di Antonio Margheriti Mastino
Massì la dico la mia su mons. Nunzio
Galantino, voluto da Francesco e forse anche da Bagnasco alla segreteria
della CEI. La dico anche se onestamente mai avrei pensato di dover
sperperare così parte del mio tempo. Ma siccome sta avendo i suoi 5
minuti di notorietà eccoci qui a dirne. Ne parlo, ma senza volerci
perdere troppo tempo, e combattendo con gli sbadigli: comprendete la mia
frustrazione se passo or ora dalla lettura di Jean Guitton a questo
monsignore che per un lasso di tempo ha guadagnano il centro della
inarrestabile fiumana di parole vaticana.
Quando lo mandarono vescovo a Cassano
allo Ionio, mi racconta un amico di quella diocesi, professore di
lettere e orgoglioso antico ateo militante, la prima cosa che fece fu
mettersi in mostra come fosse il capo dello stato mandando nelle scuole un suo video
e laddove fu proiettato… si dovettero chiamare i rinforzi di bidelli
per tenere a bada gli studenti che appena aveva aperto bocca già avevano
deciso di ignorarlo dedicandosi ad altro. «E non potevo dar loro torto,
viste le melensaggini giovanilistiche senza né capo né coda…».
Insomma, la mondovisione scolastica di Galantino finì tra schiamazzi e
missili di carta lanciati sullo schermo dagli studenti. E ci credo! Fra
l’altro nel video affermava: “Noi veniamo guardati dai ragazzi e se loro
non ci seguono è perché non trovano niente di entusiasmante APPRESSO A
NOI”. Parole sante!
Mò lo hanno messo alla guida della
televisione della CEI, dove, racconta Magister, entra negli studi della
rete e non solo si comporta da padrone del vapore lanciando ordini a
destra e manca. Di che cosa sia capace di fare in tv, lo abbiamo visto a
Ballarò, dove, un mio amico che lavora come tecnico dietro le quinte,
mi ha detto “ha messo in imbarazzo tutti col cervellotico clericalese
che usava, le capriole verbose che a momenti ci mandava a picco gli
indici di ascolto in un paio di minuti e non si sapeva come farlo
smettere”.
Anche se, a onor del vero, un suo
collaboratore CEI, da me interrogato, dice che con lui lì si è trovato,
ai tempi di Benedetto, meglio che con gli altri, era simpatico, pratico,
alla mano, e persino «mediamente ortodosso, per quanto possa esserlo un
vescovo italiano». Gli è il fatto che all’epoca era un vescovo fra i
tanti.
Ha un sito personale: e da buon teologo
dei poveri non può che avere una home page dove si presenta con una
frase di Bonhoeffer. Un teologo che proprio perché luterano e finito nei
campi di concentramento – qualità queste che lo rendono “alla moda” il
doppio – non può che, al solo evocarlo, di riflesso dare al nostro
quell’aurea di cosmopolitismo che possa proiettarlo per incanto nel
gotha dei massimi pensatori teologali di qui al XX secolo e da lì
all’eternità. Citazioni che possono impressionare l’uomo della strada,
anche se nell’oratoria di Galantino predomina una fraseologia frigida e
logicamente sconnessa, un miscuglio inestricabile e incomprensibile di
para-sociologismi, para-psicologismi e para-teologismi che a non pochi
fa scappare la risa a sentirlo. In una parola: una supercazzola con
scappellamento a sinistra. Volete una prova? Sentite:
«Un sentimento religioso che poggia
su tracce cristiane infantilistiche, anche nel linguaggio e nelle
immagini, che rivelano tutta la loro inadeguatezza e tutta la loro
marginalità rispetto a ciò che nel conta nel mondo adulto».
L’ho postata sul mio profilo facebook,
facendo crepare di risa fior di cattolici. A proposito di “mondanità
spirituale che rende ridicoli”. Volete la super-mega-cazzola con
scappellamento a sinistra che ha fatto il botto? Domandiamoci cos’è la
fede? In termini inequivocabili il Galantino ce lo spiega seduta stante:
«La fede, senza negare il valore che ha ogni conoscenza
razionale, non può essere ridotta a questa, la fede infatti è esperienza
di relazione, attraverso la quale il credente viene inserito in un
dinamismo di comprensione e di condivisione responsabile».
Avete capito? Questo è parlare chiaro,
ma che dico: è poesia, pensiero in versi, teologia in rima. Dante
Alighieri gli fa una pippa a queste supercazzole. Solo alcune cose,
sciocchezze, piccolezze, particolari non abbiamo capito, nonostante
l’abbiamo letta e riletta venti volte di seguito. Chiedo lumi ai miei
cattolicissimi contatti facebook, i quali mi corrono in soccorso:
«Relazione/dinamismo di comprensione/condivisione responsabile. Il
segreto è tutto qui, in questi tre concetti», dice qualcuno.
Sganasciandosi. Un altro quasi mi rimprovera, trattenendosi la panza:
«Tu sei poco dinamicamente comprensivo e non condividi responsabilmente,
di qui la tua scarsa esperienza di relazione. Questo è il problema tuo,
in parole povere». Mi crepo pure io.
Ci sarebbe da ridere per la successiva
supercazzola, se non fosse ahimè tragica, pronunciata per rendersi
“bello” agli occhi del suo capo, imitandolo e facendogli il verso nelle
improvvide esternazioni lassiste, e va da sé inciampando nella sua
livrea, fino a dover fare una penosa smentita poi, che oltre ad essere
una notizia data due volte è anche peggiore dell’esternazione stessa:
«Io non mi identifico con i
visi inespressivi di chi recita il Rosario fuori dalle cliniche che
praticano l’interruzione di gravidanza, ma con quei giovani che sono
contrari a questa pratica e lottano per la qualità delle persone, per il
loro diritto alla salute, al lavoro».
Personalmente, io, guardo Galantino e
non mi identifico con la sua espressività eppure lotto perché anche lui
un giorno abbia diritto ad un lavoro dignitoso…
Perché in pratica ha detto che dei
ragazzi, che sono contrari all’aborto e lottano per la qualità delle
persone, per il loro diritto alla salute, al lavoro, la cosa che a lui
non piace sono i loro visi inespressivi mentre recitano il rosario. Un vaticanista commenta: «Visi inespressivi?
Forse stanno pensando a quello che recitano…». Al contrario di tanti
vescovi che recitano senza pensare. Viene un altro dubbio: il
monsignore vorrebbe identificarsi “con quei giovani che sono contrari a questa pratica“: ma a quale “pratica” si riferisce, all’aborto o alla recita dei rosari? Per di più ha detto “interruzione di gravidanza” mica aborto: in questo attacco di clericalite acuta è riuscito pure ad essere politicamente corretto.
Non sottovaluterei anche questo passo: «In
passato ci siamo concentrati esclusivamente sul no all’aborto e
all’eutanasia. Non può essere così, in mezzo c’è l’esistenza che si
sviluppa». Come no! Tra l’aborto e la vita c’è la via di mezzo, il
bambino metà vivo e metà morto. Tra l’eutanasia e la vita c’è il
vecchio/malato mezzo vivo e mezzo morto. E la “qualità delle persone” che cos’è? La versione 2.0 della santità? “Siate qualitativi, come lo è il Padre mio nei Cieli“. Mah!
Chi vuole prendere in giro con queste
supercazzole con scappellamento a destra, a sinistra e laddove tira il
vento? Come può essere considerato credibile se continua a fare simili
dichiarazioni?
Ha ragione il responsabile del sito Et-Et, quel Mallia che conclude: «Andando
un po’ oltre, mi veniva in mente questa frase di McLuhan, riferita alla
TV (ma buona per ogni media): “E’ il più grande strumento della
secolarizzazione”. Quel grande cattolico, senza volere, ha detto una
verità valida per molto clero: a contatto con i media, si secolarizzano
quasi istantaneamente!».
Non pensano a Dio quando parlano: ma a
quell’autentico strumento di satana che è diventata la maledetta
maleodorante “carriera vaticana”. Così questo vescovo pensa solo al
Papa, a compiacerlo imitandolo, così posticciamente che lo danneggia
invece di lusingarlo. I prelati sono per loro natura siffatti, basta che
uno di loro si alzi in piedi e detti la linea, e tutti si allineano se
questo può incidere nelle loro carriere. Pastori sono pochi; ci stanno
impiegati della Chiesa in attesa di uno scatto. Di carriera. Della quale
nessuno presto si ricorderà. Contenti loro…
Post scriptum di F. Colafemmina
Caro Mastino, la supercazzola da te
citata mi ricorda un cameo del Cardinal Braz de Aviz in Amici Miei, ma
sì, il tipo sospettato di esser l’amante della moglie del Necchi,
quello cui fan sorbire un brodino “corretto”… Una zingarata che oggi
vedrebbe comodamente un Francescano dell’Immacolata al posto del Necchi.
Ad ogni modo stiamo parlando di maschere tragicomiche che starebbero
bene in una commedia di Monicelli, se non fossero inadeguate alla
profondità intellettuale del regista. Così il Galantino, un nome che
evoca un rinascimento in miniatura, ma che, tolto il rinascimento –
presunto – della Chiesa francescana, rischia di restare una miniatura.
Una Chiesa che miete consensi se si
celebra una messa con don Ciotti e si grida: “che le chiese crollino
pure, basta che la Chiesa non faccia affari con la politica”. E giù gli
applausi vigorosi! Ma sì, prendiamoci pure per i fondelli, visto che don
Ciotti risulta essere il primo politicizzato, il primo quanto ad affari
con la politica. Uno che pur di piacere ai suoi politici non esita a
cantare “bella ciao” al termine della messa.
Così pure al buon Galantino, cresciuto
all’ombra del liturgo Di Molfetta che di recente ha speso qualche
centinaio di migliaio di euro per “adeguare” il suo Duomo edificandovi,
tra l’altro, un trono episcopale che s’illumina come l’astronave di Star
Trek, vien facile gridare “le chiese crollino!” quando lui, in
occasione della sua ordinazione episcopale, ha visto il comune di
Cerignola rimettere a nuovo la piazza del Duomo e si è fatto pure
innalzare il presbiterio del Duomo di mezzo metro, grazie all’erezione
di una pedana ricoperta di moquette grigia, pur di rendere ben visibili
alle telecamere se stesso, l’ordinante Bagnasco, il liturgo Di Molfetta e
il codazzo di vescovi, pugliesi e non, accorsi per addormirsi durante
le due ore di sonnolenta cerimonia.
Ma non si è fermato alla richiesta di un
crollo delle chiese. In una climax ascendente di castronerie è riuscito
a raggiungere vette degne di Messner. Salvo poi tentare una excusatio
con le seguenti “accorate” parole: “spesso purtroppo è più comodo fare e
proporre crociate che impegnarsi a “dare ragione della propria fede”,
come ci ricorda San Pietro, il quale, aggiunge che bisogna farlo con
delicatezza e con rispetto degli altri.”
Delicatezza, tenerezza, rispetto, e
tante analoghe melense buone intenzioni. Espressione di una Chiesa
smidollata; i greci antichi avrebbero detto “malakì”, molle, effeminata.
I greci moderni parlerebbero invece solo di “malakies”. Anche perché
giova ricordare che San Pietro quelli che non tenevano conto delle sue
direttive per il bene della Chiesa era solito fulminarli sul colpo, così
almeno accadde ad Anania e Saffira.
Insomma, la tristezza di questi tarapia
tapioco è che credono di comunicare con le parole come se fossero antani
posterdati con trazione per due a mo’ di supercazzola bitumata… E
allora fanno i loro sermoncini e sparano le loro supercazzole con fuochi
fatui… per sentirsi umili, quando in realtà farebbero solo bene a
tacere! Caro Mastino, a noi non resta pertanto che fare una sola cosa:
brindare alla supercazzola prematurata con scappellamento anafestico
perché per dirla col conte Mascetti a noi di Galantino e compagni
“c’importa sega!”.
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