ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

mercoledì 30 luglio 2014

Peiora sequentur


Bergoglio, i Pentecostali… e poi? 

martedì 29 luglio 2014
è pervenuta in Redazione:
Caro Gnocchi,
                          già la notizia del Papa che incontra il “vecchio amico” Giovanni Traettino, “pastore” della chiesa evangelica della riconciliazione di Caserta mi aveva stupito. Certo, il Papa privato cittadino può avere tutti gli amici che vuole, ma il Papa non è un privato cittadino, è il Vicario di Cristo e non può ignorare che ogni suo gesto è osservato e commentato in tutto il mondo. Poi lo incontra per convertirlo? Assolutamente no! Su una agenzia cattolica come Zenit leggo una serie di acrobazie su amicizia, diversità, punti di incontro che devono prevalere su quelli di divisione. Mi sembra un discorso che potrebbe andar bene per due capi di partito che devono trovare per forza un accordo per metter su un governo. Ma il Papa non è il capo della Chiesa cattolica, a cui Cristo ha dato la custodia della Verità? E quante verità ci sono? 
Però questo sarebbe ancora poco o nulla. È quello che ho sentito per radio e poi letto oggi pomeriggio (su Vatican Insider) che non mi stupisce, piuttosto mi scandalizza. Perché il Papa ha detto (riporto pari pari)  “una tentazione dire: io sono la Chiesa tu sei la setta. Gesù ha pregato per l’unità. Lo Spirito Santo fa la diversità nella Chiesa. Lui fa la diversità. Ma poi lo stesso Spirito Santo fa l’unità e la Chiesa è una nella diversità. Una diversità riconciliata per lo Spirito Santo”. Lo Spirito Santo, ha detto ancora Bergoglio, “fa la diversità nella Chiesa. La diversità è tanto bella, ma lo stesso Spirito Santo fa anche l’unità, così che la Chiesa è una nella diversità: per usare una parola bella, una diversità riconciliante. Lo Spirito Santo è armonia, armonia nella diversità”.

A parte il fatto che mi sembra un parlare aggrovigliato, ma qui avremmo assurdità come Gesù che prega per l’unità, e lo spirito Santo che fa qualcosa d’altro (la diversità). Cosa facevano, lavoravano ognuno per suo conto? E poi che mai vuole dire che la Chiesa è una nella diversità? Perché non dice mai Chiesa “cattolica”. Mi sembra tutto un minestrone da cui l’unica cosa che verrebbe fuori è che ci si può salvare in una chiesa “a scelta”. L’unicità della Fede cattolica allora ce l’hanno detta per scherzo negli ultimi duemila anni?

Scusi se queste righe sono buttate giù un po’ in disordine e mi scusi anche se sono stato un po’ lungo. Ma questi discorsi, se uno non sapesse che li ha fatti il Papa, potrebbe pensare che vengano da uno dei mille sostenitori di un “dio” sempre più evanescente e imprecisato, spruzzando qua e là un po’ di parole belle come unità, diversità, armonia (armonia di che?). La necessità di convertirsi alla Chiesa cattolica, che mi hanno insegnato fin da bambino, non è nemmeno accennata.
Non dico nulla sulla richiesta di perdono agli evangelici perseguitati dal regime fascista. Non ne avevo mai sentito dire, ma mi documenterò. Ma ho un po’ la nausea di questa libidine delle scuse. E non dico nulla neanche sul cardinale di Milano, Scola, che fa gli auguri agli islamici per il Ramadan. Mi sembra che siamo ormai a gara a cercare le fantasie più strane. Scusi, dov’è finita la Chiesa cattolica?
Gino Lodrini
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Caro Lodrini,
non immagina quanti altri lettori, dopo la visita di papa Francesco ai pentecostali di Caserta, hanno scritto per porre le stesse questioni che pone lei, fino all’ultima: ma dove è finita la Chiesa cattolica? Non si poteva non rispondere e non si poteva non entrare almeno in qualche dettaglio.  Per questo consegno con qualche ora di ritardo la rubrica al direttore di “Riscossa Cristiana”.

L’unica nota positiva in questa vicenda, caro Lodrini sta nel fatto che lei e gli altri lettori avete mostrato un buon fiuto giornalistico: avete trovato la notizia là dove gli addetti ai lavori l’hanno bucata bellamente. È vero che voi siete facilitati dal possedere ancora la fede e la dottrina cattolica, ma avete dato dei bei punti ai giornalisti di professione che hanno parlato dell’incontro di papa Francesco con i pentecostali puntando sulla richiesta di scuse per le persecuzioni avvenute in Italia durante il periodo fascista.
Qui, però, devo spendere una parola di giustificazione per i poveri colleghi. Come lei sa, i giornali hanno bisogno di condensare fatti e idee anche complessi in un solo titolo che ne mostri il lato straordinario. Non avendo almeno un’infarinatura di dottrina cattolica, non hanno scelto il tema che lei ha perfettamente messo a fuoco, ma il lato più eclatante della vicenda, direi più grottesco: il Papa che scavalca a passi giganteschi i suoi predecessori chiedendo scusa per le colpe di un particolare regime politico e non più per quelle della Chiesa o degli uomini di Chiesa.

Sui massmedia, il tema delle scuse da parte dei cattolici funziona sempre perché piace tanto al mondo. E, purtroppo, piace ancora di più a quei cattolici convinti di essere tanto più autentici quanto più si vergognano di essere cattolici. In questo campo bisogna dire che se gli ultimi pontificati hanno fatto miracoli, quello di Bergoglio sta mostrando di non temere confronti. Ma questo, per quanto drammatico, è un punto secondario rispetto allo spettacolo a cui assistiamo gratuitamente ogni giorno. Gratuitamente per modo di dire, perché lo paghiamo con la nostra sofferenza, per ora solo spirituale.

Per arrivare là dove non sono arrivati i colleghi folgorati sulla via della richiesta di scuse per le colpe del regime fascista, bisogna partire da un dettaglio che si trova nel saluto indirizzato dal pastore pentecostale Giovanni Traettino al Papa durante l’incontro di Caserta: “Verso la sua persona, anche tra noi evangelici, c’è tanto affetto per lei (applausi) e tanti di noi anche ogni giorno pregano per lei (applausi). Del resto, è così facile volerle bene. Diversi di noi credono perfino che la sua elezione a vescovo di Roma sia stata opera dello Spirito Santo (applausi)”.

Proprio così, il pastore tanto amico di Bergoglio si è fatto beffe di lui, del papato e dello Spirito Santo. Rileggere per credere: “Diversi di noi credono perfino che la sua elezione a vescovo di Roma sia stata opera dello Spirito Santo (applausi)”. E lui, il Vicario di Cristo, non ha smesso il suo sorriso. Non ha protestato per l’offesa alla sua persona perché era avvolta nella carta dorata dell’apprezzamento: questa, forse, potrebbe persino essere venduta come umiltà. Ma non lo ha fatto neanche davanti al dileggio del pontificato e a una bestemmia contro lo Spirito: e questo è colpevole silenzio.

Un dettaglio che va compreso nel quadro tracciato dal breve discorso indirizzato ai pentescostali nel quale Francesco ha detto, tra l’altro: “Lo Spirito Santo fa la diversità nella Chiesa e questa diversità è tanto ricca, tanto bella; ma poi, dopo, lo stesso Spirito Santo fa l’unità. E così la Chiesa è una nella diversità. E per usare una parola bella di un evangelico, che io amo tanto: una diversità riconciliata dallo Spirito Santo”.

Qui, caro Lodrini, sta la notizia che lei a tanti altri lettori avete colto sotto il naso di tanti addetti ai lavori. Bergoglio si è ben guardato di parlare una sola volta di Chiesa cattolica. Ha lasciato aleggiare l’idea di una “chiesa” che comprenderebbe tutti coloro che si aggirano nelle periferie esistenziali. Una sorta di “superchiesa” di cui, a quanto pare, la Chiesa cattolica dovrebbe far parte a titolo paritario con eretici e scismatici di ogni risma. Così, a ogni buon conto, si pone sempre enfasi sul vescovo venuto dalla fine del mondo a compiere l’ufficio di vescovo di Roma.
Quali caratteristiche debba avere questa “superchiesa” lo spiega benissimo l’autore citato da Francesco senza nominarlo, “l’evangelico, che io amo tanto”: Oscar Cullmann. È proprio Cullmann ad aver immaginato in un’opera del 1986 intitolata L’unità attraverso la diversità, il passaggio “dalla diversità scomunicata alla diversità riconciliata”.

A questo punto, caro Lodrini, mi permetta di lasciare la parola al teologo valdese Paolo Ricca che parlava di Cullmann in una relazione tenuta a Milano il 12 aprile 2010 nell’ambito del ciclo “La Chiesa una è possibile?”, organizzato dal Segretariato attività ecumeniche - SAE e dall’Ambrosianeum. In quell’occasione, Ricca analizzava l’opera del teologo luterano e diceva, tra l’altro quanto trova riportato qui sotto in corsivo con alcuni passi evidenziati in nero.

L’idea fondamentale è chiara fin dal titolo: l’unità cristiana non si fa malgrado la diversità, cioè la diversità non è un ostacolo o un intralcio per l’unità; e non si fa neppure nella diversità, come se unità e diversità coesistessero, una accanto all’altra, in una posizione di coesistenza pacifica, ma senza appartenersi, senza integrarsi l’una nell’altra, no – dice Cullmann – l’unità cristiana si fa attraverso la diversità, cioè la diversità è l’ingrediente principale dell’unità cristiana, nel senso che un’unità che non contenga dentro di sé la diversità, anzi le diversità, non è unità cristiana. A partire da questa intuizione fondamentale che la diversità è costitutiva dell’unità cristiana, proprio come la diversità delle membra è costitutiva del corpo umano, Cullmann elabora il suo progetto di unità delle chiese.
Mi preme mettere in luce le tre intuizioni di fondo che ispirano il ragionamento di Cullmann.
1) La prima è che alla base delle tre grandi tradizioni e confessioni cristiane (oggi ne aggiungerei una quarta: quella pentecostale) c’è una «particolarità carismatica»e questo determina un modo totalmente nuovo di vedere e valutare l’altra confessione, davanti alla quale mi devo chiedere: «Quale dono dello Spirito essa incarna, forse in maniera imperfetta, ma pur sempre effettiva?» – devo cioè cercare il carisma, non la sua eventuale deformazione, come siamo abituati a fare.
2)  La seconda intuizione è che in ogni tradizione c’è realmente la possibilità della deformazione, e ciascuna tradizione e confessione è tenuta a purificare il proprio carisma da queste deformazioni. Questo vale, secondo Cullmann, anche per il papato che egli considera un «carisma cattolico» (o.c., 79) e non in sé una deformazione, ma aggiunge che le deformazioni ci sono state, per cui solo un papato diverso potrebbe essere visto come una «possibilità» da parte delle chiese della Riforma, ma non come una «necessità dogmatica», cioè riconoscendo il papato come ius divinum.
3) La terza, fondamentale, intuizione è che le diverse tradizioni e confessioni, proprio nella loro diversità, ricondotta però alla diversità dei rispettivi carismi originari, è costitutiva dell’unità cristiana e deve essere non solo rispettata, ma valorizzata. Infatti «anche l’uniformità è un peccato contro lo Spirito Santo» (o. c. 20). Nella storia della chiesa si sono commessi certamente molti peccati contro l’unità, ma anche molti contro la diversità. La storia della chiesa può anche essere scritta come una storia di diversità scomunicate. In fondo, tutto il progetto di Cullmann potrebbe essere riassunto in questi termini: dalla diversità scomunicata alla diversità riconciliata.
Secondo Cullmann la natura dell’unità è «una comunione di chiese diverse, perfettamente autonome» che si danno reciprocamente «la mano di associazione» Come Giacomo, Pietro e Giovanni la diedero a Paolo e a Barnaba, a Gerusalemme quando si riconobbero vicendevolmente apostoli di Gesù Cristo e suddivisero i rispettivi campi di lavoro (Galati 2,9). Bisogna dire che c’è stata una certa oscillazione nel linguaggio quando si trattava di descrivere esattamente la natura del vincolo unitario tra le chiese: all’inizio Cullmann ha parlato di «Federazione», termine presto abbandonato, poi «comunità», ma anche «alleanza», infine ha prevalso «comunione», in greco koinonia, che ha il vantaggio di essere biblico. Quindi l’unità è una koinonia, una comunione di chiese diverse. Questo significa che le chiese restano sostanzialmente quello che sono – la chiesa cattolica resta chiesa cattolica, quella protestante resta protestante, quella ortodossa resta ortodossa – custodendo ciascuna i dono che lo Spirito ha loro elargito, e al tempo stesso riconoscendo i doni dello Spirito che le altre chiese hanno ricevuto e formando così, attraverso questo riconoscimento della diversità come creazione dello Spirito, la comunione di tutti quelli che invocano il nome di Gesù.

La citazione è forse un po’ lunga, ma penso che contenga la risposta tanti quesiti che si pongono quei cattolici convinti che la Chiesa cattolica sia l’unica vera e che ancora si scandalizzano se qualcuno mette in dubbio questa verità, fosse anche il Papa.

Al termine della sua lettera, caro Lodrini, lei pone la domanda delle cento pistole. Chiede dove è finita la Chiesa cattolica.
Recentemente sono stato a parlare con uno dei pochi, pochissimi vescovi di cui mi fido e con un eremita che consuma i suoi anni nel silenzio e nella preghiera continua, proprio per porre la stessa domanda che mi ha posto lei. Tutti e due mi hanno risposto con le stesse parole con la stessa concisione: “Sotto tutto quello che siamo costretti a vedere, la Chiesa cattolica continua ad ardere come la brace”.
Ci troviamo ai piedi della Croce, vediamo Gesù morto eppure sappiamo con certezza che è vivo. 

Caro Lodrini, pensiamo a Maria dopo la deposizione di suo Figlio: lo porta in grembo morto eppure gli può parlare. Contempliamo questa immagine e ne trarremo fede e forza. Abbastanza per sentire il tepore della cenere che sta sotto lo scempio di questi tempi.

Alessandro Gnocchi
Sia lodato Gesù Cristo
di Alessandro Gnocchi

Articolo pubblicato sul sito Riscossa Cristiana
nella rubrica del martedì “Fuori moda” - La posta di Alessandro Gnocchi

Impaginazione e neretti sono nostri
 


Ogni martedì Alessandro Gnocchi risponde alle lettere degli amici lettori. Tutti potranno partecipare indirizzando le loro lettere a info@riscossacristiana.it, con oggetto: “la posta di Alessandro Gnocchi”. Chiediamo ai nostri amici lettere brevi, su argomenti che naturalmente siano di comune interesse. Ogni martedì sarà scelta una lettera per una risposta per esteso ed eventualmente si daranno ad altre lettere risposte brevi. Si cercherà, nei limiti del possibile, di dare risposte a tutti.

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