ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

lunedì 10 marzo 2014

La posta in gioco

La posta in gioco per i Francescani dell’Immacolata

francescani dell'Immacolata(Maurizio Grosso) Sin dall’inizio del commissariamento dell’Istituto dei Frati Francescani dell’Immacolata, le nuove autorità hanno sempre ripetuto, più volte, il medesimo ritornello: “Sei dalla parte di P. Stefano Manelli o del Papa?”. “Se da un lato c’è p. Stefano e dall’altro il Papa, chi scegli?”. Era un commissariamento cominciato col piede sbagliato, e che perciò ha fatto presto capitolare ogni impresa di raggiungimento di una disperata unità.

In nome dell’autorità di cui gode il commissario, il padre cappuccino Fidenzio Volpi, si è voluto far pressione sui frati non perché riconoscessero i loro errori e li correggessero, ma perché sposassero la nuova linea dello stesso e abbandonassero la fedeltà ai Padri Fondatori. Ai frati non sono stati ancora notificati ufficialmente i famosi “motivi” del commissariamento – e i reati gravi? No, solo «una benevola attenzione che esprime la maternità della Chiesa»: parole di chi se ne intende –, ma solo ripetute le solite nenie, a volte anche contraddittorie.
E una è veramente lampante: la celebrazione della S. Messa secondo il Vetus Ordo (VO). Se come ha recentemente e ufficialmente ammesso il Segretario della Congregazione dei Religiosi, Sua Ecc.za Carballo (vedi qui), la S. Messa tridentina non è il motivo del commissariamento, perché dopo più di sei mesi resta ancora vietata?
Da informazioni molto precise provenienti dai Sacri Palazzi, ormai è fin troppo noto l’errore commesso dalla Congregazione dei Religiosi nel restringere ai soli frati il diritto universale accordato dal Summorum Pontificum. L’approvazione in forma specifica del decreto di commissariamento da parte del S. Padre, proprio sul divieto di celebrare la S. Messa VO, se non dopo nuova autorizzazione della competente autorità, era volto al fine di verificare se effettivamente c’era stato un abuso d’autorità da parte del Fondatore e Superiore Generale in detta materia, come risultava da una delle principali accuse mosse dai cinque frati contestatori, e ripetuta dallo stesso Commissario, il quale sa «per certo che Padre Stefano Maria Manelli ha precisamente imposto la Messa in latino come unica forma di celebrazione ammessa nei Seminari e nei Noviziati» (Risposta aperta a un laico francescano dell’Immacolata).

Non rispondere, ma continuare ad agitare il mantra

Alle numerose lettere ricevute dal Commissario, in cui i frati chiedevano, spontaneamente e liberamente, l’autorizzazione a ricelebrare la S. Messa VO è seguita una non risposta, un assordante silenzio. E con ciò si dava un’interpretazione del tutto fuorviante e abusiva: a giudizio del p. Volpi (o della Congregazione vaticana), l’approvazione in forma specifica del decreto di commissariamento significa, dunque, la sospensione sine die della celebrazione della S. Messa VO, perché, anche se si dice di no, è uno dei motivi centrali della «deriva tradizionalista» e «cripto-lefebvriana» dell’Istituto.
Intanto quell’out out, P. Manelli o il Papa, incalza, come un mantra. Ma questa volta notificato per iscritto. Nella lettera dell’8 dicembre 2013, il Commissario diceva, di nuovo, proprio questo:
«… molti altri frati indentificano l’Istituto con la persona stessa del Fondatore, che è circondato da una specie di aureola di infallibilità, e vedono nell’intervento della Chiesa una specie di abuso di ciò che, a loro parere, sarebbe intoccabile e quasi proprietà privata dello stesso Fondatore. Tutto questo rivela gravi errori in campo ecclesiologico circa i principi fondamentali della vita religiosa, e rivela una grande povertà spirituale e una dipendenza psicologicaincompatibile con quella “libertà dei figli di Dio”…».
Di qui l’apparente e convincente alternativa posta: o la Chiesa o il Fondatore. E così tanti frati e anche laici sono caduti nel trabocchetto costruito ad arte. Un dilemma di coscienza falso, che ha portato molti a scegliere ovviamente il Papa e la Chiesa, cioè a schierarsi pro-Volpi.
Falso perché mai il Fondatore ha preteso ergersi accanto al Papa o di sostituirsi alla Chiesa. Di questo ne è prova una catena quasi interminabile di scritti, di conferenze, di ritiri spirituali, ai religiosi e ai laici, nei quali sempre il p. Manelli ha insegnato ad aggrapparsi alle tre bianchezze della Chiesa: l’Eucaristia, la Madonna e il Papa. È con il Papa Giovanni Paolo II che nasce e viene eretto l’Istituto, ed è con un altro Papa, Benedetto XVI, che preferiscono la celebrazione VO come preferenziale anche se non esclusiva. Infine, è con lo stesso Papa Francesco che il Fondatore ha voluto obbedire alla decisione di commissariamento, perché ne scaturissero grazie più abbondanti.
In realtà, l’alternativa p. Manelli o il Papa, appunto un mantra, serviva a p. Volpi a giustificare sempre e dovunque il suo operato. Era il Papa e la Chiesa a volerlo. Anche quando ha ordinato, in modo davvero grossolano, quel giuramento sul Concilio Vaticano II e sulla nuova Messa, avulsi completamente dalla dottrina della fede e della morale? Proprio questa decisione, criticata fortemente dai suoi stessi Superiori, si è rivelata alla fine solo una minaccia, che doveva servire a raccattare religiosi alla causa di Volpi-Bruno, fino a spedire inservienti del nuovo corso, qua e là, all’Italia e all’estero, a raccogliere firme pro-Commissario.
Il tempo assegnato alla campagna di raccolta firme/giuramenti è terminato e di fatto nessuna sanzione canonica minacciata è stata adottata nei confronti dei non-firmatari. In nessuna professione di fede, in nessuna ritrattazione di errori imposta dalla Congregazione della Fede a teologi in odore di eresia compariva quanto invece il Commissario esigeva dai Frati, i quali avevano imparato dal loro Fondatore ad obbedire al Magistero della Chiesa, a tutto il Magistero, nell’ininterrotta Tradizione della Chiesa.

La vera alternativa

Qual è allora la posta in gioco per i Frati dell’Immacolata? Non dover scegliere, come vorrebbe il p. Volpi e il suo seguito, tra p. Stefano M. Manelli e il Papa, ma tra p. Volpi e p. Manelli, che sono come il giorno e la notte. Questa è sì la vera alternativa. L’unica alternativa ormai chiara.
Dire p. Fidenzio Volpi significa parlare di una vita religiosa che nasce oggi, che si aggiorna nel tempo in ragione dei tempi, con una memoria sì corta da dimenticare che il Papa non è solo quello regnante, ma è ogni Papa, dal primo all’ultimo. Che anche Giovanni Paolo II è stato un Papa nella Chiesa, il quale ha voluto e approvato i Francescani dell’Immacolata, senza bisogno che diventassero “Ordine religioso”, ma semplicemente nuovo “Istituto religioso”.
Quella di p. Volpi è una vita religiosa che si ammoderna in un modo davvero insolito. La spaventosa crisi vocazionale in atto, con la chiusura dei conventi, non è dovuta a uno smarrimento progressivo dell’identità del religioso, è piuttosto una «crisi di trasformazione». La crisi non è un perdere ma un “esodo”, in cui qualcosa muore e qualcosa già rinasce. Muore la vecchia vita religiosa e rinasce la nuova. Non importa che i numeri dicano altro, importante è che rinasca come nuovo spirito e nuova concezione della vita religiosa, affannosamente in corsa dietro il mondo, secolarizzante quei pochi spiriti ormai rimasti, e con il debito spazio da dare ai laici per superare il clericalismo.
Con i risultati e le conquiste di questi ultimi cinquant’anni questo nuovo ciclo non dà grosse speranze, se non l’alibi di essere ormai “nell’era dei laici”, post-religiosa. Quella di p. Volpi e della sua CISM è una teologia della speranza senza il fondamento. Tutta sbilanciata, dal fondamento al fenomeno.
Dire P. Stefano M. Manelli, invece, significa semplicemente cercare di rimodellare la vita religiosa sui Santi, passati e recenti, che sono incarnazione nel tempo dell’unica vera vita religiosa, quella che principia non con il Concilio ma con Nostro Signore Gesù Cristo. Qui ritorno alle fonti, tanto auspicato, significa ritorno alla genuina e ininterrotta tradizione della vita religiosa, sempre identica e solo per questo sempre nuova. Con la stretta osservanza regolare, quella che fu un tempo anche dei cappuccini, con il massimalismo teologico e liturgico, la vita religiosa non conosce “l’esodo”, ma la sua perenne e continua freschezza, con la fioritura di vocazioni, con l’apertura di conventi e di nuove missioni, con l’entusiasmo dei laici, giovani e meno giovani, pronti a sfidare il futuro e a mettere in gioco la propria vita per stare accanto ai religiosi e così contribuire all’unica missione della Chiesa.
Quell’entusiasmo per p. Manelli, che p. Volpi ha riscontrato in tanti, non è idolatria di una persona, ma scelta preferenziale della vera prospettiva cattolica, quella dei Santi, quella dell’ininterrotta Tradizione della Chiesa.
Dire p. Stefano M. Manelli significa, infine, scegliere la Chiesa nella sua interezza e concepire correttamente lo sviluppo omogeneo di un carisma, nato sotto l’egida della grande tradizione francescana, e maturato gradualmente nella scelta di ciò che è più perfetto, sempre, anche nella liturgia. La teologia di p. Manelli è quella di S. Massimiliano M. Kolbe, di S. Pio da Pietrelcina: l’oggi fondato sulla Tradizione della Chiesa. Una speranza con il fondamento. Dal fenomeno al fondamento.
Questa è la vera posta in gioco. Due visioni della stessa vita religiosa, una che va verso la morte e una che perdura e che fiorisce; due modi di concepire la Chiesa, due ermeneutiche contrapposte: una che chiude i conventi, il seminario, le riviste, che impedisce l’apostolato, che minaccia anche i laici di scomunica, e un’altra che inaugura nella sofferenza l’alba di un nuovo mattino per tutti, per i religiosi e per la Chiesa intera.
Ci sono tanti frati che fanno ancora finta di dover capire. Pensano di prenderla in modo teologico, giocando sul binomio autorità di Volpi-autorità della Chiesa. Ma dovranno anch’essi scegliere. Altrimenti ci sarà qualcun altro che lo fa per loro: la storia. (Maurizio Grosso)

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