradizionale, sono appunto episodici e non fanno testo. Vi sono analoghi personaggi stravaganti anche in ambito progressista: cambia solo l'oggetto delle predilezioni, non la velleità di esprimerle. Dubitiamo tuttavia che un cattolico istruito possa arrivare ad affermare che alcuni errori rituali possano comportare l'invalidità di una Messa, e se così fosse sarebbe solo evidente la sua ignoranza, che meriterebbe qualche spiegazione paziente piuttosto di celebrare a porte chiuse. Non dimentichi don Ariel che la Messa è atto pubblico, e che dicendosela per conto suo dimostra solo che essa è per lui una fonte di compiacimento personale, e non un modo legittimo e meritorio di celebrare, ben preferibile a quello imposto da Paolo VI.
La battuta sui carmi di Catullo, reverendo, se la poteva risparmiare: essa offende i semplici fedeli che per beneficiare dei frutti della Messa non devono necessariamente capire - è dottrina cattolica - tutti i testi in latino, ma unirsi spiritualmente al Sacrificio di Cristo rinnovato sull'altare. E se vi sono persone che lo ignorano ma si rallegrano per la musicalità del latinorum, sappia che basterebbe questo atteggiamento per dimostrare il loro amore per la Chiesa, della quale riconoscono la voce come riconosce la voce materna, pur senza capire le parole, il bambino in fasce.
Io celebro solo ed esclusivamente nel rito cattolico, e non ho bisogno di circondarmi di fedeli maturi e profondi conoscitori della dogmatica sacramentaria e della sacra liturgia intesa come centro dei misteri della fede per sentirmi appagato. Qualche studente, un paio di signore anziane, un ufficiale in pensione, una mamma col passeggino. E pregano, sa? Pregano con fervore, si confessano degnamente, fanno il ringraziamento dopo la Comunione pur non essendo profondi conoscitori di dogmatica sacramentaria.
Errore 9
Ed eccoci al don Ariel Levi in veste di liturgo:
Come del resto non è affatto antica la pianeta, tutt’altro: è il paramento moderno, quello antico è la tanto sprezzata casula che certi cultori additano come orrido vestimento moderno post conciliare.Falso: la pianeta conciliare è un orrido poncho che nulla ha a che vedere con la planeta descritta da San Carlo Borromeo (Instuctionum fabricae, 1557), che risulta essere evidentemente una sorta di ampia pianeta. La pianeta romana, così come la conosciamo dall'Ottocento, è una sclerotizzazione di quel modello, che come si può vedere anche semplicemente visitando la Basilica Liberiana è confezionato interamente in tessuti preziosi e foderato, mentre la casula moderna non ha fodera e la parte di pregio (per quel che può essere di pregio nel nuovo rito) è il solo clavo centrale.
Coonclusione
Il resto dell'articolo di padre Levi è una requisitoria sulla Fraternità San Pio X, i cui contenuti sono in parte veri, in parte pretestuosi, in parte falsi.
Il sacerdote, per il quale l'umiltà non pare essere tra le virtù predilette, sfoggia competenze, lauree, dottorati ma lo fa in modo talmente sentenzioso da sconcertare i fedeli anzitutto, ma anche i suoi confratelli. Per carità: sappiamo bene che la nostra vis polemica è altrettanto dura e tagliente; ma noi ci permettiamo di essere duri e taglienti con chi detiene il potere nella Chiesa, con chi può continuare a farsene un baffo delle nostre critiche, di chi con una telefonata ci può spedire in partibus. Don Ariel invece se la prende con una parte della Chiesa che ha il merito di aver tenuto viva la fiamma della Tradizione, e che non stupisce possa aver qualche menda, visto l'assedio cui è sottoposta.
Padre Levi pare che pretenda da dei soldati in trincea di aver le mostrine a posto e i bottoni della divisa lucidi. Guardi in casa sua: chi vive mollemente sulle spalle dei fedeli si presenta trasandato anche se è un Principe della Chiesa, e il suo conto in banca ha probabilmente parecchi zeri. Questi poveri sacerdoti della San Pio X sembreranno chiusi, un po' introversi, ma si spaccano la schiena tutti i giorni per raggiungere in auto centri di Messa lontanissimi dal loro Priorato, spesso in cappelle improvvisate come ai tempi della Vandea; dormono in condizioni disagevoli, talvolta ospiti di qualche fedele; mangiano quello che viene loro offerto e si arrangiano. Ma la loro veste li accompagna sempre, e quando celebrano sanno trasmettere sentimenti di riverenza e di adorazione. Non ci interessa se, interrogati dal pedante maestrino in clergyman, essi
non erano in grado di rispondere e di spiegare la storia di certe parti del messale di San Pio V alla rigorosa e più ortodossa luce della dogmatica sacramentaria, ovviamente di quella pre-conciliare, s’intende.A noi interessa che quando predicano dicano quel che si è sempre detto dal pulpito. Che quando confessano sappiano incoraggiare il fedele a migliorarsi e a riporre la sua fiducia nell'aiuto di Dio. Questo è ciò che ci aspettiamo da loro, visto che sul versante conciliare non solo manifestano ben più gravi difetti, ma non sanno nemmeno predicare e confessare.
E ancora: se da un lato ci si può dire d'accordo con la critica alla crisi della chiesa conciliare, l'andare a far le pulci ai pochi sacerdoti tradizionalisti sa di vigliaccheria, di qualunquismo e di disfattismo, e scoraggia vieppiù i fedeli. Don Ariel sta dentro, e al sicuro.
Padre Levi farebbe bene a riconsiderare il suo elitarismo, usando un po' di Carità cristiana verso questi sacerdoti, certamente animati da buone intenzioni e santi propositi.
Dire che Don Stefano, un'autentica grazia di questi tempi , rappresenti il modo sbagliato di reagire alla crisi , mi sembra fuori luogo. Se lui deve scendere dalla mucca , una buona quota di tradizionalismo spurio deve scendere dall'elefante
RispondiEliminaMi sembra che la polemica abbia preso il sopravvento (vedi la enciclica risposta del don su CPC di stamane), con tanto di scomuniche reciproche..!
EliminaSì, spiace anche a me che ci si sbrani in casa, invece di sbranare il nemico e che si scada in basso nel fare le pulci alle frasi, agli omissis, ed ai commissis..!
Mi sembra che comunque il don ecceda in toni clericalistici e sia molto suscettibile... troppo!
Don Cesare (chi sia a me non interessa), mi sembra molto più alla mano e accetto anche la sua simpatica "irriverenza" né mi scandalizzano le foto taroccate, ché anzi sono un giusto contraltare alle nuvole di incenso che da ogni poro vengono pompate al vescovo romano.
Le affermazioni di entrambi possono non incontrare il consenso di tutti, ma é forse più utile rivolgersi ad extra che ad intra..!