DELL’INCONTRO” SOSTITUISCE IL BASALTO DEL GIUDIZIO POSTO DALLA “TEOLOGIA DELL’ANNUNCIO”.
Considerandola
in altro modo: parrebbe potersi intravede re, se pur da lontano, se pur
vaghissimo, p. es. con il riferimento visto all’ex auditu,
o, ancora, al § 41, un certo principio autoritativo-obbedienziale.
Bene. Ma, a parte che sarebbe quasi pressoché perso, con la sua quasi
completa perdita, il principio fondativo del cattolicesimo, e, con ciò,
di tutto l’universo civile e culturale in cui muovesi l’uomo, dove sono
il princìpio di non-contraddizione che lo governa, la libertà che ne permette il sopruso, il giudizio che lo difende, la punizione e l’eventuale penitenza che ne ripristinano il diritto?
Quella
che, per questo preciso motivo — e, si badi bene, per nessun altro, ma
questo basta —, da ottima teologia “finale” è stata, isolandola,
pervertita in quella che a mio avviso è una falsissima e pericolosissima
teologia “iniziale”, è stata gonfiata, ampliata, esaltata esattamente
per scalzare il principio ipercattolico e porre sul suo trono un
bugiardo principio d’amore: dire “incontro con una Persona” vorrebbe
poter dire “amore con, di, da e per una Persona”;
infatti la presenza estensiva e prepotente, nella Lettera, di questa
teologia, soffoca e snerva senza pietà l’altra: le brucia per sempre le
ali.
Il fatto è che, di per sé,
filosoficamente parlando, la “teologia dell’Incontro”, imperniandosi
sul sentimento invece che sul pensiero, ossia imperniandosi precisamente
e volutamente su ciò che, come l’amicizia, è la presentazione di sé
“così come si è” (con relativa accettazione da parte dell’Altro, cioè
di Dio, di ciò che si è noi), vuole escludere a priori ogni
giudizio, ed è ben giusto che ciò succeda, perché essa non è altro che
una “teologia-non-teologia”, e per la filosofia il passaggio dalla
“teologia dell’Annuncio” a quella “dell’Incontro” non è che il
passaggio da un insegnamentoa un e- vento, da un concetto a una fenomenologia, da un ben preciso e circostanziato logos a una vaga e indefinita mozione degli affetti, ossia dall’idea all’atto, le quali cose, però, così dis-ordinate, non portano solo a un ribaltamento del loro ordine naturale, frutto malato dell’ameriana « dislocazione della divina Monotriade », ma pongono tale ribaltamento su due piani disassati, su due piani ortogonali, perché una cosa è passare da un concettoall’atto
che lo realizza — dalla progettazione, che tiene conto delle leggi di
costruzione, in primo luogo quelle che distinguono il vero dal falso e
il bene dal male, alla fabbricazione -, altra è anteporre l’atto realizzativoal concetto - la
fabbricazione alla progettazione -, magari anche quest’ultima
cancellando del tutto — una fabbricazione senza progetto, senza leggi,
senza distinzione tra vero e falso eccetera —; in una parola: dalla
teoria alla prassi, anteponendo la prassi alla teoria, che è a dire
cancellando, annullando del tutto la teoria. C’è una cosa più grave di
questa?
Essa toglie all’atto umano quella
coscienza di sé dovuta alla riflessione filosofica e teologica compiuta
attraverso la conoscenza (cioè la parola), e, tale conoscenza, sia
diretta che per testimonianza (di fede). Ma se togliamo all’atto umano
la coscienza che le permette di avere la riflessione, facciamo
dell’uomo una formica, un rospo, una scimmia, un bue.
Sicché
chi è invitato a seguire la “teologia-non-teologia dell’Incontro”, o
“dell’Evento”, o “della Persona” — prima tutti i giovani di CL e i
fedeli dei tanti movimenti carismatici (focolarini, pentecostali,
neocatecumenali, Taizé, Bose, Sant’Egidio eccetera), ora poi, per lenta
ma costante osmosi, praticamente tutta la Chiesa — si trova a dover
affrontare realtà cui, come per il calcolo di stabilità di un edificio,
non è assolutamente preparato, mancandogli quelle basi acquisibili solo
con la “teologia dell’Annuncio”, della Parola, del Logos, cioè dell’Insegnamento intorno a Quella Persona (che pur andrà incontrata, e al cui incontro tutto è subordinato, ma un giorno: solo in Paradiso).
In altre parole, l’amore non può precedere la fede, né la dottrina che lo disegnano e configurano in quell’amore lì (nel- l’“amore di dedizione”, o caritas),
e senza le quali esso, privo di ogni individuazione, di ogni base, di
ogni specificazione, di ogni distinzione, e di altre nozioni così, o
almeno privo di tutte quelle specificazioni contenute in una corretta
“teologia dell’Annuncio”, verrebbe avvicinato, o persino identificato,
con le erronee nozioni di “amore” di altre confessioni religiose e
persino di concezioni irreligiose e antireligiose, come infatti sta
drammaticamente avvenendo nelle nostre società, prone ormai da tempo
agli insegnamenti distribuiti a piene mani dal laicismo dittatoriale
imperante.
Peggio. Quella che, spostata dal
suo corretto luogo conclusivo e finale, si impoverisce in una tutta
fenomenologica, soggettiva ed esistenzialistica “teologia
dell’Incontro”, o “dell’Esperienza”, o “dell’Evento” (ma dire
“esperienza”, o “evento”, è dire Heidegger, è dire fenomenologia
esistenziale e antimetafisica), ha in cinquant’anni vanificato e reso
del tutto obsoleta, di più: sgradevole, spregevole, insopportabile, la
vera, santa, millenaria, e specialmente metafisica, oggettiva e
dogmaticamente aletica “teologia dell’Annuncio”. Ha reso irrespirabile
l’unico luogo teologico della Chiesa che dovrebbe essere considerato
assolutamente vitale a ogni altro passo (il quale passo, poi, comunque,
non può che essergli successivo).
La
“teologia dell’Incontro”, così santa, desiderabile e gloriosa se posta
nel suo luogo deputato, se posta cioè come la Terza Persona è posta dopo il Logosche
è la Seconda, fa terra bruciata di ogni nozione che si presenti come
legge, comando, giudizio di verità, con tutti i conseguenti contrappesi
di obbedienza, obbligazione, anathema e peccato, sicché avviene
che il dogma, sulla strada luminosa e solare della comunione d’anime -
direbbe qui il politologo Paolo Franchi, che così scrisse a proposito
della tradizione politico-culturale dei cattolici democratici secondo i
politici e i commentatori del momento -, il dogma, dicevo, viene
lasciato lì, in mezzo alla strada, « come un cane morto » (Corriere della Sera, 3-9-13).
[E. M. Radaelli – La Chiesa ribaltata]
- InfinitoQuotidiano Daniele Di Geronimo (noreply@blogger.com) Web site view
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* immagine aggiunta non appartenente al sito indicato
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il Signore ha detto siete il sale della terra.....ci vogliono tramutare in zucchero perché non pronunciamo più condanna del peccato anzi oltre a vedere le povere anime laiche che rischiano l'inferno noi stessi che cerchiamo di seguire il Signore attirati da queste trappole al miele rischiamo la vita eterna!!!
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