ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

venerdì 21 febbraio 2014

Mala tempora

due-papi(di Paolo Pasqualucci) Mi propongo di approfondire alcuni fra i temi illustrati dall’importante e coraggioso articolo Motus in fine velocior del prof. Roberto de Mattei, che condivido in pieno.  Il  merito principale di quest’articolo, a mio avviso, è quello di inquadrare l’attuale crisi della Chiesa nella prospettiva teologica ed escatologica che le compete.  Cosa che nessuno si è finora azzardato a fare. 
Confusione accoppiata a tendenze distruttive.   Le inaspettate e sconcertanti dimissioni di Benedetto XVI, seguite dall’elezione al Sacro Soglio di un Pontefice “teólogo popular”, e dalla straordinaria istituzione della figura del “Papa emerito” pensionato in Vaticano, ha mostrato, oltre ad una situazione di caos, un’improvvisa “accelerazione del tempo, conseguenza di un movimento che si sta facendo vertiginoso.  Viviamo un’ora storica che non è necessariamente la fine dei tempi, ma è certamente il tramonto di una civiltà e la fine di un’epoca nella vita della Chiesa”.  Parole forti ma assolutamente pertinenti.   Il carattere “vertiginoso” del movimento da cosa risulta?  Da una duplice connessione.  Da un lato l’aumentare improvviso della confusione che (dall’inizio del Vaticano II) affligge la Chiesa; dall’altro il consolidarsi improvviso di una  tendenza distruttiva che mira apertamente e decisamente al cuore del dogma e della morale cristiana.  Questa tendenza ha assunto di colpo il volto e l’eloquio aggressivi del cardinale honduregno Oscar Maradiaga, con le sue ormai celebri dichiarazioni contro il neocardinale Gerhard Müller, Prefetto della Congregazione per la Dottina della Fede.  La confusione è stata poi ulteriormente accresciuta da certe ambigue dichiarazioni del Papa, come quella famosissima sull’omosessuale in cerca di Dio che lui, il Pontefice, “non si sente di giudicare” (quando avrebbe dovuto dire, invece, che, proprio come Papa giudicava ossia condannava fermissimamente il suo grave peccato ma non il peccatore, invitandolo, in nome della misericordia divina che viene in soccorso di tutti quelli che si pentono, alla conversione e al mutamento di vita).
Tendenza distruttiva dunque, dato che essa vuole far accettare alla Chiesa il modo di vivere peccaminoso ed anticristiano del Secolo, affermando che, con l’elezione di Papa Francesco, si sarebbe addirittura aperta una “nuova èra”, caratterizzata per l’appunto in primo luogo dalle “aperture” cui quella tendenza aspira.  E se così fosse, allora bisognerebbe concluderne che la supposta “nuova èra” è quella dell’Anticristo in persona.  Sappiamo che l’accelerazione che si produce in certi momenti cruciali del processo storico appare all’improvviso ma rappresenta in realtà la maturazione di tendenze e di forze già ben presenti e all’opera da tempo.  E nemmeno in modo tanto discreto.  Ciò che ha detto il cardinale Maradiaga l’aveva già detto il defunto cardinale Carlo Maria Martini, gesuita, quello che si metteva “in ascolto dei non-credenti” invece di cercare di convertirli a Cristo, e  negli ultimi tempi della sua vita sragionava gridando che la Chiesa era rimasta indietro di circa 200 anni sul mondo moderno [sic], ragion per cui avrebbe dovuto finalmente aprirsi al riconoscimento dei costumi e della mentalità di questo mondo.  Insomma:  fare esattamente il contrario di ciò che hanno insegnato Nostro Signore e gli Apostoli (“voi siete nel mondo ma non del mondo”; “il mondo è il regno del Principe di questo mondo”; “fuggite il mondo e le sue concupiscenze” etc.).   E concetti simili a quelli propagandati da Martini non li troviamo, prima di lui, nella nebulosa teologia di Karl Rahner, gesuita anche lui, uno dei padri spirituali dei testi finali del Vaticano II?  E non troviamo in quei testi, di contro a tutto l’insegnamento del Magistero pre-conciliare, le aperture al femminismo e all’educazione sessuale pubblica “per i giovani”, naturalmente “prudente”?  Aperture delle quali hanno fatto notoriamente buon uso l’aitante Schillebeeckx ed i suoi sodali fiamminghi, nella loro opera di distruzione del cattolicesimo in Olanda e Belgio, coronata come sappiamo da grande successo, tant’è vero che a Bruxelles, cuore della cosiddetta Unione Europea, il nome più diffuso tra i giovani è oggi “Muhammad” (Maometto) mentre chiese e conventi ormai vuoti si svendono a centinaia. 
Il cardinale Maradiaga predica contro la morale cristiana, cioè contro Cristo.  Tendenza distruttiva della fede, dunque, e della retta dottrina e pastorale.  In quale altro modo si può definire l’azione di un principe della Chiesa che attacca all’improvviso e in modo persino arrogante i difensori ufficiali della dottrina della Chiesa, incitandoli a far presto a cambiare mentalità, ad adeguarsi, perché si devono trovare “soluzioni pastorali” per il modo di vivere dell’uomo contemporaneo, notoriamente in preda alle peggiori aberrazioni?  Naturalmente, ci viene a dire il porporato, le soluzioni pastorali “nuove” non intaccherebbero mai la dottrina, che non si tocca.  Quante volte abbiamo sentito ripetere questo ritornello, dal “pastorale” Concilio ecumenico Vaticano II in poi, per giustificare ogni sorta di deviazione dottrinale e pastorale?  Ma valga il vero:  una pastorale “nuova”, che contraddica apertamente la dottrina ossia il deposito della fede, considerandosi essa stessa “dottrina” (come nota il prof. de Mattei) è la pastorale di una dottrina “altra”, che non è e non può essere quella cattolica.  Nostro Signore e gli Apostoli hanno detto e ripetuto che “gli adulteri e i fornicatori” non vedranno il Regno di Dio.  Se ne andranno, invece, “in perdizione” ossia alla dannazione eterna, perché non si può prendere in giro Dio e pretendere che Egli non sappia o non voglia esercitare la giustizia da Lui stesso stabilita e a noi rivelata sin nei particolari da Gesù Cristo Nostro Signore.  Verso costoro, l’azione della Chiesa, ad imitazione di Cristo e degli Apostoli, è sempre stata quella di condannare in primo luogo e nel modo più fermo il loro peccato (perché il peccato, quale che sia, va sempre condannato in quanto tale e senza distinguo), proprio per poterli in tal modo indurre all’opera della conversione e salvezza della loro anima.  La condanna del peccato è la prima opera della divina Misericordia, si è sempre detto, poiché essa mette il peccatore di fronte alle sue responsabilità; lo scuote, lo mette di fronte a se stesso e a Dio, lo instrada verso la Grazia, che gli farà vedere tutto l’orrore del peccato (e finché non lo vedrà, quest’orrore, non potrà liberarsi dal peccato e non riuscirà a resistere alle tentazioni).  Solo sulla base di questa condanna è  dunque possibile iniziare l’opera della  conversione del peccatore.
 Ma se coloro che dovrebbero condannare il peccato e convertire il peccatore, invece mostrano di approvare il peccato e non si curano minimamente di convertire il peccatore, e per di più esortano tutti gli altri sacerdoti a fare lo stesso, allora…?  Ma il cardinale Maradiaga ha approvato esplicitamente il peccato dei divorziati risposati, delle coppie di fatto, delle coppie omosessuali, dei rapporti prematrimoniali, dello stile lascivo di vita di gran parte della nostra gioventù?  No, come avrebbe potuto? Tuttavia l’ha approvato implicitamente già con il dire che la Chiesa deve trovare una pastorale che in qualche modo riconosca queste situazioni ormai diffuse, che soddisfi la pretesa di costoro (arrogante e persino blasfema) di ricevere Sacramenti come la Comunione, pur mantenendosi nella loro condizione di peccato!  Così la pastorale della Chiesa cattolica, fondata da Nostro Signore Gesù Cristo per custodire ed insegnare a tutti le verità da Lui rivelate, dovrebbe piegarsi alle richieste di pubblici peccatori  di ogni tipo e mettersi addirittura alla loro scuola!
L’abominio della desolazione nel luogo santo.  Di fronte ad una “pastorale” del genere, come non pensare alla famosa frase della profezia di Daniele, citata anche da Nostro Signore, quando predisse il castigo che si sarebbe abbattuto su Gerusalemme che l’aveva rigettato e tradito e profetizzò sugli ultimi tempi?  “Quando adunque vedrete l’abominazione della desolazione predetta dal profeta Daniele, posta nel luogo santo – comprenda chi legge – allora quelli che saranno nella Giudea fuggano ai monti…”(Mt 24, 15-16).   Non è forse spettacolo “abominevole” vedere un cardinale proporre una “pastorale” che sembra addirittura venire dal Maligno, poiché esige che i sacerdoti riconoscano evidenti situazioni di peccato quali modi di vita che meritano in quanto tali rispetto e tutela da parte della Santa Chiesa?  La “predicazione” di una “pastorale” che provoca la “desolazione del luogo santo”:  ovvero, come della retta dottrina e della retta pastorale si stia facendo un luogo desolato, una rovina completa.
E come non temere che il castigo divino, per altri aspetti già all’opera da tempo, colpisca la Santa Chiesa, allo stesso modo in cui ha colpito l’apostasia di Israele nei confronti del  Messia, che i capi del popolo consegnarono ai Romani, dopo un processo irregolare, facendolo condannare a morte con false accuse, per sostenere le quali mentirono e bestemmiarono, affermando di “non avere altro Dio che Cesare” (Gv 19, 12-15)?   Stia attento il cardinale Maradiaga e lo stiano tutti quelli che  nella Gerarchia lo seguono, non si scherza con il vero Dio, Uno e Trino.  Tanto più giustamente si abbatte la sua ira sui sacerdoti che tradiscono la loro missione, prostituendo la vera e santa dottrina alle ignominie del Secolo.
“Quando Io dirò all’empio:  tu morrai! se tu non lo ammonisci, e non lo avverti di abbandonare la sua via perversa, affinché possa vivere, egli morrà nella sua iniquità; ma del sangue di lui io chiederò conto a te.  Se invece tu avrai ammonito l’empio ed egli non si sarà convertito dal male e dalla sua via perversa, egli morrà nella sua iniquità, ma tu avrai salvato te stesso” (Ez., 3, 18-19).
Per i traditori della fede non vi è  misericordia, da parte di Dio.
“Poiché, se noi cadiamo nel peccato [di apostasia] volontariamente, dopo aver ricevuto la piena conoscenza della verità, non rimane più alcun sacrificio [di espiazione e misericordia] per tali peccati, ma solo l’attesa angosciosa del giudizio e la vampa del fuoco [infernale], che consumerà i ribelli (Eb 10, 26-27)”. 
  Come ha giustamente rilevato il prof. de Mattei, la direzione nella quale va la cosiddetta pastorale della nuova èra professata dal cardinale Maradiaga, “è una strada verso lo scisma e l’eresia, perché si negherebbe la fede divina e naturale che nei suoi comandamenti non solo afferma l’indissolubilità del matrimonio, ma proibisce gli atti sessuali al di fuori di esso, tanto più se commessi contro natura.  La Chiesa accoglie tutti coloro che si pentono dei propri errori e peccati e si propongono di uscire dalla situazione di disordine morale in cui si trovano, ma non può legittimare, in alcun modo, lo status di peccatore”.   “Scisma ed eresia” :  parole forti, anche qui, ma più che giuste.  Una Gerarchia che imponesse questa nuova “pastorale”, diventerebbe ipso facto eretica e quindi scismatica,  si separerebbe di fatto dalla vera Chiesa.  E legittimare lo “status di peccatore” concedendo l’uso di Sacramenti come la Comunione a pubblici e non pentiti peccatori o inventando cavilli giuridici per far dichiarare nullo un matrimonio cattolico validamente celebrato, sì da legittimare le seconde nozze dei divorziati, tutto ciò non costituirebbe per un sacerdote un’apostasia implicita dalla vera fede?
L’accanimento persecutorio di omosessuali e femministe.  La sensazione angosciosa di un’accelerazione improvvisa ed inarrestabile verso il castigo e la catastrofe di intere società e nazioni, si ricava anche dall’azione sempre più aggressiva, arrogante e persecutoria dei movimenti omosessuali e femministi, i quali, pur essendo i costumi viziosi dei loro adepti al presente ampiamente tollerati dalla società, premono accanitamente per imporre leggi infami come quella (già diffusa in Europa) sulla “omofobia”; leggi che si fondano su documenti demenziali come il recente (per l’Italia) “manuale” ministeriale di “Linee-guida per un’informazione rispettosa delle persone  GLBT”, il cui assunto base è costituito dall’idea pazzesca che la differenza dei sessi non esiste in natura perché sarebbe un prodotto della società, della “cultura”!  Ci sono poi già operanti leggi discriminatorie e persecutorie nei confronti degli uomini, quali il sistema di privilegi noto come “quote rosa” o la recente normativa sul cosiddetto “femminicidio”, quasi  certi reati di sangue dei quali sono vittime in prevalenza le donne non fossero mai stati puniti come si deve nel nostro paese in base alle leggi anteriori!  E se qualcuno fa notare alle femministe che le loro statistiche sul supposto sterminio delle donne per delitti passionali non corrispondono al vero, esse rispondono che l’obiettivo di queste leggi è quello di impedire del tutto e per sempre che ci siano omicidi di donne!  Lo scopo che si vuole raggiungere con queste leggi e decreti connessi è sempre lo stesso: penalizzare il sesso maschile, colpevole di esistere; ostacolare al massimo i rapporti naturali tra uomini e donne; introdursi il più possible nella vita della famiglia secondo natura, per finalità “politicamente corrette”.  Le femministe sono anche riuscite ad imporre il rovesciamento dell’onere della prova, calpestando così un plurisecolare  e fondamentale principio giuridico,  nella nuova normativa (di qualche anno fa) in tema di abusi e molestie sessuali:  adesso la prova non la deve più fornire chi accusa ma chi si difende.  Tra omosessuali e femministe la differenza è relativa. L’ideologia femminista è intrinsecamente omosessuale: si basa sull’odio del maschio e dell’uomo; il disprezzo della maternità e del matrimonio, della famiglia; mira a pervertire in tutti i sensi i rapporti naturali tra i sessi, proclamando il diritto alla più totale libertà sessuale (Come faceva dire un autore tedesco del Novecento al marchese De Sade in un immaginario dialogo con Marat:  “A che scopo, Marat, la rivoluzione se poi non c’è la fornicazione universale?”).  
Le organizzazioni che rappresentano questi due “movimenti” sembrano attualmente possedute da un impulso irrefrenabile a imporre la loro depravata visione del mondo alla società; da una satanica volontà di dominio, al punto da porsi come una forza che mira ad acquistare un peso rilevante nella politica mondiale!   Il loro atteggiamento è sempre più quello di chi non tollera opposizione né discussione, pronto sempre ad offendere, ad insultare; come se fossero portatrici del messaggio di una nuova Era, da far valere ad ogni costo, sì da imporlo con leggi scandalose, che per di più infieriscono su chi dissente con sanzioni spropositate, che danno tutta la misura dei sentimenti d’odio che le ispirano.  “È inevitabile che avvengano scandali, ma guai a colui per colpa del quale avvengono!”(Lc 17, 1). Una simile corsa verso l’abisso, Dio onnipotente può averla permessa perché vuole (evidentemente) che la corruzione del Secolo ateo e miscredente e della Gerarchia cattolica maculata d’apostasia tocchino il fondo; che tutto il marciume scoppi e venga alla superficie; che avvengano infine tutti gli scandali necessari affinché la sua Giustizia possa abbattersi sugli empi con tutta la sua potenza ed i servi fedeli possano invece guadagnarsi la vita eterna, temprandosi nelle persecuzioni e nella lotta per l’onore e la gloria del vero Dio, Uno e Trino.        
L’assalto omosessualista e femminista non avrebbe mai potuto aver luogo senza la complicità di classi politiche che hanno evidentemente smarrito il ben dell’intelletto e sembrano addirittura promuovere la corruzione dei costumi dei loro popoli, senza curarsi affatto del pericolo di estinzioneche, in tal modo, incombe sempre più su di essi.  Non è accettando e promuovendo il divorzio, l’aborto, il libertinaggio, le libere convivenze,  il controllo delle nascite, l’omosessualità e il femminismo che si mantengono i popoli in salute, fisica e morale.  Né avrebbe potuto aver luogo, questo assalto, senza il silenzio complice della Gerarchia cattolica attuale, quando non esplicitamente complice, come nel caso di cardinali  quali Martini o Maradiaga.  Solo Papa Ratzinger ha avuto il coraggio di opporsi alla melma dilagante.  Ma la pulizia da lui iniziata nel clero non è stata sufficientemente incisiva, sia perché non poteva colpire in alto sia perché  quasi sicuramente ostacolata da resistenze, che possono poi aver addirittura contribuito alla sua successiva abdicazione.  E cosa resta adesso, nella “pastorale” attuale, della sua denuncia del “relativismo” dei valori dominante nel Secolo, della sua condanna (purtroppo non trasfusa in pronunce magisterialmente vincolanti) dell’omosessualismo, della “filosofia di genere” e simili cose?  
L’emarginazione e la persecuzione dei sacerdoti fedeli alla Tradizione della Chiesa.  Altro segno angoscioso dell’accelerazione dei tempi verso l’ora della Giustizia divina, è sicuramente costituito dalla chiusura rapida e chirurgica della notevole apertura effettuata da Benedetto XVI nei confronti dei cattolici rimasti fedeli alla Tradizione della Chiesa, in particolare per ciò che riguarda la liturgia.  E la sollecita emarginazione di quei cardinali dal taglio “conservatore” che Papa Ratzinger aveva voluto a capo di importanti dicasteri romani (Piacenza, Burke). 
Il prof. de Mattei non si spiega per qual motivo si sia voluto dissolvere un ordine fiorente come quello dei Francescani dell’Immacolata, ricco di belle vocazioni maschili e femminili.  “Oggi soffrono la decadenza tutti gli ordini religiosi e se tra questi uno ne appare ricco di promesse, viene inspiegabilmente soppresso.  Il caso dei Francescani dell’Immacolata, esploso a partire da luglio, ha portato alla luce una evidente contraddizione tra i continui richiami  di Papa Francesco alla misericordia e il bastone assegnato al commissario Fidenzio Volpi per annichilire uno dei pochi istituti religiosi oggi fiorenti”.  Inspiegabilmente, si capisce, dal  punto di vista di chi ha a cuore soprattutto il bene della Chiesa, non di chi vuole sviluppare sino in fondo le novità rivoluzionarie del Vaticano II, costi quel che costi.
Dal punto di vista della Gerarchia “ecumenista” attuale, i Francescani dell’Immacolata hanno commesso due peccati molto gravi, irreparabili:  dimostrato un’amplissima preferenza per la Messa di rito romano antico, sdoganata da Benedetto XVI; impostato nelle loro pubblicazioni una revisione critica, anche se moderata e rispettosa, del Concilio Vaticano II, in particolare su impulso di Padre Serafino Lanzetta, figura emergente di giovane e preparato studioso cattolico.  In questi ultimi anni, sulla spinta delle opere meritorie e fondamentali di Mons. Brunero Gherardini, che hanno iniziato una vasta revisione critica del Vaticano II se non di demolizione per alcuni aspetti (l’illustre teologo ha dimostrato, per esempio, che il concetto di “tradizione vivente” penetrato nei testi del Concilio non concorda affatto con quello di Tradizione sempre sostenuto dalla Chiesa), sembrava si stesse sviluppando un gruppo qualificato di studiosi e critici del Concilio proprio attorno alla figura di Padre Serafino Lanzetta, gruppo sorretto dalle belle iniziative editoriali dei Francescani dell’Immacolata.
Bisognava evidentemente intervenire e con la necessaria energia.  Bisognava stroncare sul nascere sia il diffondersi del ritorno alla Messa tradizionale, quella sicuramente cattolica; sia lo sbocciare, sia pure ancora modesto e di taglio sostanzialmente accademico, di una critica al Concilio dall’interno della Gerarchia.  Nessuna confusione o incertezza, dunque:  con estrema rapidità e determinazione l’ordine è stato “disciplinato” e disperso nel modo che sappiamo.  Per la verità, la brutalità dell’operazione mi ricorda le modalità di quella messa in atto nel maggio del  1975  contro il Seminario di Écône della Fraternità Sacerdotale San Pio X, regnante Paolo VI, che fallì perché dovette misurarsi con un vescovo e della tempra di Mons. Marcel Lefebvre, il quale ingaggiò una dura battaglia giuridica con l’apparato romano e alla fine si rifiutò giustamente di obbedire all’ordine illegittimo, viziato da una procedura gravemente irregolare.   Nella triste  vicenda dei Francescani, colpisce, tra le altre cose, e proprio come segno particolarmente infausto dei tempi, il divieto impartito ai francescani di celebrare la Messa di rito romano antico.  Secondo me questo divieto, se imposto in modo formale, è illegittimo e costituisce un abuso di potere perché nemmeno il Papa può proibire ad un sacerdote (e con quale motivazione?) di celebrare una Messa consacrata da tutta la tradizione liturgica della Chiesa, il cui canone risale addirittura ai tempi apostolici, e che non è mai stata abrogata né avrebbe potuto esserlo. Se invece il divieto è stato imposto solo di fatto, di sua iniziativa dal Commissario Padre Volpi, l’abuso di potere risulterebbe in modo ancor più evidente:  se il Papa non ha il potere di proibire la celebrazione di quella Messa tantomeno ce l’ha il Padre Volpi.  Oltre a quest’aspetto giuridico, da non sottovalutare ai fini di una legittima resistenza all’azione illegittima dell’autorità (che io spero i Francescani vorranno prima o poi intraprendere, se continuerà l’ingiusta loro repressione), appare  grave l’evidente ostilità dimostrata finora dal presente Pontificato nei confronti della Messa tradizionale.  Nemmeno Paolo VI aveva osato proibirne espressamente la celebrazione.  Quest’ostilità, se sarà mantenuta, apporterà le più gravi sciagure alla Chiesa.
Il cavallo rosso.  Questi sono dunque  “i segni dei tempi.  Forse dunque della “fine dei tempi”?  Verrebbe da pensarlo, guardando alla corruzione generale e in particolare a quella diffusasi nella Chiesa visibile.   Non si può negare che stiamo vivendo “nel tramonto di una civiltà” e “nella fine di un’epoca della Chiesa”.  In un’epoca del genere, ognuno deve più che mai assumersi le sue responsabilità, questo è il positivo auspicio finale dell’articolo, se si vuole che il braccio dell’ira divina non si abbatta implacabilmente su tutti noi e in particolare sulla Chiesa.  La visione del famoso cosiddetto Terzo Segreto di Fatima ci ha dato un’idea più che sufficiente di ciò che succederà, se non si smetterà di offendere Dio in questo modo atroce.  “Se al chiudersi di quest’epoca il clero e il laicato cattolico non assumeranno fino in fondo le loro responsabilità, si avvererà inevitabilmente il destino che la veggente di Fatima ha visto svelarsi davanti ai propri occhi […]”.  Quella drammatica visione “dovrebbe essere più che sufficiente per spingerci a meditare, pregare ed agire.  La città è già in rovina e i soldati nemici sono alle porte.  Chi ama la Chiesa la difenda, per affrettare il trionfo del Cuore Immacolato di Maria”.  Quest’esortazione non è rivolta solo ai fedeli.  Lo è anche e soprattutto al clero, la cui invisibilità è diventata quasi leggendaria.  Dove sono “i settemila uomini che non hanno piegato il ginocchio di fronte a Baal?” (Elia, in Rm 11,4)?  Di sicuro ci sono, sono tra noi.  Preghiamo affinché il Signore si degni di farli uscire allo scoperto.  Oltre a pregare e meditare, l’articolo ci incita dunque  all’azione.  
 Agire significa battersi, con le parole e gli scritti, sorretti dallo studio.  Significa anche usare la forza per difendersi da un nemico sempre più aggressivo e feroce.  L’antica massima del diritto romano, sempre considerata alla stregua di una norma di diritto delle genti o naturale, non diceva forse che “è lecito respingere la forza con la forza?”.  Vim vi repellere licet, dunque.  E non avrebbero bisogno di addestramento militare e armi per difendersi i cristiani della Nigeria nordorientale, da anni regolarmente massacrati dai maomettani fanatici?  Di armi per organizzare la loro legittima difesa, non di chiacchiere  prive di senso sulla bellezza e l’importanza del “dialogo” interreligioso per la pace tra i popoli.  Ci dobbiamo battere per difenderci dal nemico esterno ed interno.  Quello interno, occidentale, europeo (dell’Unione Europea), americano (del presente governo americano), sta affilando da tempo le armi di una persecuzione che si annuncia vasta e sistematica, e che sarà sicuramente crudele come tutte le vere persecuzioni.  Il suo ferro di lancia (lo si è ormai capito) sarà rappresentato dai movimenti omosessualisti e femministi, oggi al cuore del fronte ateo, miscredente e libertino:  sono loro oggi a coagulare  tutto l’odio del mondo per il vero Dio, Uno e Trino (“il mondo mi odia perché attesto di lui che le sue opere sono malvage[Gv 7, 7]”).  Ma la Gerarchia cattolica continua a trastullarsi nell’insana utopia di una nuova èra di pace e comprensione tra i popoli, che la Chiesa del “dialogo” e di tutte le “aperture” starebbe per procurare al mondo, in unione fraterna con tutte le religioni del mondo, con gli uomini e le donne di tutto il mondo.  Basterebbe eliminare il capitale finanziario e comincerebbe il Regno di Dio in terra…
Non si sono accorti, questi nostri pastori, persi nel delirio ecumenista, che da tempo il Cavallo Rossosta caracollando al nostro orizzonte.  Sì, il Cavallo Rosso della guerra e dello sterminio.  “Ed ecco, uscì un altro cavallo, rosso, e a colui che vi stava sopra fu dato il potere di togliere la pace dalla terra e di far sì che gli uomini si sgozzassero tra di loro, e gli fu consegnata una grande spada” (Ap 6, 4).  Il risultato di una pastorale ed una politica volte a realizzare l’utopia folle dell’unità del genere umano (e senza nemmeno tentare di convertirlo a Cristo) quale nuovo scopo della Chiesa (costituzione conciliare Lumen Gentium 1; costituzione Gaudium et spes 33-45; 62; 73 ss.), è stato solo quello di provocare l’autodistruzione del cattolicesimo, di favorire la dissoluzione delle nazioni europee e l’invasione di massa dell’islam.  Si sono in tal modo gettati ad abundantiam i semi  dei conflitti sociali, razziali e religiosi che sicuramente caratterizzeranno l’epoca, ormai alle porte, dei grandi disordini durante i quali dovrebbe finalmente consumarsi la crisi della Chiesa cattolica, annunciati dalle profezie private riconosciute, sin dai tempi di Santo Don Bosco.
Come non restare atterriti, di fronte a queste tremende prospettive di morte e distruzione?  Ma noi dobbiamo vincere la paura per le grandi prove imminenti e, come ci esorta sempre San Paolo, “stare allegri nel Signore”(Fil 3,1).   Allegri, dovendo vivere in mezzo ad uno sfacelo che fa presagire catastrofi, finanche nella natura?  Sì, in interiore letizia perché le parole di Nostro Signore non passano.  Passa invece la figura di questo mondo, che un giorno scomparirà per sempre, mentre vivrà in eterno nella Gloria di Dio chi si sarà conservato fedele al Signore.  Che importa vivere in tempo di pace o di guerra?  Morire nel proprio letto o uccisi in battaglia? Vivere una vita breve o lunga, essere ricchi o poveri?  Ciò che veramente conta è fare sempre la volontà di Dio sì da esser posti alla destra di Nostro Signore Gesù Cristo il Giorno del Giudizio.  Ciò che veramente conta, quindi, è l’esser sempre pronti a partire, sempre in condizione di farsi trovare in Grazia di Dio nel giorno della nostra morte.
“Abbiate sempre i fianchi cinti e le lucerne accese, e siate voi come gli uomini in attesa che il loro padrone ritorni dalle nozze, per potergli aprire, subito appena arriva, e bussa alla porta.  Beati quei servi, che il padrone, al suo ritorno, troverà vigilanti!  Io vi dico, in verità, che egli si cingerà, li farà mettere a tavola e si presenterà per servirli” (Lc 12, 35-37, corsivi miei).  [19.2.2014]. (di Paolo Pasqualucci)

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