NEL NOME DI D-IOR! - FINANZE VATICANE FUORI LEGGE: VIOLATO LO STATUTO DELL'AUTORITÀ DI INFORMAZIONE FINANZIARIA
Il direttore dell’Aif non ha ancora presentato il bilancio al Consiglio direttivo presieduto da chi l'ha visto il vescovo Corbellini - Dentro i sacri palazzi attendono le mosse di Bergoglio che vuole sfilare ai porporati la riforma dello Ior - Il 25 febbraio scontro tra i cardinali sulla discussa cacciata di Gotti Tedeschi nel maggio 2012…
Francesco De Dominicis per "Libero"
IL TORRIONE NICCOLÒ V, SEDE DELLO IOR NICCOLOV
Acque sempre più agitate attorno alle finanze del Vaticano. A creare caos, stavolta, è la violazione dello statuto dell'Aif (Autorità di informazione finanziaria), vale a dire l'organismo chiamato a Lvigilare sullo Ior, la banca del Papa. Le regole prevedono che entro il 28 febbraio di ogni anno il direttore Aif presenti al consiglio direttivo una bozza di bilancio. Documento che il board deve approvare entro marzo. Tuttavia, il capo degli 007 finanziari della Santa sede, René Brülhart, non avrebbe ancora inviato nulla ai consiglieri. Uno di questi avrebbe sottoposto il caso al presidente, il vescovo Giorgio Corbellini. Il quale, però, resta ancora alla larga dall'Aif, nonostante l'organismo ora sia di fatto «fuori legge».
ALFRED XUEREB CON PAPA FRANCESCO BERGOGLIO
Dentro i Sacri palazzi i mal di pancia crescono, ma alla fine prevale chi preferisce aspettare le mosse di Papa Francesco proprio in relazione all'Istituto per le opere di religione. Alla riforma Bergoglio potrebbe mancare poco: così, almeno, lo stesso Pontefice ha lasciato intendere, martedì 25 febbraio, nel corso di una riunione riservata tra i cardinali del G8 e i membri della «Commissione Ior». Il Papa vuole prendere in mano il dossier e sfilarlo ai porporati. Durante quell'incontro, giro di tavolo, con polemica, sulla discussa cacciata, nel maggio 2012, dell'ex presidente Ior, Ettore Gotti Tedeschi.
VESCOVO GIORGIO CORBELLINIPapa Francesco richiama a Roma Viganò, il vescovo che dette il via a Vatileaks
Era l'avversario di Bertone, potrebbe tornare alla guida del governatorato. Per lui sarebbe pronto il posto di presidente: un rientro clamoroso dopo un anno di esilio come nunzio a Washington
CITTÀ DEL VATICANO - Monsignor Viganò starebbe per tornare a casa, in Vaticano. Dopo oltre un anno di esilio dorato alla guida della nunziatura apostolica di Washington, per l'arcivescovo Carlo Maria Viganò sembra iniziato il conto alla rovescia per un clamoroso rientro ai vertici della Curia pontificia. Stando a quanto filtra in questi giorni dai Sacri Palazzi, il vescovo - su decisione di papa Francesco - sarà il nuovo presidente di quel Governatorato dal quale era stato estromesso per aver denunciato nella sua veste di segretario generale, in una serie di lettere a papa Ratzinger e all'allora segretario di Stato, il cardinale Tarcisio Bertone, una lunga fila di scandali all'ombra del Cupolone che poi avrebbero dato il via allo scandalo Vatileaks.
In quelle lettere - alcune poi trafugate dall'appartamento papale e pubblicate su giornali e riviste - il monsignore rivelava l'esistenza in Vaticano di una sorta di lobby per l'assegnazione di appalti, il ricorso alla corruzione tramite mazzette e bustarelle, casi di nepotismo e gestioni allegre di beni della Santa Sede da parte di vescovi e monsignori. Accuse tremende e circostanziate, tutte respinte con una nota ufficiale della Segreteria di Stato, che portarono Viganò in rotta di collisione col cardinal Bertone, dando anche vita ad una sorta di inedito braccio di ferro tra Governatorato e Segreteria di Stato, a cui Benedetto XVI pose finetrasferendo il monsignore a Washington.
Viganò cercò di opporsi con forza, appellandosi a Ratzinger in una lettera in cui, tra l'altro, chiedeva di poter restare in Vaticano per accudire un suo fratello maggiore, sacerdote, colpito da un ictus. Gli andò male: padre Lorenzo Viganò, gesuita, pur ammettendo di essere stato colpito "anni fa" da un ictus spiegò che in realtà lui viveva proprio negli Usa e di avere rotto i rapporti col fratello monsignore per questioni di denaro legate a un'eredità. Beghe familiari a parte, Viganò fu convinto ad andare a Washington da Benedetto XVI che, in un drammatico colloquio, gli chiese di accettare il trasferimento, poggiandogli le mani sulle spalle e dicendogli: "Ti prego, fallo per me".
Con l'avvento di papa Francesco la situazione per l'arcivescovo sembra cambiata. Bergoglio lo ha ricevuto più volte in Vaticano, dedicandogli udienze riservate durate a volte anche più di un'ora. Clamorosa quella dello scorso mese di ottobre, quando Bergoglio rinunciò ad assistere al concerto di chiusura dell'Anno della Fede per restare a parlare a Santa Marta con Viganò, che dopo il colloquio uscì dalla stanza con le lacrime confessando di essere stato "ascoltato come un figlio".
Ora, da qualche giorno, Oltretevere si dà per imminente il ritorno di Viganò in Governatorato, ma da presidente, in sostituzione del cardinale Giuseppe Bertello, candidato a presiedere la Congregazione per le Cause dei Santi. Per Viganò sarebbe una promozione e nello stesso tempo un risarcimento. Come lo è stato per uno dei suoi più stretti collaboratori, il vescovo Giorgio Corbellini, vice segretario generale del Governatorato, allontanato anch'egli perché troppo vicino a Viganò, ma che il mese scorso il Papa ha nominato presidente dell'Apsa, l'ente che amministra i beni della Santa Sede.
La vera banca del Vaticano si chiama Apsa
Allo Ior la partita sembra quasi chiusa. A questo punto la palla
passa all'Apsa, l'Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica
che, come Bergoglio ha ricordato, è la «banca centrale» del Vaticano.
Ecco come lavora e le novità in arrivo
Grazie all’autorizzazione del gruppo Class editori pubblichiamo l’analisi di Antonino D’Anna apparsa su Italia Oggi, il quotidiano diretto da Pierluigi Magnaschi
Si allontanano le nubi sullo Ior, tutto rientra nella normalità voluta da Francesco: poi toccherà all’Apsa, la «banca centrale» del Vaticano. I rumors (Italia Oggi del 16 gennaio 2014) si sono avverati: Santos Abril y Castellò, cardinale di Santa Romana Chiesa, è da ieri il nuovo presidente della Ccv, la Commissione Cardinalizia di Vigilanza sull’Istituto per le Opere di Religione, lo Ior ritenuto fino ad oggi la Banca Vaticana. Una struttura che adesso sarà vigilata da un presidente iberico classe 1935, dal ’67 nel servizio diplomatico della Santa Sede, e professore di spagnolo di Giovanni Paolo II. Castellò è stato eletto presidente dai suoi confratelli: ma si tratta di una scelta certamente gradita a Papa Francesco, che il 14 marzo scorso – all’indomani dalla sua elezione – è stato accompagnato da Castellò a omaggiare la Madonna presso la Basilica di Santa Maria Maggiore, di cui il cardinale è Arciprete. E ha voglia di trasparenza finanziaria.
IL DESTINO DI ERNST VON FREYBERG
Allo Ior la partita sembra quasi chiusa, tanto da spingere molti monsignori a chiedersi che cosa ne sarà del ruolo di Ernst von Freyberg, attuale presidente dell’Istituto che, per statuto (rinnovato nel 1990 dal presidente Angelo Caloia) deve: «Provvedere alla custodia e all’amministrazione dei beni trasferiti o affidati all’Istituto medesimo da persone fisiche o giuridiche e destinati ad opere di religione e carità», anche se questo viene adempiuto «proteggendo e facendo crescere il patrimonio e assicurando la fornitura di servizi di pagamento in tutto il mondo per la Santa Sede e le entità correlate». Von Freyberg sarà sostituito? Certo è che Francesco vuole che il carattere dello Ior torni ad essere quello dell’esclusivo finanziamento di opere di religione.
LA PALLA ALL’APSA
A questo punto la palla passa all’Apsa, l’Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica che, come Bergoglio ha ricordato, è la «banca centrale» del Vaticano. Lavora con due sezioni: l’ordinaria, chiamata ad amministrare, tra l’altro: «i beni che le sono affidati avvalendosi, quando sia opportuno, della collaborazione di esperti; cura la gestione del personale attivo della Santa Sede; sovraintendere alle direzioni amministrative che fanno capo ad essa; provvedere a quanto è necessario per l’attività dei Dicasteri» insieme alla contabilità e il bilancio preventivo e consuntivo.
Quella straordinaria «amministra i beni mobili propri e quelli ad essa affidati da altri enti della Santa Sede». Amministrando i beni, l’Apsa trae profitti, soldi destinati a fornire i fondi per il funzionamento della Curia Romana. Un posto di responsabilità da sempre passato in secondo piano rispetto alle – a volte eclatanti – vicende Ior, ma che domani nelle idee di Francesco potrebbe prendere il sopravvento definitivo sull’Istituto.
ARIA DI CAMBIAMENTO
E che le cose potrebbero cambiare è una sensazione diffusa Oltretevere: al punto che si comincia ad ipotizzare una sostituzione del bertoniano cardinale Domenico Calcagno, attuale presidente Apsa, con una berretta più vicina a Francesco. Possibilmente straniera, si dice.
Leggi l’articolo su Italia Oggi,
IL FILO ROSSO DEI CONTI DELLO IOR
di Redazione Cadoinpiedi.it - 6 marzo 2014
Tra la morte del banchiere Roberto Calvi, più di 30 anni fa, e l’arresto di monsignor Nunzio Scarano a gennaio di quest'anno c'è un legame che corre lungo i depositi della banca vaticana. Perché vecchi e nuovi scandali si intrecciano. Lo ha detto a Cadoinpiedi.it Maria Antonietta Calabrò, giornalista del Corriere della Sera e autrice di Le mani della mafia (Chiarelettere, 2014), che è una riedizione aggiornata dell’opera scritta nel 1991. Allora il libro portò alla riapertura delle indagini sulla morte del banchiere.
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Il G8 dei cardinali è ancora al lavoro sulla migliore strategia per rimettere a posto lo Ior. Ma la strada che papa Bergoglio deve percorrere è ancora lunga. Perché sulle spalle delle finanze vaticane pesano trent'anni di storia che hanno visto la morte del banchiere Roberto Calvi, il crac del Banco Ambrosiano, i contatti dello Ior con la mafia.
Tra quel passato e oggi ci sono ancora legami strettissimi: "C'è un filo rosso tra i vecchi conti dello Ior e i nuovi scandali, fino all'arresto di monsignor Nunzio Scarano lo scorso gennaio", ha detto aCadoinpiedi.it Maria Antonietta Calabrò, giornalista del Corriere della Sera e autrice di Le mani della mafia (Chiarelettere, 2014). Un libro che è una riedizione aggiornata dell'opera scritta nel 1991 e che allora portò alla riapertura delle indagini, da parte della Procura di Roma, sulla morte del banchiere Calvi.
DOMANDA: Perché aggiornare il libro dopo più di venti anni?
RISPOSTA: Ho seguito da vicino il caso Ior e altre vicende di cronaca, e mi sono resa conto della necessità di aggiornare il libro - che era diventato introvabile - mantenendo la memoria storica e aggiungendo le novità. Questo perché l'attualità aveva legami con la vecchia storia che ha garantito la stabilità del sistema italiano e vaticano per vent'anni.
D: E cosa ha trovato?
R: Ho trovato un legame diretto tra i vecchi conti dello Ior e i nuovi scandali fino all'arresto di Scarano.
D: Qual è il legame?
R: Sono i conti misti, a gestione confusa, dello Ior presso sei banche italiane, attraverso cui sono passati negli anni centinaia di milioni di euro. In sostanza lo Ior formalmente operava in quanto banca, ma in realtà operava per i propri clienti: un comportamento in chiaro contrasto con le nuove leggi antiriciclaggio, approvate dopo l'attentato delle Torri Gemelle, e che in Italia sono state recepite nel 2007.
D: Che conseguenze ha avuto la violazione delle norme antiriciclaggio?
R: C'è stato il blocco dei 23 milioni di euro posseduti dallo Ior sul conto corrente dell'Unicredito nella filiale di via della Conciliazione. Un fascicolo che ha portato all'accusa di riciclaggio per l'allora Presidente dello Ior Ettore Gotti Tedeschi e il direttore generale Paolo Cipriani. Poi c'è stato il blocco dei bancomat ai musei vaticani di una filiale italiana della Deutsche Bank, sottoposta al controllo di Bankitalia. È il motivo per cui nel 2013 tutta l'operatività dello Ior con l'Italia è stata bloccata.
D: E ora?
R: Il blocco in entrambe le direzioni c'è ancora. La cosa interessante è che il problema non esiste con gli altri paesi, perché con loro lo Ior ha sempre seguito le normali procedure. Il problema riguarda solo il nostro paese.
D: Perché in Italia le cose sono andate così?
R: È un'anomalia che è durata trent'anni perché lo Ior, all'epoca del fallimento del Banco Ambrosiano, ha pagato 100 milioni di dollari per i debiti relativi ai clienti italiani. Così questi conti sono potuti sopravvivere nella normale operatività bancaria fino a oggi. Per gli altri paesi invece le cose sono state diverse, è stato aperto un contenzioso internazionale che nel 1984 ha portato a una transazione, stipulata a Ginevra, per cui sono stati pagati 250 milioni di dollari. Nel caso italiano lo Ior ha potuto utilizzare questi conti per altri trent'anni.
D: Papa Francesco ha inserito la questione dello Ior e delle finanze vaticane tra le sue priorità. Cosa ne pensa?
R: Sì, la commissione referente per il papa ha già consegnato la propria relazione relativa alla struttura finanziaria generale del Vaticano. Sullo Ior stanno ancora lavorando: il suo destino si saprà tra fine aprile e inizio luglio, quando sono già stati programmati i prossimi incontri del g8 dei cardinali.
D: Sembra che, in fondo, rispetto a determinate situazioni non vi sia discontinuità, che i soggetti di potere siano sempre gli stessi.
R: Per quanto riguarda la Chiesa i soggetti di potere sono cambiati per forza di cose, perché il Vaticano è stato sottoposto a uno choc mai visto con le dimissioni di papa Ratizinger. Dimissioni sicuramente libere, ma che hanno preso atto di una situazione molto delicata che riguardava tante cose, tra cui proprio la gestione finanziaria dello Ior.
D: Nel suo libro ci sono anche documenti inediti.
R: Ho recuperato dei dispacci di Wikileaks in cui si diceva, per esempio, che il numero uno di Finmeccanica Giuseppe Orsi - arrestato il giorno dopo le dimissioni di Ratzinger - lavorava con "El banquero di Dio", un personaggio di cui non si fa il nome. Si parla di sistemi double use trattati da Finmeccanica con il regime di Assad, in Siria. Ci sono molte situazioni complesse, anche relativi ai legami con la mafia.
D: Di che tipo?
R: Non solo cosa nostra italiana, ma anche grandi personaggi come Vito Roberto Palazzolo, estradato in Italia a dicembre e considerato il finanziere di Riina e Provenzano. Palazzolo aveva contatti con la Finmeccanica di Orsi e l'Augusta Westland, società produttrice di elicotteri. Quegli elicotteri che abbiamo venduto anche agli indiani, e forse questo è uno degli elementi che complicano la vicenda dei marò.
D: E in Italia?
R: Anche in Italia a un certo punto è dovuto cambiare l'assetto. Non sappiamo a cosa ci porterà Renzi, ma sicuramente dà uno scossone generale. Sarebbe ora, sono passati trent'anni, è il momento di voltare pagina.
D: All'epoca della prima edizione, il libro portò alla riapertura del caso Calvi e lei ricevette anche numerose minacce. Quanto è stato difficile?
R: Il mio è un lavoro di giornalismo investigativo, fatto su fonti aperte, e messe insieme con molta pazienza. E credo che questo tipo di lavoro di investigazione, di ricerca dei collegamenti, sia una necessità del giornalismo in Italia, soprattutto in un momento di crisi come quello che sta vivendo. Del resto all'estero stanno nascendo numerose esperienze editoriali di questo tipo. In apertura del libro ho messo una frase di Horacio Verbitsky che dice: "Giornalismo è rivelare ciò che non si vorrebbe fosse conosciuto, tutto il resto è propaganda". Attenzione, propaganda è un termine antiquato per parlare di pubbliche relazioni: anche lo Ior se n'è dotato per modificare la sua pessima immagine internazionale. Ma non è certo informazione.
Tra quel passato e oggi ci sono ancora legami strettissimi: "C'è un filo rosso tra i vecchi conti dello Ior e i nuovi scandali, fino all'arresto di monsignor Nunzio Scarano lo scorso gennaio", ha detto aCadoinpiedi.it Maria Antonietta Calabrò, giornalista del Corriere della Sera e autrice di Le mani della mafia (Chiarelettere, 2014). Un libro che è una riedizione aggiornata dell'opera scritta nel 1991 e che allora portò alla riapertura delle indagini, da parte della Procura di Roma, sulla morte del banchiere Calvi.
DOMANDA: Perché aggiornare il libro dopo più di venti anni?
RISPOSTA: Ho seguito da vicino il caso Ior e altre vicende di cronaca, e mi sono resa conto della necessità di aggiornare il libro - che era diventato introvabile - mantenendo la memoria storica e aggiungendo le novità. Questo perché l'attualità aveva legami con la vecchia storia che ha garantito la stabilità del sistema italiano e vaticano per vent'anni.
D: E cosa ha trovato?
R: Ho trovato un legame diretto tra i vecchi conti dello Ior e i nuovi scandali fino all'arresto di Scarano.
D: Qual è il legame?
R: Sono i conti misti, a gestione confusa, dello Ior presso sei banche italiane, attraverso cui sono passati negli anni centinaia di milioni di euro. In sostanza lo Ior formalmente operava in quanto banca, ma in realtà operava per i propri clienti: un comportamento in chiaro contrasto con le nuove leggi antiriciclaggio, approvate dopo l'attentato delle Torri Gemelle, e che in Italia sono state recepite nel 2007.
D: Che conseguenze ha avuto la violazione delle norme antiriciclaggio?
R: C'è stato il blocco dei 23 milioni di euro posseduti dallo Ior sul conto corrente dell'Unicredito nella filiale di via della Conciliazione. Un fascicolo che ha portato all'accusa di riciclaggio per l'allora Presidente dello Ior Ettore Gotti Tedeschi e il direttore generale Paolo Cipriani. Poi c'è stato il blocco dei bancomat ai musei vaticani di una filiale italiana della Deutsche Bank, sottoposta al controllo di Bankitalia. È il motivo per cui nel 2013 tutta l'operatività dello Ior con l'Italia è stata bloccata.
D: E ora?
R: Il blocco in entrambe le direzioni c'è ancora. La cosa interessante è che il problema non esiste con gli altri paesi, perché con loro lo Ior ha sempre seguito le normali procedure. Il problema riguarda solo il nostro paese.
D: Perché in Italia le cose sono andate così?
R: È un'anomalia che è durata trent'anni perché lo Ior, all'epoca del fallimento del Banco Ambrosiano, ha pagato 100 milioni di dollari per i debiti relativi ai clienti italiani. Così questi conti sono potuti sopravvivere nella normale operatività bancaria fino a oggi. Per gli altri paesi invece le cose sono state diverse, è stato aperto un contenzioso internazionale che nel 1984 ha portato a una transazione, stipulata a Ginevra, per cui sono stati pagati 250 milioni di dollari. Nel caso italiano lo Ior ha potuto utilizzare questi conti per altri trent'anni.
D: Papa Francesco ha inserito la questione dello Ior e delle finanze vaticane tra le sue priorità. Cosa ne pensa?
R: Sì, la commissione referente per il papa ha già consegnato la propria relazione relativa alla struttura finanziaria generale del Vaticano. Sullo Ior stanno ancora lavorando: il suo destino si saprà tra fine aprile e inizio luglio, quando sono già stati programmati i prossimi incontri del g8 dei cardinali.
D: Sembra che, in fondo, rispetto a determinate situazioni non vi sia discontinuità, che i soggetti di potere siano sempre gli stessi.
R: Per quanto riguarda la Chiesa i soggetti di potere sono cambiati per forza di cose, perché il Vaticano è stato sottoposto a uno choc mai visto con le dimissioni di papa Ratizinger. Dimissioni sicuramente libere, ma che hanno preso atto di una situazione molto delicata che riguardava tante cose, tra cui proprio la gestione finanziaria dello Ior.
D: Nel suo libro ci sono anche documenti inediti.
R: Ho recuperato dei dispacci di Wikileaks in cui si diceva, per esempio, che il numero uno di Finmeccanica Giuseppe Orsi - arrestato il giorno dopo le dimissioni di Ratzinger - lavorava con "El banquero di Dio", un personaggio di cui non si fa il nome. Si parla di sistemi double use trattati da Finmeccanica con il regime di Assad, in Siria. Ci sono molte situazioni complesse, anche relativi ai legami con la mafia.
D: Di che tipo?
R: Non solo cosa nostra italiana, ma anche grandi personaggi come Vito Roberto Palazzolo, estradato in Italia a dicembre e considerato il finanziere di Riina e Provenzano. Palazzolo aveva contatti con la Finmeccanica di Orsi e l'Augusta Westland, società produttrice di elicotteri. Quegli elicotteri che abbiamo venduto anche agli indiani, e forse questo è uno degli elementi che complicano la vicenda dei marò.
D: E in Italia?
R: Anche in Italia a un certo punto è dovuto cambiare l'assetto. Non sappiamo a cosa ci porterà Renzi, ma sicuramente dà uno scossone generale. Sarebbe ora, sono passati trent'anni, è il momento di voltare pagina.
D: All'epoca della prima edizione, il libro portò alla riapertura del caso Calvi e lei ricevette anche numerose minacce. Quanto è stato difficile?
R: Il mio è un lavoro di giornalismo investigativo, fatto su fonti aperte, e messe insieme con molta pazienza. E credo che questo tipo di lavoro di investigazione, di ricerca dei collegamenti, sia una necessità del giornalismo in Italia, soprattutto in un momento di crisi come quello che sta vivendo. Del resto all'estero stanno nascendo numerose esperienze editoriali di questo tipo. In apertura del libro ho messo una frase di Horacio Verbitsky che dice: "Giornalismo è rivelare ciò che non si vorrebbe fosse conosciuto, tutto il resto è propaganda". Attenzione, propaganda è un termine antiquato per parlare di pubbliche relazioni: anche lo Ior se n'è dotato per modificare la sua pessima immagine internazionale. Ma non è certo informazione.
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