ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

sabato 24 maggio 2014

Si accettano scommesse 10:1 x no (antiecumenica!?)

Via libera al miracolo di Mariam di Betlemme           Il Papa nel suo viaggio in Terra Santa annuncerà la canonizzazione della beata Mariam di Betlemme? La speranza è grande tra i tanti devoti della piccola araba, mistica e donna votata al servizio più umile e concreto, tanto da entrare al Carmelo come suora conversa, ovvero tra le sorelle che si occupavano di curare gli affari materiali per le monache dedite alla preghiera e alla contemplazione.


Maria di Gesù Crocifisso
Una vita sfiorata dal martirio. Quando aveva dodici anni, Miriam fu aggredita e quasi uccisa da un servitore musulmano che voleva convincerla ad abbandonare il cristianesimo per abbracciare l’Islam. Quando rifiutò, l’uomo le tagliò la gola, poi l’abbandonò per strada. Fu soccorsa da una donna che la curò e la istruì, nella quale la ragazzina più tardi riconobbe la Vergine Maria.
Il miracolo attribuito alla beata Maria di Gesù Crocifisso, questo il nome da religiosa della giovane palestinese, è stato approvato dai medici della Congregazione per le cause dei santi, così adesso c’è il via libera perché Mariam, nata ad Abellin, in Galilea, nel 1846, e morta a Betlemme il 26 agosto 1878, possa essere canonizzata. Quel che è certo al momento è che il Patriarcato latino vuole accogliere con un poster della piccola araba il Papa durante la Messa a Betlemme.

Mariam, o Miriam, o Mary, o Maria, come viene chiamata in arabo, in ebraico, in inglese, in latino e in italiano, è stata proclamata beata da Giovanni Paolo II. Una piccola suora, figlia di genitori mezzo libanesi e mezzo siriani, che fondò monasteri arrivando fino in India. E ricevette grandi grazie mistiche: tra tante, le si attribuisce la localizzazione del luogo in cui si sarebbe svolta la cena di Emmaus.
La devozione verso di lei ha varcato le soglie del Carmelo e della Terra Santa, arrivando un po’ ovunque. A Medjugorie sono molti i devoti di Maryam: a parlare e scrivere di lei è stata soprattutto suor Emmanuel Maillard, fondatrice dell’associazione “Children of Medjugorie”.
Posso raccontare anche io una grazia ricevuta con la sua intercessione: il matrimonio di una mia carissima amica, che conviveva da tanti anni con il suo fidanzato. Durante un viaggio in Terra Santa ho lasciato un bigliettino per il Carmelo di Betlemme, dove è custodito il corpo di Mariam.
Quando mi sono state annunciate le nozze, in quello stesso giorno, accendendo la tv, ho trovato diciamo così per caso un documentario che parlava di lei. Chiunque conosca un minimo i palinsesti può capire quanto sia una coincidenza singolare!
Ma non basta. Ho incontrato per un altro diciamo così caso gli sposi mentre parlavano con il sacerdote per fissare la data del matrimonio. Era una mattina di un giorno feriale e ci siamo trovati in chiesa. Tutto ciò è stato sufficiente a convincere me che ci sia stato il suo aiuto. Non so se vale anche per voi!
Se volete avere notizie approfondite di Mariam, potete cliccare qui
http://blog.ilgiornale.it/cottone/2014/05/23/via-libera-al-miracolo-della-beata-mariam-di-betlemme/

Un biglietto per tre: il rabbino, l'imam e il papa

Un ebreo e un musulmano nel seguito ufficiale di Francesco in Terra Santa. Ma non tutto fila liscio nei rapporti con l'ebraismo e l'islam. La strategia di Bergoglio: "accarezzare i conflitti"

di Sandro Magister





ROMA, 23 maggio 2014 – Jorge Mario Bergoglio non è nuovo agli imprevisti, quando mette piede in Terra Santa. La prima e finora unica volta che ci andò, nell'ottobre del 1973, incappò nella guerra del Kippur e poté visitare poco o nulla.

Questa volta ci torna da papa, il viaggio è lampo, di soli tre giorni tra sabato 24 e lunedì 26 maggio, ma il programma è mozzafiato, con una grossa novità già prima della partenza: Francesco ha voluto come membri del suo seguito ufficiale un ebreo e un musulmano, Abraham Skorka e Omar Abboud, due suoi amici argentini.

Il rabbino Skorka ha fatto balenare che a Gerusalemme, davanti al muro del tempio, il papa e lui faranno un gesto che entrerà nella storia. Si abbracceranno e pregheranno insieme, con questa profezia di Isaia come guida: “Benedetto sia l’Egiziano mio popolo, l’Assiro opera delle mie mani e Israele mia eredità”. Una musica di pace per quella martoriata regione e per i due popoli dell'Antico e del Nuovo Testamento.

La forte amicizia tra un papa e un ebreo non è una novità. Perfino l'intransigente Pio X aveva per amico l'ebreo Moisé Jacur, possidente terriero nel basso Veneto. Il discusso Pio XII era ammiratissimo dal rabbino capo di Roma, Israel Zolli, che alla fine addirittura si convertì e prese il nome di battesimo del papa, Eugenio.

Ma di ebrei ce ne sono tanti, e non tutti provano per l'attuale papa il medesimo trasporto del rabbino Skorka.

Ad esempio, a molti ebrei non piace affatto che Bergoglio abbia ripreso a chiamarli "fratelli maggiori", come per primo aveva fatto papa Karol Wojtyla.

Benedetto XVI, anche lui amico di un grande studioso ebreo, l'americano Jacob Neusner, aveva avvisato dove stava il pericolo: nella tradizione ebraica il "fratello maggiore", ovvero Esaù, è quello che viene retrocesso e soppiantato dal minore, Giacobbe. Al cui posto vincente si metterebbe oggi la Chiesa.

Papa Benedetto preferiva chiamare gli ebrei "nostri padri nella fede".

*

Anche con l'islam Francesco ha un rapporto di luci e ombre.

La prima tappa del viaggio sarà la Giordania, la cui casa reale diede impulso sette anni fa a quella lettera dei 138 saggi musulmani in risposta al memorabile discorso di Benedetto XVI a Ratisbona che segna tuttora il punto più alto nel dialogo tra cristiani e musulmani.

Ma a poca distanza da Amman e dal fiume Giordano nel quale Gesù fu battezzato ci sono la Siria, l'Egitto, l'Iraq, quella mitica "fertile mezzaluna" che è oggi teatro di uno scontro fratricida tra l'islam sciita e sunnita, tra l'Iran e i reami del Golfo, con i cristiani vittima degli uni e degli altri, in disperato esodo da quelle terre che nei primi secoli della Chiesa furono tutte rigogliosamente cristiane.

E più lontano c'è l'Africa, anche lì con i cristiani sotto attacco sistematico non solo di gruppi fanatici musulmani come Boko Haram in Nigeria, ma anche di Stati come il Sudan che danno forza di legge ai precetti più violenti dello stesso Corano.

È rimasto deluso chi si aspettava che papa Francesco alzasse anche lui subito e vigorosamente la voce contro il sequestro fatto da Boko Haram di centinaia di studentesse e contro la condanna a morte in Sudan di una giovane madre di nome Meriam, con un figlio di venti mesi e un altro in grembo da otto, colpevole solo di essere cristiana: due eventi che hanno sollevato fortissime proteste in tutto il mondo.

Bergoglio è cautissimo ad uscire allo scoperto su questo terreno esplosivo. Non solo per una prudenza che vuole evitare di aggravare ancor più la situazione di comunità cristiane già in pericolo estremo, ma proprio per una sua visione del dialogo, tra islam e cristianesimo, come ricerca di ciò che unisce invece che giudizio su ciò che divide. Il rabbino Skorka ha detto d'aver ascoltato da lui che "dobbiamo accarezzare i conflitti".

Nella "Evangelii gaudium", il manifesto programmatico del suo pontificato, Francesco ha reclamato per i paesi musulmani quella libertà di culto di cui i credenti nell'islam godono nei paesi occidentali.

Ma il gesuita egiziano Samir Khalil Samir – l'islamologo che durante il pontificato di Benedetto XVI era tra i più ascoltati dalle autorità vaticane e dallo stesso papa – gli ha obiettato di aver taciuto su quella privazione della libertà di convertirsi da una religione all'altra che è il vero punto dolente del mondo musulmano.
http://chiesa.espresso.repubblica.it/articolo/1350801

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