Riflessioni a margine dell’urlo di dolore del prof. Roberto de Mattei. Lettera aperta al medesimo!
Leggo il “grido di dolore” del prof. R. De Mattei, noto storico e cronista contemporaneo, diffuso dalla testata on-line Corrispondenza Romana il giorno 11 febbraio 2014, con titolo: «2013-2014: Motus in fine velocior». Questo scritto - che verosimilmente è costato al De Mattei l’allontanamento da Radio Maria, come in passato era già accaduto ai signori Gnocchi e Palmaro - credo possa essere riassunto secondo il seguente …
SCHEMA
1) Rinuncia (ovverosia abdicazione, la Chiesa è monarchica) di JA Ratzinger (Benedetto XVI), quale «fulmine a ciel sereno», così dice parafrasando il Sodano;
2) Designazione di JM Bergoglio (Francesco) il quale vuol distinguersi ed essere gradito a tutti i costi (Confr. Gal.
1,10 par.), esordisce difatti con un inadeguato “buona sera”, si
presenta solamente come “vescovo di Roma” (sarebbe invece Vicario di
Cristo, successore di san Pietro, monarca, colonna, pietra, ecc…),
sceglie il nome Francesco «quasi a voler rappresentare un unicum» (basterebbe conoscere il breve contenuto della «Sacra Propediem» di Benedetto XV per comparare il vero volto di san Francesco con le odierne offensive sue “parodie”);
3)
Dichiarata consapevolezza da parte dello stimato prof. De Mattei,
diversamente dal passato, che affermazioni verbali come “chi sono io per
giudicare” (Confr. Mt. 16,19), “la notte, quando si chiudono le porte […] Maria apre la porta del Paradiso e fa entrare tutti [i peccatori, NdA]” [1], “la Madonna [...] forse aveva la voglia di dire [a Dio, NdA]: Bugie! Sono stata ingannata!”[2], l’equiparazione[3] fatta nella sua predicazione, ed in spregio a N.S.G.C., fra fede di Abramo (che invece era cristiano in voto) e Giudaismo del Talmud (Confr. con Catechismo san Pio X,
n° 124, 126, 131, 132), le famose «lettera a Scalfari e intervista a
Civiltà Cattolica», ecc… tutto ciò e molto altro oggi, per il prof. De
Mattei, ha questa ricaduta pratica: «[…] si disse che non erano atti di
magistero, ma tutto ciò che da allora sta accadendo nella Chiesa, deriva
soprattutto da quelle interviste che ebbero carattere magisteriale di
fatto se non di principio»;
4) Scontro fra la destra (Müller) e la sinistra (Maradiaga) all’interno della chiesa conciliare;
5) Basilare ed insindacabile, poiché di fede rivelata,
promemoria: «[…] la Chiesa accoglie tutti coloro che si pentono dei
propri errori e peccati e si propongono di uscire dalla situazione di
disordine morale in cui si trovano, ma non può legittimare, in alcun
modo, lo status di peccatore» (approfondimenti in nota [4]);
6)
Constatazione che: «[…] nel primo anno di pontificato di Papa Francesco,
la Chiesa ha rinunciato ad uno dei suoi divini attributi, quello della
giustizia, per presentarsi al mondo [solamente, NdA] misericordiosa e benedicente» (bisognerebbe dire “buonista” o anticattolica continuando a rinunciare, di fatto, ad unità e santità della fede, del governo e del culto, alcune delle note distintive della vera e visibile Chiesa fondata da Cristo)[5];
7) Citazione tendente - è evidente senza alcuna mala fede o pretesa profetica - al millenarismo mitigato:
«[…] viviamo un’ora storica che non è necessariamente la fine dei
tempi, ma è certamente il tramonto di una civiltà e la fine di un’epoca
nella vita della Chiesa. Se al chiudersi di quest’epoca il clero e il
laicato cattolico non assumeranno fino in fondo le loro responsabilità,
si avvererà inevitabilmente il destino che la veggente di Fatima ha
visto svelarsi davanti ai propri occhi […]»;
8) Riflessione conclusiva: «[…] la drammatica visione del 13 maggio [a Fatima, NdA]
dovrebbe essere più che sufficiente per spingerci a meditare, pregare
ed agire. La città è già in rovina e i soldati nemici sono alle porte.
Chi ama la Chiesa la difenda, per affrettare il trionfo del Cuore
Immacolato di Maria».
PS: questa
mia personale e schematica interpretazione (che potrebbe essere anche
sbagliata) non può e non deve sostituirsi allo scritto del prof. De
Mattei. Pertanto ne consiglio vivamente la lettura!
RIFLESSIONI A MARGINE DI TUTTO CIÒ
Esprimo la
mia vicinanza morale (e nella garantita preghiera) al prof. Roberto De
Mattei, mentore di molti storici e cronisti cattolici contemporanei,
sebbene non di teologi e/o di canonisti. È davvero affliggente l’essere
esclusi, il sentirsi non più accettati. Accadde anche a me, quando mi
permisi di confutare pubblicamente la teologia del “padre di Erba”, e
fui invitato da un editore a ritrattare oppure a scegliere la porta
(«stretta», Cf. Mt. 7,13). E la scelsi!
Caro
professore non se ne dolga più del dovuto, guardi all’insegnamento
propedeutico di questo presunto “castigo”, si rilegga casomai il suo
celebre editoriale: «I castighi di Dio nella Fede cattolica: il Professor de Mattei risponde a Padre Mucci s.j.», dove confutava il panteismo di alcuni noti predicatori conciliari contemporanei (Cf. Sillabo,
§ I). A parer mio Radio Maria perde, di minuto in minuto, quella
parvenza di credibilità che proprio studiosi come lei, Gnocchi, Palmaro
ed altri le avevate dato (si legga la nota del 2005, Bertone).
Nel suo «2013-2014: Motus in fine velocior»
lei dice: «[…] se questa è la strada che si vuole percorrere, è il
momento di dire che si tratta di una strada verso lo scisma e l’eresia,
perché si negherebbe la fede divina e naturale che nei suoi comandamenti
non solo afferma l’indissolubilità del matrimonio, ma proibisce gli
atti sessuali al di fuori di esso, tanto più se commessi contro natura».
Facendo seguito a questa sua riflessione, secondo alcuni tardiva, mi
permetto di domandarle e, auspico, di farle solo ora presente:
1) Ma perché, nel documento dottrinale e di docenza, dato per pastorale, «Dignitatis Humanae»[6]
non è forse scritto: «Il diritto alla libertà religiosa non si fonda
quindi su una disposizione soggettiva della persona, ma sulla sua stessa
natura. Per cui il diritto ad una tale immunità perdura anche in coloro
che non soddisfano l’obbligo di cercare la verità e di aderire ad essa,
e il suo esercizio»; con ciò consentendo pure agli Stati, quindi in
«foro esterno», di promulgare presunte leggi a garanzia di presunte
libertà che in realtà «vanno dietro alla carne e disprezzano il Signore»
(2Pt. 2,10). Tutto ciò si contrappone apertis verbis al
Magistero solenne, universale e ordinario della Chiesa fondata da Cristo
(Cf. Pio IX, «Quanta cura» e «Sillabo» ai n° 15, 55, 77, 78 e 79;
Leone XIII, «Libertas» e «Immortale Dei»; Pio XII, allocuzione «Ci
riesce» del 6 dicembre 1953; Pio VII (1814), «Lettera al Vescovo di
Troyes»; Gregorio XVI, «Mirari Vos»; ecc… approfondimenti in nota [7]).
2) Potrei proseguire per ore,
senza alcuna pretesa ed assolutamente senza volermi moralmente (e nel
giudizio) sostituire alla Chiesa! Mi limito solo a farle presente, per
evitare di calcare troppo la mano in una circostanza così
raccapricciante, che nel 2002 (trad. 2005) JA. Ratzinger in «Pilgrim
Fellowship of Faith» concludeva che «[…] l’anafora di Addai e Mari, la
più usata dai Siriani, non include il racconto dell’istituzione […]»,
eppure - facendo seguito alle imposizioni universali della «Unitatis
redintegratio» - nel 2001 approvava il documento «Orientamenti per l’ammissione all’eucaristia fra la chiesa Caldea e la chiesa Assira dell’oriente»,
dove è scritto che nelle citate «chiese particolari» è stata invece
preservata «[…] la piena fede eucaristica nella presenza di nostro
Signore sotto le specie del pane e del vino e nel carattere sacrificale
dell’Eucaristia» ed esse hanno «[…] veri sacramenti, soprattutto, in
forza della successione apostolica, il sacerdozio e l’Eucaristia». Tutto
ciò chiaramente in opposizione al santo ed ecumenico Concilio di
Trento, Sessione VII del 3 marzo 1547, Canoni sui sacramenti, in genere (approfondimenti in nota [8]).
GUARDIAMO CATTOLICAMENTE AL MAGISTERO ED AL PONTEFICE
Estrapolo da varie pagine (con relative note) del volume APOLOGIA DEL PAPATO che, a Dio piacendo, sarà pubblicato a mia firma da EffediEffe in aprile/maggio 2014.
Brevemente introduco dei concetti di Magistero attingendo alla nota «Enciclopedia del Papato»[9].
Si legge sull’obbedienza che si deve al Papa (ed al Magistero): «[…] Di
fronte a una parola o a un Documento pontificio il cristiano dovrà
regolare la sua sottomissione e il suo assenso non tanto tenendo conto
dell’argomento trattato, cioè dell’oggetto materiale che esso tocca,
quanto dell’autorità, delle intenzioni che esso manifesta».
Sotto
quali forme e da quali segni si riconosce l’autorità pontificia
nell’esercizio della funzione dottrinale? «[…] le definizioni ex
cathedra non sono le sole manifestazioni del Magistero apostolico che
s’impongono al rispetto, all’obbedienza, al religioso assenso o alla
fede esplicita dei fedeli. I Padri del Concilio Vaticano [I] lo hanno
voluto ricordare, e lo stesso fa il Codice di Diritto Canonico[10]:
“Evitare la depravazione eretica non basta; bisogna anche evitare
coscienziosamente gli errori che sono più o meno legati ad essa; e per
questo tutti devono osservare anche le Costituzioni e i Decreti con cui
la Santa Sede condanna e interdice questo genere di false opinioni”
(Can. 1324)».
Quali sono
le caratteristiche per riconoscere un autentico insegnamento
pontificio? «Innanzitutto deve provenire direttamente dal Sommo
Pontefice oppure deve essere approvato dal Papa che se ne assume
personalmente la responsabilità. […] Il Sovrano Pontefice può far suo
[anche, NdA] un decreto del Sant’Ufficio[11] o di una Congregazione, mediante un’approvazione speciale, in forma specifica, indicata dalla formula “motu proprio […]”
o da una equivalente. […] Perché un atto del Magistero pontificio sia
autentico basta che il Sommo Pontefice parli, insegni, dichiari, approvi
o condanni a viva voce o per iscritto, con l’intenzione manifesta di
esercitare le funzioni di dottore della Chiesa universale, di essere
ascoltato, capito e obbedito da tutti coloro che egli ha la missione di
istruire, illuminare e preservare dall’errore. […] [Per capire la forma
di un atto di Magistero], la “forma estrinseca”[12]
importa poco. Per insegnare alla Chiesa il Sommo Pontefice può affidare
il suo pensiero [ad un Documento], può anche farlo oralmente in una
Allocuzione concistoriale al Sacro Collegio o in un Discorso d’udienza
solenne. Insomma, l’insegnamento autentico del Papa si può trovare in
tutti i Documenti che esprimono il concetto di comunicazione autentica
della parola magisteriale. Non bisogna tanto preoccuparsi della “forma
estrinseca” del documento: se cioè il Papa ha parlato con una Enciclica
oppure con Lettere dirette ad alcuni vescovi oppure con un’Allocuzione
[…] ciò che distingue i Documenti tra loro e permette di misurare il
loro esatto valore dogmatico, legislativo o disciplinare, non è tanto la
loro “forma estrinseca” quanto l’intenzione di definire o semplicemente
di avvertire, di condannare o mettere in guardia, di comandare, di
consigliare, di suggerire»[13].
Non è
quindi la «tipologia» o la «denominazione» di Documento - o come esso
viene definito e chiamato da terzi - che ci consente di «misurare
l’esatto valore dogmatico, legislativo o disciplinare» dello stesso,
poiché «il Sommo Pontefice può avere e manifestare la volontà di
proporre definitivamente una dottrina come norma da adottarsi e seguirsi
da tutti i fedeli [in qualsiasi “maniera”, NdA]; al contrario,
ci possono essere Encicliche di esortazione o di ammonizione senza che
vi appaia l’intenzione di definire qualche verità»[14].
Quali
sono, quindi, quei Documenti che possono indirettamente manifestare
l’«insegnamento autentico» della Chiesa? Sempre secondo la prestigiosa
«Enciclopedia del Papato» già citata, ma anche secondo la rara e oggi
ben nascosta «Enciclopedia Cattolica» (Vaticano, imprimatur 1951, vol. VI v. Infallibilità e vol. VII v. Magistero): «D’altronde
l’insegnamento diretto della verità non è l’unico che impegna
l’autorità, anzi l’infallibilità del Sommo Pontefice. C’è pure un
insegnamento indiretto, “implicito”, ma efficacissimo, della fede e
della morale cristiana. Con le leggi che impone ai fedeli e che reggono i
loro costumi; con le preghiere liturgiche che approva o prescrive; con
le canonizzazioni che offrono al popolo cristiano esempi concreti e
normativi di autentica santità; con l’approvazione delle regole
monastiche che fissano ai religiosi una via autentica e sicura per
raggiungere la perfezione cristiana; con tutto quest’insieme di regole
pratiche e di istituzioni educative, la Chiesa e il Sommo Pontefice
contribuiscono potentemente a creare nelle anime modi di pensare,
opinioni, una mentalità. Si pensa come si vive e si crede come si prega.
“Lex orandi, lex credendi”. E tutto questo influisce tanto
sulla conservazione e sull’intelligenza del dogma rivelato, sulla fede
collettiva della Chiesa, che è impossibile credere che questo
insegnamento indiretto, “implicito” ma efficacissimo, sia sprovvisto
dell’assistenza promessa da Cristo al suo Vicario e alla sua Chiesa per
illuminare e confermare la fede di quelli che credono in lui. Perciò,
tra i Documenti che possono manifestare indirettamente l’insegnamento
autentico del Sommo Pontefice nelle sue funzioni di Pastore e dottore
supremo della Chiesa universale, bisogna includere le leggi di cui egli è
veramente l’autore responsabile (o Codice di Diritto Canonico). […]
Bisogna annoverare anche le Bolle di canonizzazione e quelle di
approvazione e di conferma degli Ordini religiosi»[15].
Il Papa è vero successore di san Pietro, è pertanto risparmiato da ogni errore nel suo insegnamento (talvolta anche solo verbale[16]),
perché la sua missione è di continuare l’insegnamento stesso di Gesù
Cristo, e perché Dio non può permettere al suo Rappresentante in terra
di condurre le anime all’errore[17].
Credere in Gesù Redentore è credere nella Chiesa, e credere nella
Chiesa è credere nel Papa. Ecco perché lei dice finalmente: «[…] si
disse che non erano atti di magistero, ma tutto ciò che da allora sta
accadendo nella Chiesa, deriva soprattutto da quelle interviste che
ebbero carattere magisteriale di fatto se non di principio».
ALTRE PREMESSE
Posto tutto quanto su scritto e confermato anche dal «Denzinger», v. Canonizzazione, Chiesa, Convergenza, Dogma, Infallibilità, Magistero, Perpetuità, Pontefice, ecc... e dalle circa 200 fonti garantite da imprimatur preconciliare che uso in APOLOGIA DEL PAPATO ...
Posto che, documenti di Magistero alla mano[18],
la resistenza è lecita (quale delegittimazione morale) contro
l’eretico, il violento e l’usurpatore, ma non contro il Papato, e mai
abitualmente; posto che le armi oggi usate per fomentare (auspico
involontariamente) alcune ribellioni sono rispettivamente condannate e confutate già da tempo da Pontefici e Dottori: a) san Paolo vs san Pietro[19]; b) Caifa sacerdote[20]. Posto che “Resistere in faccia davanti a tutti” passa la misura della correzione fraterna[21];
posto che la resistenza del popolo vs Nestorio è assolutamente non
accomunabile alla presente (diversi sono storia, materia, circoscrizione
e manifestazione). Posto che la simonia non invalida la designazione,
mentre l’eresia formale (che teologicamente presuppone la pertinacia) si[22]. Posto che, per esempio, insegna san Bonaventura[23] nel testo «La perfezione evangelica»:
«Inoltre,
Papa Stefano V, nella stessa distinzione, dice: “In realtà, poiché la
santa Romana Chiesa, alla quale Cristo ha voluto che noi presiedessimo, è
stata costituita come specchio e modello per tutti, è fatto obbligo di
osservare per sempre e irrefragabilmente ogni suo ordine”[24].
Inoltre, Papa Gregorio, nella stessa distinzione, dice: “A nessuno è
consentito di esercitare la volontà o la possibilità di trasgredire i
precetti della Sede apostolica”[25].
E poi aggiunge: “Pertanto, sia prostrato dal dolore della propria
rovina chiunque avrà voluto opporsi ai decreti della Sede apostolica;
poiché nessuno ignora che costui è stato già condannato dal santo Sinodo
e dalla Chiesa apostolica per la sua disobbedienza e presunzione” […]
Inoltre, Papa Ilario, nella Causa vigesimaquinta, questione
prima, dice: “A nessuno sia consentito, senza rischio del suo stato,
violare le costituzioni divine o i decreti della Sede apostolica”[26].
Inoltre, Papa Adriano, nella medesima causa, dice: “Stabiliamo mediante
un generale decreto che sia maledetto con la scomunica e presentato
sempre come prevaricatore della fede cattolica e come colpevole al
cospetto di Dio chiunque tra i re o i vescovi o i potenti avrà creduto o
permesso che sia in seguito violata in qualcosa la censura dei decreti
dei pontefici romani”»[27].
Posto che i
casi Liberio, Vigilio, Onorio, ecc.. non sono accostabili neanche
lontanamente (se non per fantasia) alla situazione che lei, caro
professore, denuncia nel suo scritto, come fa notare sant’Alfonso Maria
de Liguori, Dottore della Chiesa, nel suo mirabile «Verità della fede», parte III, cap. X, 20,ss.,
testo che «Obscura insuper dilucidavit dubiaque declaravit, cum inter
implexas theologorum sive laxiores sive rigidiores sententias tutam
straverit viam, per quam Christi fidelium moderatores inoffenso pede
incedere possent»[28].
Posto che
Giovanni XXII, pur avendo proferito eresia (materiale) in omelie e
dissertazione, restò Papa poiché accettò che una commissione
CARDINALIZIA analizzasse il caso e si esprimesse, dietro sollecitazione
del re Filippo VI di Francia, il quale domandò a sua volta un esame
dall’Inquisizione alla Chiesa stessa. Ne derivò che il Pontefice restò
tale, quindi non perse la Potestà di giurisdizione. Successivamente
ritrattò con la bolla «Ne super his» (datata 3 dicembre 1334), pur
degente nel letto di morte.
LE VARIE VIE?
Gentile e
stimato professore, le domando (senza alcuna ironia), lei come crederà
di vivere questo suo invito pubblico: «Chi ama la Chiesa la difenda, per
affrettare il trionfo del Cuore Immacolato di Maria»?
1) Forse all’uso della teologia gherardiniana[29], che, nella piena emulazione del Congar[30], insegna: «Troppo spesso, però, si fa dello strumento [il Magistero, NdA] un valore a sé e si fa appello ad esso [al Magistero, NdA] per troncare sul nascere ogni discussione, come se esso [il Magistero, NdA]
fosse al di sopra della Chiesa e come se davanti a sé non avesse la
mole enorme della Tradizione da accoglier interpretar e ritrasmettere
nella sua integrità e fedeltà. E proprio qui s’evidenziano quei limiti
che lo salvaguardano dal pericolo dell’elefantiasi e dalla tentazione
assolutistica». Contesto la proposizione, poiché questa può essere il
preludio al relativismo dogmatico (approfondimenti in nota [31]).
In verità «la mole enorme della Tradizione» è già «accolta,
interpretata e ritrasmessa nella sua integrità e fedeltà» proprio dal
Magistero e, come insegna la Chiesa, qualora - e solo se allora -
dovessero sorgere «discussioni» attorno a questioni di «integrità e
fedeltà» della dottrina già definita, è solamente perché qualcuno vuol
rifiutare parimenti sia il Magistero che la Tradizione, poiché il primo
già acclude la seconda. Ecco perché la «Humani generis», Lettera Enciclica di Papa Pio XII, del 12 agosto 1950: «[…] Quanto
viene esposto nelle Encicliche dei Sommi Pontefici circa il carattere e
la costituzione della Chiesa, viene da certuni, di proposito e
abitualmente, trascurato con lo scopo di far prevalere un concetto vago
che essi dicono preso dagli antichi Padri, specialmente greci. I
Pontefici infatti - essi vanno dicendo - non intendono dare un giudizio
sulle questioni che sono oggetto di disputa tra i teologi; è quindi
necessario ritornare alle fonti primitive, e con gli scritti degli
antichi si devono spiegare le costituzioni e i decreti del Magistero. Queste
affermazioni vengono fatte forse con eleganza di stile; però esse non
mancano di falsità. Infatti è vero che generalmente i Pontefici lasciano
liberi i teologi in quelle questioni che, in vario senso, sono soggette
a discussioni fra i dotti di miglior fama; però la storia insegna che
parecchie questioni, che prima erano oggetto di libera disputa, in
seguito non potevano più essere discusse». Inoltre la filosofia deve sottomettersi all’autorità[32];
2) Forse all’uso della teologia detta volgarmente lefebriana[33],
che, pur riconoscendo piena autorità a Pontefice e Gerarchia attuali
[ed ai predecessori a partire da Montini (Paolo VI)], considera il Papa
un eretico/scismatico[34], considera l’ecumenico Concilio Vaticano [II] promulgatore di nuovi dogmi contrari a quelli della Chiesa[35],
considera fallibili le definizioni di Magistero ordinario e le
prescrizioni di Diritto divino contenute nel Codex Juris Canonici (qui
un esempio grottesco), le canonizzazioni, le promulgazioni universali di culto che si deve a Dio, ecc… (approfondimenti e confronti con il Magistero della Chiesa). Per capire l’illogicità di questa posizione basta aprire anche solo un dizionario di teologia e confrontare le voci Chiesa, Infallibilità, Magistero, san Pietro, Verità e Virtù con le voci Eresia, Errore, Lutero, Peccato, Vizio e Scisma.
Con tutto il bene che possa personalmente volere a molti sacerdoti e
fedeli della FSSPX; con tutto il rispetto che si deve alla rumorosa e
determinante denuncia di mons. Lefebvre presso il Concilio, la
Pallavicini ed altrove; con tutta la gratitudine che si deve anche (ed
in parte) a mons. Lefebvre per aver presumibilmente salvato la
successione; con tutta la bontà e la buona volontà possibili ... mi
risulta tuttavia impossibile collimare le verità di fede rivelata e definita e di fede implicitamente rivelata e definita
con la posizione teologica qui brevemente accennata e rimandata allo
studio approfondito delle note e dei link. Aggiungo che questa è una mia
personale riflessione che non rispecchia quella di Radio Spada nella
sua totalità. Radio Spada ospita pluralità di opinioni e gradisce
repliche.
3) Forse all’uso della teologia del fallibilismo pastorale, che, ignorando la «Orientalis Ecclesiæ»[36] di Pio XII e finanche la definizione e la finalità stessa di teologia pastorale[37],
fa finta di non conoscere nemmeno san Giacomo, quando dice «Apud quem
non est transmutatio, nec vicissitudinis obumbratio», traduco e completo
«Non andate fuori strada, fratelli miei carissimi; ogni buon regalo e
ogni dono perfetto viene dall’alto e discende dal Padre della luce, nel
quale non c’è variazione né ombra di cambiamento»[38]; attribuisce fallibilità alla teologia pratica, all’azione.
Eppure la vera «teologia pastorale», ossia quella della Chiesa
cattolica, NON sacrifica affatto l’«oggetto materiale della fede»
altrimenti saremmo perduti, non avremmo più il «buon pastore», il quale
ci edifica. Il Billot[39], commentando Scrittura e Magistero, riassume in tre parti l’«oggetto materiale della fede»: a) Oggetto primario: Dio stesso; b) Oggetto secondario: le verità intorno alla fede o ai costumi che servono per la nostra edificazione e santificazione; c) Oggetto accidentale: ciò che accompagna la Rivelazione, senza che abbia direttamente una connessione con la cristiana edificazione[40]. Immaginiamoci un san Paolo con le sue lettere pastorali, ma eretiche! È fantateologia;
4) Forse all’uso della teologia ratzingeriana[41], che, scartando l’«Auctorem Fidei»[42]
di Pio VI, arriva a sostenere che «[…] se noi siamo in grado di leggere
e interpretare il suo messaggio [del Concilio Vaticano (II), NdA]
all’interno della tradizione della Chiesa e nel solco del suo magistero
[…] il Concilio si rivelerà anche ai giorni nostri una grande forza per
il futuro della Chiesa». Solco della tradizione? Interpretare il
Magistero? Stando a N.S.G.C., a tutti i Pontefici da san Pietro fino a
Pio XII, alla retta ragione, al dizionario della lingua italiana[43],
ecc... la docenza della Chiesa (o Magistero solenne, universale e
ordinario, ecc...) non necessita (e non deve necessitare) di alcuna
interpretazione, poiché è essa stessa che già interpreta e comunica la
Tradizione (o Depositum Fidei) alla Chiesa discente. Sostenere
che bisogna interpretare le parole della Chiesa e del Papa in linea
tradizionale è teologicamente sconclusionato (dato l'esempio citato),
non ha alcuna base né nella Rivelazione e né nel dogma detto implicitamente rivelato. Il Magistero è definito tale (es. Tt. 1,9) proprio perché differisce dall’opinione (Cf. Gal. 1,8) e ne impedisce il contrario (Cf. 2Tm.
4,1-5). Chi dovrebbe dire al fedele cosa è giusto e cosa è sbagliato se
non la Chiesa, dunque il Papa? La Chiesa discente, inoltre, non ha
alcun diritto di interpretazione, ma solo di comparazione. E che fine fa
la guida sicura se si avalla l'arbitrio interpretativo? Dice san Paolo:
«[...] casa di Dio, che è la Chiesa del Dio vivente, colonna e sostegno
della verità» (1Tm. 3,15; Cf. 1Pt. 2,4-9; Colonna e sostegno - o base
- ovverosia infallibile e visibile, che si innalza in alto alla vista
di tutti, commenta mons. Garofalo). In san Matteo si legge: «Se poi non
ascolterà neppure costoro, dillo alla Chiesa» (18,17) (PS: nella
versione conciliare «Chiesa» diventa «assemblea» nella riduttiva accezione veterotestamentaria).
L’esposizione usata dai Padri del Concilio Vaticano [II], probabilmente
al pari di quella usata nel Sinodo di Pistoia, lascia un margine di
interpretazione molto ampio, ed è proprio questo il problema: «Se questa
involuta e fallace maniera di dissertare è viziosa in qualsiasi
manifestazione oratoria, in nessun modo è da praticare in un Sinodo, il
cui primo merito deve consistere nell’adottare nell’insegnamento
un’espressione talmente chiara e limpida che non lasci spazio al
pericolo di contrasti [alias interpretazioni, NdA]». Con
questa espressione Pio VI condannava le proposizioni perniciose del
Sinodo e «l’arte maliziosa propria degli innovatori, i quali, temendo di
offendere le orecchie dei cattolici, si adoperano per coprire sotto
fraudolenti giri di parole i lacci delle loro astuzie, affinché
l’errore, nascosto fra senso e senso (Cf. san Leone M., Lettera 129
dell’edizione Baller), s’insinui negli animi più facilmente e avvenga
che - alterata la verità della sentenza per mezzo di una brevissima
aggiunta o variante - la testimonianza che doveva portare la salute, a
seguito di una certa sottile modifica, conduca alla morte».
COSA CI RIMANE?
Esclusa presumibilmente da lei stesso, gentile prof. De Mattei, (e credo anche dalla retta ragione - antisentimentalista) l’opzione JM. Bergoglio (Francesco), ed escluse dal Magistero le altre, cosa ci rimane? O la posizione di mons. Sanborn o quella di mons. Pivarunas (che sono rispettivamente tesista e sedevacantista, contro ogni conclavismo)
ed altri vescovi che hanno le medesime posizioni. Con tutto ciò che ne
consegue, sapendo certamente che «[…] non importa se si è talvolta
protratta per mesi ed anche per anni l’elezione di un nuovo Papa, o se
sorsero antipapi; l’intervallo non distrugge la successione, perché
allora il clero ed il corpo dei vescovi sussiste tuttavia nella Chiesa,
con intenzione di dare un successore al defunto Pontefice non appena le
circostanze lo permettano»[44].
Gentile
professor De Mattei, anzitutto grazie per l'attenzione; è palesemente
chiaro che se mi sono permesso di scriverle questa pubblica lettera, è
perché la ritengo un punto di riferimento, una voce importante, una
cassa di risonanza così utile alla causa che da ogni sua parola o posizione probabilmente possono dipendere le scelte di molte altre anime.
Distinti saluti. San Michele la protegga.
PS: Chiedo
la cortesia al lettore di valutare questo scritto rispettando anche il
Comandamento VIII adeguatamente commentato, spesso dimenticato. Sono
gradite repliche, meglio se in numero elevato! Ogni replica sarà presa
in considerazione, e ci saranno speculazioni, solamente se supportata da
Magistero, poiché l’argomento esclude - di suo - i personalismi,
le presunte veggenze e le invenzioni di fantasia. Io credo di non aver
inventato, quantomeno ho pregato, studiato e domandato a Dio di farmi
onorale il Suo santo Nome. Ogni correzione è ben gradita.
Pubblicazione a cura di Carlo Di Pietro (clicca qui per leggere altri studi pubblicati)
Riproduzione Riservata (C) 2014 Edizioni Radio Spada per lo scritto - Edizioni EffediEffe per le citazioni tratte da APOLOGIA DEL PAPATO
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