Mentre il Papa nomina una vittima degli abusi nella neonata Commissione per la tutela dei minori, la Conferenza episcopale scrive: "Nell’ordinamento italiano il vescovo non ha l’obbligo giuridico - salvo il dovere morale - di denunciare"
Pedofilia, Cei: “Vescovo non è pubblico ufficiale, non ha l’obbligo di denuncia”
Sugli abusi su minori si consuma lo scontro finale tra Bagnasco e Bergoglio. Mentre Francesco nomina una vittima degli abusi nella neonata Commissione per la tutela dei minori, nel nuovo testo delle “Linee guida per i casi di abuso sessuale nei confronti di minori da parte di chierici”, della Conferenza episcopale si legge: "Nell’ordinamento italiano il vescovo non ha l’obbligo giuridico - salvo il dovere morale - di denunciare"
L’inciso sul dovere morale, unica aggiunta rispetto alla precedente versione datata 2012, suona come una frase beffa rivolta a Papa Francesco che, insieme al “G8” di cardinali che lo consigliano nel governo della Chiesa universale, ha messo la lotta alla pedofilia e al riciclaggio del denaro al primo punto delle riforme che ha già avviato nel suo primo anno di pontificato. Una lotta, quella alla pedofilia, come sottolineato più volte anche da Bergoglio, intrapresa con determinazione già daBenedetto XVI. Ma alla Cei targata Bagnasco evidentemente il magistero e i gesti di Papa Francesco non contano nulla. Ed è proprio sulla lotta alla pedofilia che si consuma lo scontro finale tra Bagnasco e Bergoglio che, come annunciato da ilfattoquotidiano.it, aprirà l’assemblea generale della Cei del maggio prossimo in Vaticano. Segno eloquente che il Papa ha ormai preso in mano il timone di un’istituzione, la Conferenza episcopale italiana, che non solo non ha saputo sintonizzarsi sulla “rivoluzione Bergoglio”, ma si è posta in aperta contrapposizione con il Pontefice latinoamericano. Sull’obbligo giuridico della denuncia alla magistratura civile dei casi di pedofilia la Congregazione per la dottrina della fede era stata chiarissima, nonostante la Cei abbia fatto finta di non comprendere i motivi della bocciatura delle precedenti linee guida.
L’ex Sant’Uffizio, infatti, aveva affermato che “l’abuso sessuale di minori non è solo un delitto canonico, ma anche un crimine perseguito dall’autorità civile. Sebbene i rapporti con le autorità civili differiscano nei diversi Paesi, tuttavia è importante cooperare con esse nell’ambito delle rispettive competenze. In particolare, va sempre dato seguito alle prescrizioni delle leggi civili per quanto riguarda il deferimento dei crimini alle autorità preposte, senza pregiudicare il foro interno sacramentale. Naturalmente, questa collaborazione non riguarda solo i casi di abusi commessi dai chierici, ma riguarda anche quei casi di abuso che coinvolgono il personale religioso o laico che opera nelle strutture ecclesiastiche”. Parole a dir poco eloquenti alle quali la Cei ha risposto in modo assolutamente beffardo. E ora Papa Francesco chiederà le dimissioni a Bagnasco?
twitter: @FrancescoGrana
Pedofilia, la Cei contro il Papa: “I vescovi non denuncino”
di Marco Politi
in “il Fatto Quotidiano” del 29 marzo 2014
Costretta a rielaborare le Linee guida anti-abusi, perché quelle del 2012 erano insufficienti, la Cei
presenta la versione 2014 e si attesta su una linea di assoluta retroguardia rispetto ad altri episcopati
d’Europa o degli Stati Uniti. Alla luce del passo compiuto da papa Francesco, istituendo una
commissione internazionale, a maggioranza di laici, composta per metà da donne e per metà da
uomini e comprendente una vittima di violenze, il nuovo documento della Cei risulta imbarazzante.
La Cei rifiuta di assumersi ogni responsabilità nel contrastare il fenomeno - lo proclama ad alta
voce in conclusione del testo: “Nessuna responsabilità, diretta o indiretta, per gli eventuali abusi
sussiste in capo alla Conferenza episcopale italiana” - e fugge da un impegno nazionale nel
monitorare il fenomeno, nell’istituire strutture di ascolto e di denuncia, nel verificare se i singoli
vescovi si attengono alle istruzioni vaticane. Zero di zero. Facendosi scudo di codice e concordato,
la Cei inculca ai vescovi che “nell’ordinamento italiano il vescovo, non rivestendo la qualifica di
pubblico ufficiale né di incaricato di pubblico servizio, non ha l’obbligo giuridico di denunciare
all’autorità giudiziaria statuale le notizie che abbia ricevuto in merito ai fatti illeciti”. In realtà
codice di procedura penale e concordato non c’entrano niente con il silenzio sulle violenze: qui la
questione era - ed è - se autonomamente la Cei ritiene obbligo di un vescovo denunciare un
criminale. La risposta delle Linee guida è no: la Cei non invita i vescovi a denunciare chi violenta
minori. E’ esattamente l’opposto di ciò che pensa Marie Collins, la credente cattolica abusata,
chiamata a far parte della commissione voluta da papa Francesco. “Che si arrivi, se i casi di abuso
sono accertati e la vittima consente, alla denuncia alle autorità civili. Questo passo è decisivo”, ha
dichiarato a “Repubblica” appena nominata.
Il piccolo passo in avanti, rispetto alle Linee guida del 2014, è costituito da un inciso dove si
specifica che il vescovo non ha l’obbligo di denuncia “salvo il dovere morale di contribuire al bene
comune”. Frase talmente generica che ogni vescovo la interpreterà a modo suo. Negli ambienti
ecclesiastici si considera comunque positivo questo invito a una buona collaborazione con le
autorità civili. Ma un conto è collaborare a un’indagine statale già avviata, un conto è non dare
l’indicazione di portare in tribunale il sospetto di un crimine. La Cei si premura anche - attivissima
nel creare pregiudiziali - di avvertire i vescovi d’Italia che, in base al concordato e al codice di
procedura penale, “sono esonerati dall’obbligo di deporre o di esibire documenti in merito a quanto
conosciuto o detenuto per ragioni del proprio ministero”. In altre parole, si vuole impedire che,
come negli Stati Uniti, l’autorità giudiziaria possa scoprire (grazie all’acquisizione della
documentazione interna di una diocesi) le manovre di insabbiamento o colpevole disattenzione di
un vescovo. Non c’è niente da immaginare, è tutto già successo e la documentazione è vastissima.
A Roma , sotto gli occhi di due papi, il vescovo Gino Reali (diocesi suburbicaria Porto-Santa
Rufina, pochi chilometri dal Vaticano) non ha mosso un dito nemmeno per avviare l’indagine
canonica - raccomandata dalla Santa Sede - in merito al prete Ruggero Conti, accusato di avere
abusato di sette minori. Conti è stato condannato in appello nel maggio scorso a quattordici anni.
Per tre casi è scattata la prescrizione, ora l’attesa indecente è che il ricorso in Cassazione prescriva il
resto. La Cei se ne lava le mani. Non è sua competenza - ribadiscono le Linee guida - se un vescovo
non osserva nemmeno le leggi della Chiesa, che intimano rapide indagini e sanzioni tranne in caso
di “manifesta infondatezza” delle accuse. Notazione finale. Se si prende il testo della Cei e si clicca
la parola “risarcimento”, il risultato è nullo.
Preoccupata di una tendenza auto assolutoria nella gerarchia cattolica – all’ombra di Francesco – la
redazione del National Catholic Reporter (il periodico americano che dal 1985 ha riportato gli
scandali negli Usa) ha invitato il papa a lavare i piedi il prossimo Giovedì Santo alle vittime di
abusi. Per decenni – ricorda il NCR – dei vescovi hanno “negato, mentito, impedito la rivelazione”
del dramma. “Nessuno di loro è stato mai chiamato a rendere conto”.
http://www.finesettimana.org/pmwiki/uploads/Stampa201403/140329politi.pdf
di Marco Politi
in “il Fatto Quotidiano” del 29 marzo 2014
Costretta a rielaborare le Linee guida anti-abusi, perché quelle del 2012 erano insufficienti, la Cei
presenta la versione 2014 e si attesta su una linea di assoluta retroguardia rispetto ad altri episcopati
d’Europa o degli Stati Uniti. Alla luce del passo compiuto da papa Francesco, istituendo una
commissione internazionale, a maggioranza di laici, composta per metà da donne e per metà da
uomini e comprendente una vittima di violenze, il nuovo documento della Cei risulta imbarazzante.
La Cei rifiuta di assumersi ogni responsabilità nel contrastare il fenomeno - lo proclama ad alta
voce in conclusione del testo: “Nessuna responsabilità, diretta o indiretta, per gli eventuali abusi
sussiste in capo alla Conferenza episcopale italiana” - e fugge da un impegno nazionale nel
monitorare il fenomeno, nell’istituire strutture di ascolto e di denuncia, nel verificare se i singoli
vescovi si attengono alle istruzioni vaticane. Zero di zero. Facendosi scudo di codice e concordato,
la Cei inculca ai vescovi che “nell’ordinamento italiano il vescovo, non rivestendo la qualifica di
pubblico ufficiale né di incaricato di pubblico servizio, non ha l’obbligo giuridico di denunciare
all’autorità giudiziaria statuale le notizie che abbia ricevuto in merito ai fatti illeciti”. In realtà
codice di procedura penale e concordato non c’entrano niente con il silenzio sulle violenze: qui la
questione era - ed è - se autonomamente la Cei ritiene obbligo di un vescovo denunciare un
criminale. La risposta delle Linee guida è no: la Cei non invita i vescovi a denunciare chi violenta
minori. E’ esattamente l’opposto di ciò che pensa Marie Collins, la credente cattolica abusata,
chiamata a far parte della commissione voluta da papa Francesco. “Che si arrivi, se i casi di abuso
sono accertati e la vittima consente, alla denuncia alle autorità civili. Questo passo è decisivo”, ha
dichiarato a “Repubblica” appena nominata.
Il piccolo passo in avanti, rispetto alle Linee guida del 2014, è costituito da un inciso dove si
specifica che il vescovo non ha l’obbligo di denuncia “salvo il dovere morale di contribuire al bene
comune”. Frase talmente generica che ogni vescovo la interpreterà a modo suo. Negli ambienti
ecclesiastici si considera comunque positivo questo invito a una buona collaborazione con le
autorità civili. Ma un conto è collaborare a un’indagine statale già avviata, un conto è non dare
l’indicazione di portare in tribunale il sospetto di un crimine. La Cei si premura anche - attivissima
nel creare pregiudiziali - di avvertire i vescovi d’Italia che, in base al concordato e al codice di
procedura penale, “sono esonerati dall’obbligo di deporre o di esibire documenti in merito a quanto
conosciuto o detenuto per ragioni del proprio ministero”. In altre parole, si vuole impedire che,
come negli Stati Uniti, l’autorità giudiziaria possa scoprire (grazie all’acquisizione della
documentazione interna di una diocesi) le manovre di insabbiamento o colpevole disattenzione di
un vescovo. Non c’è niente da immaginare, è tutto già successo e la documentazione è vastissima.
A Roma , sotto gli occhi di due papi, il vescovo Gino Reali (diocesi suburbicaria Porto-Santa
Rufina, pochi chilometri dal Vaticano) non ha mosso un dito nemmeno per avviare l’indagine
canonica - raccomandata dalla Santa Sede - in merito al prete Ruggero Conti, accusato di avere
abusato di sette minori. Conti è stato condannato in appello nel maggio scorso a quattordici anni.
Per tre casi è scattata la prescrizione, ora l’attesa indecente è che il ricorso in Cassazione prescriva il
resto. La Cei se ne lava le mani. Non è sua competenza - ribadiscono le Linee guida - se un vescovo
non osserva nemmeno le leggi della Chiesa, che intimano rapide indagini e sanzioni tranne in caso
di “manifesta infondatezza” delle accuse. Notazione finale. Se si prende il testo della Cei e si clicca
la parola “risarcimento”, il risultato è nullo.
Preoccupata di una tendenza auto assolutoria nella gerarchia cattolica – all’ombra di Francesco – la
redazione del National Catholic Reporter (il periodico americano che dal 1985 ha riportato gli
scandali negli Usa) ha invitato il papa a lavare i piedi il prossimo Giovedì Santo alle vittime di
abusi. Per decenni – ricorda il NCR – dei vescovi hanno “negato, mentito, impedito la rivelazione”
del dramma. “Nessuno di loro è stato mai chiamato a rendere conto”.
http://www.finesettimana.org/pmwiki/uploads/Stampa201403/140329politi.pdf
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