Nell’intervista, la prima ad ampio raggio, data dal segretario di Stato vaticano Pietro Parolin a Stefania Falasca, su “Avvenire”
di domenica 9 febbraio, la risposta finale riguarda la “vexata
quaestio” se la gestione del rapporto con la politica italiana competa
alla segreteria di Stato o alla conferenza episcopale.
Il suo predecessore Tarcisio Bertone rivendicò a sé l’esclusiva, in una lettera del marzo del 2007 al neopresidente della CEI dell’epoca, Angelo Bagnasco.
E questi ribatté sfoderando a proprio sostegno gli articoli “ad hoc” del motu proprio di Giovanni Paolo II “Apostolos suos”.
Chi aveva ragione?
Nemmeno la storia ha finora dato una risposta risolutiva. Con Pio XII il grande tessitore dei rapporti con la politica italiana fu il sostituto segretario di Stato Giovanni Battista Montini, che continuò ad esserlo anche da papa. Mentre con Giovanni Paolo II fu il presidente della CEI Camillo Ruini.
Con sentenza salomonica, ecco come Parolin ha sciolto il dilemma:
“Un’indicazione forte è venuta da papa Francesco, il quale, ricevendo i vescovi italiani nel maggio scorso, ricordava, tra i compiti della Chiesa in Italia, il dialogo con le istituzioni culturali, sociali, politiche. Non ritengo, tuttavia, che tale indicazione significhi la negazione di un ruolo della Santa Sede e che nessuno – segreteria di Stato o CEI – debba o possa rivendicare in esclusiva i rapporti con la politica italiana. Si deve procedere in sinergia, nel rispetto delle rispettive competenze, come avviene negli altri paesi del mondo, attraverso le nunziature. La formula vincente è la collaborazione, attraverso la quale si potrà contribuire efficacemente al bene comune, che è l’aspirazione sincera della Chiesa nei confronti del paese. E non dimenticando mai che, come afferma il Concilio Vaticano II, l’animazione cristiana dell’ordine temporale è compito specifico dei laici”.
Buon sangue democristiano non mente. Parolin è originario della diocesi di Vicenza, per decenni la più bianca delle province bianche d’Italia, patria del leader “doroteo” Mariano Rumor, per cinque volte primo ministro. Ed è nato a Schiavon, dove ancora nel 1979, quando il futuro segretario di Stato era alla vigilia della sua prima messa, la DC raccoglieva l’81 per cento dei voti.
*
Nell’intervista, Parolin non dedica nemmeno una parola al virulento atto d’accusa scagliato pochi giorni prima contro la Santa Sede dal comitato dell’ONU sui diritti dei bambini.
Un silenzio diplomatico questo, sicuramente voluto per non agitare troppo le acque, già increspate dalla replica affidata al direttore della sala stampa vaticana Federico Lombardi.
Ma c’è anche un altro silenzio – anch’esso intenzionale – nelle risposte di Parolin. Ed è là dove l’intervistatrice gli chiede, a proposito della riforma della curia:
“Un ruolo rilevante sembra essere stato assunto dalle commissioni che hanno interpellato anche società di consulenza esterne. A quali criteri risponde e a quali obiettivi mira il contributo di questi organismi?”.
La risposta di Parolin è la seguente:
“Le commissioni sono due: la pontificia commissione referente di studio e di indirizzo sull’organizzazione della struttura economico-amministrativa della Santa Sede [a cui appartiene la strana coppia composta da mons. Lucio Vallejo Balda e da Francesca Immacolata Chaouqui – ndr], e la pontificia commissione referente sull’Istituto per le Opere di Religione. I loro ruoli e le loro funzioni sono quelli definiti a suo tempo nel documento con cui sono state istituite. Da parte mia, rilevo che tali commissioni hanno un mandato limitato nel tempo e un carattere ‘referente’, cioè la loro finalità consiste nel sottoporre al papa e al consiglio degli otto cardinali suggerimenti e proposte nell’ambito della loro competenza”.
Stop. Poche parole gelide, se non per ricordare che le due commissioni sono a tempo limitato e sono puramente “referenti”.
E silenzio assoluto, a dispetto della domanda, sulle “società di consulenza esterne” tipo Promontory, McKinsey, Ernst & Young, KPMG, Deloitte, PricewaterhouseCoopers, che in effetti sono uno degli aspetti più sconcertanti e costosi di questa fase di riassetto della curia romana.
http://magister.blogautore.espresso.repubblica.it/2014/02/09/parolin-salomonico-anzi-democristiano/
Il suo predecessore Tarcisio Bertone rivendicò a sé l’esclusiva, in una lettera del marzo del 2007 al neopresidente della CEI dell’epoca, Angelo Bagnasco.
E questi ribatté sfoderando a proprio sostegno gli articoli “ad hoc” del motu proprio di Giovanni Paolo II “Apostolos suos”.
Chi aveva ragione?
Nemmeno la storia ha finora dato una risposta risolutiva. Con Pio XII il grande tessitore dei rapporti con la politica italiana fu il sostituto segretario di Stato Giovanni Battista Montini, che continuò ad esserlo anche da papa. Mentre con Giovanni Paolo II fu il presidente della CEI Camillo Ruini.
Con sentenza salomonica, ecco come Parolin ha sciolto il dilemma:
“Un’indicazione forte è venuta da papa Francesco, il quale, ricevendo i vescovi italiani nel maggio scorso, ricordava, tra i compiti della Chiesa in Italia, il dialogo con le istituzioni culturali, sociali, politiche. Non ritengo, tuttavia, che tale indicazione significhi la negazione di un ruolo della Santa Sede e che nessuno – segreteria di Stato o CEI – debba o possa rivendicare in esclusiva i rapporti con la politica italiana. Si deve procedere in sinergia, nel rispetto delle rispettive competenze, come avviene negli altri paesi del mondo, attraverso le nunziature. La formula vincente è la collaborazione, attraverso la quale si potrà contribuire efficacemente al bene comune, che è l’aspirazione sincera della Chiesa nei confronti del paese. E non dimenticando mai che, come afferma il Concilio Vaticano II, l’animazione cristiana dell’ordine temporale è compito specifico dei laici”.
Buon sangue democristiano non mente. Parolin è originario della diocesi di Vicenza, per decenni la più bianca delle province bianche d’Italia, patria del leader “doroteo” Mariano Rumor, per cinque volte primo ministro. Ed è nato a Schiavon, dove ancora nel 1979, quando il futuro segretario di Stato era alla vigilia della sua prima messa, la DC raccoglieva l’81 per cento dei voti.
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Nell’intervista, Parolin non dedica nemmeno una parola al virulento atto d’accusa scagliato pochi giorni prima contro la Santa Sede dal comitato dell’ONU sui diritti dei bambini.
Un silenzio diplomatico questo, sicuramente voluto per non agitare troppo le acque, già increspate dalla replica affidata al direttore della sala stampa vaticana Federico Lombardi.
Ma c’è anche un altro silenzio – anch’esso intenzionale – nelle risposte di Parolin. Ed è là dove l’intervistatrice gli chiede, a proposito della riforma della curia:
“Un ruolo rilevante sembra essere stato assunto dalle commissioni che hanno interpellato anche società di consulenza esterne. A quali criteri risponde e a quali obiettivi mira il contributo di questi organismi?”.
La risposta di Parolin è la seguente:
“Le commissioni sono due: la pontificia commissione referente di studio e di indirizzo sull’organizzazione della struttura economico-amministrativa della Santa Sede [a cui appartiene la strana coppia composta da mons. Lucio Vallejo Balda e da Francesca Immacolata Chaouqui – ndr], e la pontificia commissione referente sull’Istituto per le Opere di Religione. I loro ruoli e le loro funzioni sono quelli definiti a suo tempo nel documento con cui sono state istituite. Da parte mia, rilevo che tali commissioni hanno un mandato limitato nel tempo e un carattere ‘referente’, cioè la loro finalità consiste nel sottoporre al papa e al consiglio degli otto cardinali suggerimenti e proposte nell’ambito della loro competenza”.
Stop. Poche parole gelide, se non per ricordare che le due commissioni sono a tempo limitato e sono puramente “referenti”.
E silenzio assoluto, a dispetto della domanda, sulle “società di consulenza esterne” tipo Promontory, McKinsey, Ernst & Young, KPMG, Deloitte, PricewaterhouseCoopers, che in effetti sono uno degli aspetti più sconcertanti e costosi di questa fase di riassetto della curia romana.
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