ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

domenica 27 luglio 2014

Per favore a chi?..o in nome di Dio !!??

"Fermatevi, per favore!". Bergoglio come Giona di fronte al dramma di Gaza e dei cristiani inghiottiti dalla guerra









“Santità, in Israele abbiamo centinaia di chiese e le conserviamo tutte una per una, nemmeno una pietra è stata rimossa”. Il Papa cercò con lo sguardo il cardinale Parolin, seduto al suo fianco, e Padre Lombardi, nella selva dei fotografi, per sottrarsi all’invadenza e invasione di un comizio imprevisto ma non improvvisato, che trasformava lo scambio dei doni in un confronto politico in diretta, sotto gli occhi delle telecamere. Con un tema che oggi offrirebbe ai giornali lo spunto per un titolo a effetto: “Israele rispetta le chiese, ma rade al suolo le case”.

Il “drone” Netanyahu continuava intanto a colpire in automatico, fino a centrare con una raffica di cifre il punto debole dell’interlocutore: “Dalla fondazione dello Stato di Israele i cristiani sono aumentati quattro volte…cosa che purtroppo non succede in molte parti del Medio Oriente. Betlemme, che Lei ha visitato ieri, è diventata una città quasi esclusivamente musulmana”.
Touché. Con la stessa risolutezza con cui procede all'installazione dei nuovi insediamenti in territorio palestinese, il premier israeliano aveva piazzato il suo ragionamento sul tavolo del Pontefice, a microfono aperto, nel quartier generale del Vaticano a Gerusalemme, la cittadella di Notre Dame. Così, nel giro di poche frasi, la metafora teologica del “fratello maggiore” si è convertita in un sillogismo geopolitico dalle conclusioni stringenti: soltanto lo stato ebraico, armi alla mano, garantisce la sopravvivenza e la crescita dei fratelli minori cristiani.
Bisogna partire dal summit estemporaneo del 26 maggio con Benjamin Netanyahu, piuttosto che dall’affresco bucolico dell’8 giugno con Shimon Peres e Abu Mazen, per comprendere i nuovi lineamenti del paesaggio mediorientale, che si intravedono ogni giorno di più, quando si dirada il fumo delle macerie, tra Gaza e Mossul.
Facendo esplodere la moschea di Giona, profeta venerato dalle tre religioni monoteiste, il califfo non mira a eliminare un presidio dei sunniti moderati, ma mina e rimuove un simbolo della coesistenza tra le fedi. Come si conviene scientificamente a un totalitarismo, Al Baghdadi sogna una società solo in apparenza monolitica ma in realtà fluida, sradicata più che radicale, da riplasmare a piacimento del leader secondo un disegno assolutistico ed espansionistico di potere.
Quale termine istituzionale di paragone sarebbe perciò fuorviante guardare agli ayatollah di Teheran, depositari di una tradizione statuale solida, ereditata dall’impero persiano, che funge da anticorpo alle derive movimentiste. E trova sempre un Rohani da opporre agli Ahmadinejad. In verità, per individuare un delirio analogo a quello del califfo, ci sembra che si debba risalire ben più lontano, nella geografia e negli annali, fino alla Cambogia di Pol Pot, sostituendo la religione all’ideologia, il ventunesimo secolo al Novecento, gli idrocarburi alle risaie.
La storia si ripete con sorprendenti paralleli d’epoca sotto i cieli d’Oriente, mostrandoci ancora una volta le scene di una cristianità in rotta verso le enclavi montane. Un tempo il massiccio del Libano, oggi del Kurdistan, all’indomani dei naufragi, o riflussi, di crociate vecchie e nuove, da Riccardo Cuor di Leone all’armata teocon. Mentre in pianura, nelle infide lande mesopotamiche, l’unico baluardo ad Al Qaeda rimane l’abbraccio mortale con le dittature laiche di Assad, e Saddam prima di lui, pronte a soffocare nel gas le ribellioni ma propense a consentire il respiro delle religioni.
Precaria ci appare altresì l’oasi felice della Giordania, che pure Francesco ha eletto a paradigma di convivenza e interpretazione autentica “delle virtù proclamate dall’Islam”. Di fronte al richiamo prepotente del califfato sulle masse disperate e diseredate di Gaza, che assistono all’eccidio dei propri figli, l’immagine della palestinese Rania, regina più fashion del pianeta, che accoglie il Papa dei poveri nel palazzo di Amman, come i rotocalchi popolari non hanno mancato di evidenziare, in haute couture, orecchini 24 carati e borsa limited edition, induce a sua volta l’idea di una leadership a “edizione limitata”, o fuori dal tempo, al di là delle buone intenzioni.
L’ISIL non è l’Afghanistan del mullah Omar, sperduto sulle montagne e sussidiato da sauditi e pachistani, bensì un totalitarismo del petrolio, che non si accontenta di accamparsi tra i due fiumi, del Tigri ed Eufrate, o all’incrocio assiro – babilonese, ma punta al Mediterraneo e spunta dai tunnel della Striscia.
In questa prospettiva e in rapporto al futuro da bunker che attende i cristiani, lo stato democratico, artigliato e artigliere, dei falchi del Likud, come pure la regione autonoma e armata dei curdi, nonché il regime chimico di Assad, presentano il comune denominatore, rassicurante, dell’enclave fortificata.
La voce spezzata e impotente di Francesco, nel centenario della guerra mondiale e nella frantumazione impazzita del mosaico di Sikes e Picot, che allora composero il puzzle del Medio Oriente, prende il sopravvento nell’immaginario collettivo e scandisce, in questa fase, la nota caratterizzante del pontificato.
Apparso come il profeta di una Chiesa che esce da se stessa e avanza incontro al mondo, Bergoglio rischia di passare alla storia come il Papa di una cristianità blindata, in fuga dai luoghi dove è sorta. Nel brusco risveglio del califfato e del jihad alle porte di Gerusalemme, non è tempo di Pentecosti, ma di rifugi sicuri anche se improbabili. Come Giona nel ventre della balena. In attesa di una risurrezione per ora di là da venire.
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