Non sono un Tornielli né un Odifreddi né,tanto meno,un prelato nostalgico: non ho mai avuto la fortuna o il privilegio di ricevere una Sua lettera, né Lei l'onere di leggere una delle mie. Forse mai accadrá. Forse anche queste parole rimarranno-come diceva Catullo- una facezia "letteraria", un puro esercizio di scrittura.
Le scrivo in un occasione per Lei forse felice, per me un po' meno: l'anniversario di quel ventotto febbraio 2013,quando, tra le lacrime e l'affetto di milioni di cattolici, strettisi attorno al proprio Pastore, assistemmo alla chiusura di quel massiccio portone di legno della residenza estiva di Castel Gandolfo. Alle ore 20 il Pontificato del Papa della ragione si concludeva e la tiara veniva consegnata nelle mani dei Cardinali,che,secondo il Codice di Diritto Canonico, reggono con legittima potestà la sede vacante.
Sono passati 12 mesi,sono passate 54 settimane, sono passati 365 giorni e l'affetto che nutro nei suoi confronti -e che spero anche altri nutrino!- non é venuto meno.
Mai la Chiesa capirà la grandezza e l'importanza del Suo apostolato in questo periodo storico -confessiamolo!- poco luminoso per il cristianesimo: Lei é stato il Papa incompreso, il Papa rigettato sia dai progressisti sia dai tradizionalisti più incalliti ed ha affrontato questo peso con quella mansuetudine evangelica che mi ha conquistato.
Non meno importante la ricchezza di un Magistero che voleva essere la cerniera tra antico e nuovo; Lei, quel giovane che con simpatica insolenza il Card. Siri ricordava come «un giovane dalla faccia comune,tarchiato per quanto non basso di statura e dalla vocina di donna», sempre con un piede in avanti e l'altro indietro.
Nonostante la simpatica descrizione dell'ex Presidente della Cei che Le ho rammentato, anche lui riconobbe il Suo valore e la Sua preparazione con queste parole: «Quello che apprezzo di più é il teologo Ratzinger. Ringrazio Dio che sia entrato nel Sacro Collegio e sia a capo dell'Ufficio più importante della Santa Sede. Siamo buoni amici, diciamo le stesse cose, molte io le ho dette prima di lui». E Lei avrebbe avuto di che vantarsi di fronte agli altri cardinali e a tutta la Chiesa,considerando che in una altra occasione il prelato genovese disse:« I teologi che stimo di più per il passato sono Tommaso e Agostino. Dei viventi quasi nessuno». Lei era uno di quei pochi!
D'altronde Lei, perito Ufficiale del Concilio Vaticano II, e il Cardinale avete combattuto la stessa buona battaglia, avete terminato la stessa corsa e conservato la stessa unica fede cattolica: resteranno nella storia i vostri sforzi per rinnovare la Chiesa pur mantenendo la continuità e l'integrità della fede vera.
Voi avete combattuto i pericoli contingenti di un Concilio durante il quale ci fu il rischio che venisse canonizzato lo stesso Lutero, ma che,alla fine, «ha rinfrescata la verità che la Chiesa non é solamente occidentale e può marciare attraverso tutti i casi umani e tutte le culture» e,allo stesso tempo,«gli stravolgimenti del Vaticano II», «il Concilio dei media,che non si é realizzato,naturalmente, all'interno della fede».
Innegabile é stata la Sua attenzione per la liturgia,alla cui decadenza Lei connette propedeuticamente la crisi della Chiesa oggi. E,durante il Suo Pontificato, ha ricattolicizzato, per quanto possibile, l'Ordo di Paolo VI,che in molte parrocchie é ridotto ad una mensa protestante, ponendo il crocifisso verso il celebrante e non verso il popolo,particolare questo eloquente sul valore sacrificale della Santa Messa e sulla reale presenza di Cristo nell'Eucarestia,senza la quale «la Chiesa semplicemente non esiste». E questa controriforma della liturgia l'ha raggiunta con il nostro Motu Proprio Summorum Pontificum e la remissione della scomunica dei quattro vescovi Lefebvriani. D'altronde Lei aveva detto in una intervista del 2003 «[...] una presenza più marcata di alcuni elementi latini aiuterebbe a dare una dimensione universale, a far si che in tutte le parti del mondo si dica "sono della stessa Chiesa"».
Tale fu lo sbigottimento,all'indomani del Concilio, per «il divieto del messale antico,dal momento che una cosa simile non si era mai verificata in tutta la storia della liturgia»!
Sono stati segnali importantissimi per noi tradizionalisti e gliene rendo grazie e merito!
Ha continuato l'opera del ristabilimento dell'unità dei Cristiani senza porre in discussione la fede (Lei avrá a mente il testo del documento congiunto di cattolici e luterani sulla giustificazione,con una netta "vittoria" della teologia cattolica), convinto che non tutte le religione hanno la verità,come espone nella Sua "Introduzione al Cristianesimo" e,più tardi, nella famosa "Dominus Iesus".
Pur riconoscendoLe l'eccesso degli incontri d'Assisi,inaugurati da Giovanni Paolo II, Le devo,altresí, riconoscere la diversità dell'approccio,in base a quanto scrisse nel Suo libro "Fede,verità e Tollerenza. Il Cristianesimo e le religioni del mondo".
Lei,infatti, riconosce il rischio di queste preghiere multireligiose,che devono «restare solo come un segno in situazioni straordinarie», e che necessitano di tre condizioni senza le quali tali incontri diventerebbero la «negazione della fede». Inutile esporLe, ricorderà ciò che disse a proposito.
Non dimentichiamo neppure i suoi richiami,forti e ignobilmente fraintesi ,ai valori non negoziabili della fede.
Concordo con Mons. Fellay, Lei ha davvero cercato di porre il freno a questa crisi della Chiesa che ci angoscia tutti e ci travolge.
Lei ha deciso di salire da solo sul monte per servire la Chiesa con l'ufficio non meno importante della preghiera; é, peró, una solitudine solamente materiale perché sotto quel monte vi sono centinaia di anime che pregano per il Papa emerito e per la Chiesa.
E queste non potranno mai venire meno da chi,davvero tradizionalista, davvero cattolico, sa che questa Chiesa di Roma,«colonna e fondamento di veritá», anche se sotto l'attacco di eresie e malcostumi, ci é necessaria per la salvezza e,solo per questo, degna della nostra riconoscenza.
Con affetto filiale,
Un cattolico tradizionalista nostalgico.
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