ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

sabato 18 ottobre 2014

Tanto va la gatta al lardo

"La Relatio di Erdö l'ha scritta

Bruno Forte", svela nel briefing

il cardinale Assis

La conferenza stampa organizzata per presentare il testo del Messaggio della III Assemblea straordinaria del Sinodo dei vescovi (qui il testo) ha svelato ciò che già si sapeva per sentito dire. Oggi, complice una domanda del collega americano Francis X. Rocca di Catholic News Service, la cosa è diventata pubblica: la Relatio post disceptationem di lunedì, quella letta dal Relatore generale, il cardinale Péter Erdo, è stata scritta da mons. Bruno Forte, segretario speciale.
A dirlo è stato il cardinale Raymundo Damasceno Assis, arcivescovo di Aparecida e presidente delegato del Sinodo. "Ho sentito male, o lei ha detto che è stato mons. Forte a stendere la Relatio di lunedì?". "Sì, Bruno Forte", ha risposto il cardinale Damasceno Assis. Nessuno dal tavolo, né il cardinale Ravasi né il cardinale Gracias, hanno corretto il porporato brasiliano.

Quanto al Messaggio, è stato approvato "a grande maggioranza", dopo che la bozza letta ieri è stata sottoposta a "migliorie e modifiche" che hanno costretto la commissione a lavorare durante la notte. Un dibattito "vivace con molti contributi", ha detto il cardinale Ravasi, anche sorprendente, visto "il contenuto un po' scontato del Messaggio".

Questo pomeriggio i padri voteranno la Relatio Synodi, la cui bozza è stata letta stamattina



http://www.ilfoglio.it/articoli/v/122032/blog/la-relatio-di-luned-lha-scritta-bruno-forte-svela-nel-briefing-il-cardinale-assis.htm

 Il giorno nero di Kasper e Bergoglio



Per il cardinale Walter Kasper ieri non è stata una bella giornata. Non solo dai circoli minori è arrivato un deciso stop ai suoi sogni di riforma della Chiesa, ma soprattutto è incappato in un incidente diplomatico le cui conseguenze si faranno sentire anche nei prossimi giorni. Ieri infatti ha fatto il giro del mondo una sua intervista pubblicata dall’agenzia Zenit in cui, facendo il punto della situazione, si lasciava andare a giudizi piuttosto pesanti sui vescovi africani, che si erano opposti piuttosto vigorosamente a certe affermazioni contenute nella Relatio, soprattutto in materia di omosessualità. Kasper se ne è uscito con concetti non proprio eleganti, sostenendo che – siccome in Africa l’omosessualità è un tabù – è bene che i vescovi di quel continente non si impiccino troppo di quel che decidono gli europei. Il cardinale tedesco ha quindi teorizzato una sorta di federalismo dottrinale in cui, partendo da criteri generici comuni per tutti, ogni episcopato prende poi le sue decisioni.

I commenti sugli africani hanno ricordato a molti le recenti polemiche che hanno avuto come protagonista il presidente della Federcalcio italiana Carlo Tavecchio, ma soprattutto hanno provocato la dura reazione dei vescovi interessati. Uno di loro, il sudafricano Napier, è poi stato chiamato dal Papa a far parte della ristretta commissione che deve preparare la Relazione finale (coincidenza o atto riparatorio?), ma il caso è diventato tanto imbarazzante al punto che ieri pomeriggio il cardinale Kasper ha smentito nettamente di aver rilasciato qualsiasi intervista a Zenit o ad altri con quel genere di dichiarazioni.

La secca presa di posizione di Kasper ha così consigliato Zenit di togliere l’ntervista dal sito, ma ieri sera ecco il colpo di scena. Edward Pentin, il giornalista inglese che aveva firmato l’articolo, non solo conferma tutto ma sul suo blog mette l’audio con l’intervista a Kasper (clicca qui). A fargli domande, martedì sera all’uscita dal Sinodo, erano addirittura in tre, due inglesi e una francese, e dalle prime battute che il cardinale dice è evidente che è ben consapevole di avere a che fare con dei giornalisti, con cui si trattiene per sette minuti.

Si tratta di uno scivolone clamoroso, che difficilmente finirà qui. Del resto con il ritmo di interviste rilasciate che Kasper ha tenuto in questi mesi, la possibilità di un incidente cominciava a essere alta.
http://intuajustitia.blogspot.it/2014/10/il-giorno-nero-di-kasper-e-bergoglio.html

Ecco con chi si infuriano gli africani al Sinodo

18 - 10 - 2014Carlo Coccinella
Ecco con chi si infuriano gli africani al Sinodo
La battuta del cardinale Walter Kasper, secondo la quale in merito all’omosessualità gli africani “non dovrebbero dirci troppo che cosa dobbiamo fare”, perché parlare dei gay in Africa è un tabù e perché loro hanno altri problemi per i quali non ci può essere ascolto al Sinodo – rivendicando così una sorta di superiorità morale dell’Occidente su certe tematiche – ha lasciato il segno tra i padri sinodali del “continente nero”.
L’INTERVISTA A KASPER E LE REAZIONI DEI CARDINALI AFRICANI
L’intervista di Zenit (poi prontamente rimossa dal sito, anche se rimane ora disponibile nella versione audio al prelato tedesco, scelto proprio da papa Francesco per introdurre i lavori del Sinodo dedicato alla famiglia nel corso di tutto quest’anno solare, e considerato uno dei suoi grandi registi (in chiave progressista e verso un radicale cambiamento della dottrina e della morale cattoliche), ha fatto da detonatore ai malumori che covavano nel gruppo degli africani da alcuni giorni, sia per alcune indicazioni pastorali inserite nella “relatio post-disceptationem” del cardinale di Budapest Peter Erdo sia per alcune scelte in merito allo svolgimento dei lavori d’aula.
Così, uno dei loro principali esponenti presenti al Sinodo, il cardinale Robert Sarah, della Guinea Conakry, curiale di lungo corso, avendo passato molti anni a Propaganda Fide ed essendo ora presidente del Pontificio Consiglio Cor Unum, il dicastero della carità del Papa, ha rilasciato un’intervista al pepe all’agenzia americana Catholic News Agency, che segue anche alcune dichiarazioni precedenti del collega sudafricano Wilfrid Napier, tra i più combattivi fin dall’inizio nella difesa della dottrina.
CARD. SARAH: MANOVRE PER FARE PRESSIONI SULLA CHIESA
Sarah denuncia le manovre per orientare le conclusioni del Sinodo e spingere la Chiesa a cambiare il proprio insegnamento, manovre promosse da gruppi di lobby esterni e interni all’aula sinodale: “Ciò che è stato pubblicato sulle unioni omosessuali – dice infatti il porporato – è stato un tentativo per fare pressione sulla Chiesa e farle cambiare la dottrina. Mai si è voluto giudicare la persona omosessuale, ma i comportamenti e le unioni omosessuali sono una grave deviazione della sessualità”, chiarisce chiamando in causa Bibbia e Vangelo.
Infatti, ribadisce, il motivo per cui le relazioni omosessuali non possono essere approvate dalla morale cristiana sono scritte nel Catechismo della Chiesa cattolica, che recita: “Appoggiandosi sulla Sacra Scrittura, che presenta le relazioni omosessuali come gravi depravazioni, la Tradizione ha sempre dichiarato che ‘gli atti di omosessualità sono intrinsecamente disordinati’. Sono contrari alla legge naturale e precludono il dono della vita”. Proprio quella legge naturale considerata inadatta ai tempi moderni, perché “la maggior parte degli umani non la capisce”, secondo monsignor Bruno Forte, arcivescovo di Chieti-Vasto, segretario aggiunto per il Sinodo e ascoltatissimo teologo a Santa Marta e dintorni. Ma Sarah rincara la dose, ricordando come “Giovanni Paolo II, in riferimento alle unioni omosessuali, si chiedeva se non sia all’opera “una nuova ideologia del male” (così nel libro Memoria e identità)”.
FAMIGLIA CRISTIANA BASATA SU RELAZIONE UOMO-DONNA
Riconosce che alcuni temi sono stati messi in evidenza nella “relatio post-disceptationem” del cardinale Erdo, come il rifiuto della Chiesa di promuovere politiche ispirate al gender vincolandole agli aiuti finanziari, cosa che oggi colpisce tanto le società dei Paesi in via di sviluppo quanto di quelli in Occidente. Ma – dice ancora – non si può tacere sul fatto che “quelli messi in atto da determinati governi e da determinate organizzazioni sono tentativi di contrastare la concezione di famiglia naturale, fondata sul rapporto uomo-donna: e la Chiesa non può tacere di fronte a questo”.
Inoltre, “non c’è famiglia cristiana senza il richiamo a Gesù Cristo, il quale si è incarnato in una famiglia dove c’erano un padre e una madre. Riferirsi a Cristo è necessario per evitare che la visione cristiana sia ridotta a una ideologia e che noi siamo obbligati a prendere decisioni in contrasto con il magistero, la storia della Chiesa e, prima di tutto, con il messaggio evangelico”.
Altro punto che ha fatto infuriare gli africani, e non solo loro, è la metodologia dei lavori assembleari, stravolta in corso d’opera e quindi interpretata da alcuni come un “colpo di mano” contro la dichiarata collegialità. Dice il cardinale guineano: “Ha destato sorpresa generale che sia stato diffuso un testo, che peraltro rispecchiava solo parzialmente le opinioni emerse, destinato poi a essere di nuovo discusso ed elaborato in vista di un documento definitivo, che deve essere approvato dai padri sinodali. Qualcuno vuole forse destabilizzare la Chiesa e minarne le basi?, si chiede”.
La preghiera finale del porporato, con una stoccata non proprio velata a Kasper, è per quei “pastori che lasciano le pecore del Signore ai lupi dell’Occidente secolarizzato e decadente, che si allontana da Dio e dalla natura”.
LE MODIFICHE DEI “CIRCOLI MINORI”
Quasi tutti gli interventi dei cosiddetti “circoli minori”, i singoli gruppi di studio divisi per idioma e impegnati a proporre emendamenti per il documento definitivo, a una attenta lettura, sembrano avere ribaltato in maniera sostanziale diverse espressioni della “relatio” di Erdo, accogliendo quindi, in particolare, le modifiche dei presuli africani e di quelli nordamericani. Anche se molti organi di stampa continuano a darne una interpretazione differente. La parola ora passa alla votazione finale, che avverrà sabato: nonostante le relazioni dei “circoli”, l’esito non appare per nulla scontato.


Sinodo, malumori e ostilità tra i 

prelati: Francesco preoccupato

La discussione ha preso una piega non voluta da alcuni: troppa enfasi su divorzi e unioni civili. Cresce la vulgata di un Pontefice riformatore ma osteggiato dall’interno


Un’imprudenza. Tale è stata considerata la pubblicazione della relazione seguita alla prima settimana di Sinodo: quella che conteneva le aperture a divorziati risposati e omosessuali. Quando ha visto i testi su Osservatore romano e Avvenire, il Papa ha espresso subito la sua preoccupazione per l’impatto che avrebbero avuto. Timore fondato.
L’impressione trasmessa a vescovi e cardinali è stata che non si trattasse di un documento da studiare e discutere, ma di un’anticipazione dell’esito dell’assemblea. Il «Sinodo di carta» ha finito così per allungare un’ipoteca sul «Sinodo reale», dandone un’immagine distorta. E sono scattate le reazioni. L’idea che la riunione straordinaria voluta da Jorge Mario Bergoglio potesse concludersi con un referendum tra «innovatori» e «conservatori», e con la vittoria dei primi, si è rivelata velleitaria e fuorviante. Le resistenze affiorate in sette delle dieci commissioni (i cosiddetti «Circoli minori») contro le tesi aperturiste propugnate dal cardinale tedesco Walter Kasper, sono state un segnale esplicito. Hanno confermato quanto sia complessa e diversificata la realtà della Chiesa in materia di famiglia; e come i tentativi di piegarne gli indirizzi debbano fare i conti con episcopati refrattari a salti e a dosi di novità troppo massicce. Si è rivelata riduttiva e dunque inadeguata la stessa divisione tra «vecchio» e «nuovo». Il tentativo del cardinale Lorenzo Baldisseri, scelto da Francesco come segretario del Sinodo, di evitare che le relazioni dei «Circoli» fossero rese pubbliche, ha fatto emergere per paradosso ancora di più i malumori.
Malumori trasversali anche geograficamente. Di fronte ad un Pontefice silenzioso, come da prassi, è stato il suo «ministro dell’Economia», l’australiano George Pell, un solido conservatore, il capofila di chi ha ottenuto una scelta di «chiarezza». E dietro di lui si sono schierati apertamente il sudafricano Wilfrid Fox Napier, arcivescovo di Durban; l’americano Raymond Burke, i patriarchi siriano Gregorio III Laham e di Gerusalemme, Fouad Twal, il francese Andrè Vingt-Trois, arcivescovo di Parinìgi, l’italiano Rino Fisichella, il britannico Vincent Nichols, arcivescovo di Westminster. E il relatore del Sinodo, il cardinale Péter Erdö, primate d’Ungheria. Alla fine, per sbloccare la situazione è dovuto intervenire il segretario di Stato vaticano, Piero Parolin, attento a mediare e a spiegare che le sintesi delle relazioni dei «Circoli» andavano pubblicate.
Il suo intervento ha stemperato la tensione che si era accumulata. Solo in parte, però. A questo punto, il problema non è archiviato. Anzi, sembra destinato a proiettarsi sui prossimi mesi, che precederanno il Sinodo vero e proprio. E rischia di alimentare la fronda nei confronti di un Pontefice determinato ad incidere a fondo nella mentalità e nel modo di agire della Chiesa. Il fatto che Kasper abbia presentato le sue proposte come se provenissero direttamente da Francesco ha finito per sovraesporre Bergoglio. E permette agli avversari di sostenere strumentalmente che la battuta d’arresto registratasi nel Sinodo sarebbe anche una sconfitta papale: come se la sconfessione della «linea Kasper» potesse essere ritenuta un atto di sfiducia verso Francesco, messo simbolicamente in minoranza. È una forzatura inverosimile, ma è l’interpretazione che l’episcopato ostile alle riforme del Papa tenta di accreditare. In realtà, la decisione di rendere il dibattito trasparente riflette la sua volontà e il suo approccio.
E la discussione animata, a tratti aspra, sembra la traduzione di quella volontà di scuotere la Chiesa cattolica e sottrarla all’autoreferenzialità, tipica del Pontefice argentino. Il problema è che il dibattito ha preso una piega imprevista e probabilmente non voluta. Il metodo col quale si sono susseguiti gli interventi si è rivelato difficilmente governabile. E la strategia comunicativa si è dimostrata non esente da pecche. A tratti ha prevalso una sensazione di confusione. I riflettori accesi ossessivamente sui divorziati o sulle unioni civili hanno finito per schiacciare l’attenzione solo su quei temi; e riprodotto una visione molto eurocentrica dell’universo familiare, mettendo in ombra altre questioni sentite acutamente in Africa, Asia o negli Stati Uniti.
L’irritazione per come si sono svolti i lavori non è stata solo di cardinali freddi verso Francesco come Burke. Lo stesso arcivescovo di New York, Timothy Dolan, uno dei grandi elettori di Bergoglio in Conclave, non avrebbe gradito le proposte di Kasper né il modo in cui sono state presentate. Il motivo è che da domani i prelati presenti dovranno tornare nelle loro diocesi; e spiegare ai fedeli quanto è accaduto realmente, e perché. Per un episcopato come quello statunitense, impegnato per anni ad affermare la difesa dei «valori non negoziabili», l’impostazione che è parsa prevalere prima che spuntassero i critici, crea qualche imbarazzo: un disagio che serpeggia anche tra alcuni italiani e polacchi. Il rischio è che si accentui la vulgata di un Papa riformatore e di una Chiesa resistente; e dunque di un Pontificato che non riesce a «convertire» i propri vescovi.
Il risultato sarebbe quello di far passare la tesi che in realtà nulla stia davvero cambiando; e di deludere sia chi si aspettava novità nette, sia chi difende rocciosamente la dottrina. La previsione degli uomini più vicini al Papa è che alla fine si registrerà un consenso quasi unanime nei confronti di Bergoglio; e che si capirà meglio quanto dietro le discussioni ci sia la sua regia, con la scelta di lasciare parlare tutti liberamente e avere un quadro il più possibile fedele delle correnti di pensiero e degli umori. Certo, non si può dire che si sia trattato di un Sinodo banale o scontato. Si è rivelato davvero «straordinario» al di là di ogni previsione. Ma la sensazione è che sia anche sfuggito un po’ di mano, evidenziando i problemi di governo del Vaticano e la difficoltà di Francesco a trovare sempre le persone giuste.
Il Sinodo è stato la prima «vetrina» collettiva del secondo anno di Papato: quella dove è stata esposta e misurata la profondità delle riforme di Bergoglio. Il risultato potrebbe definirsi un altro dei «poliedri» cari al Pontefice: figure geometriche diseguali, nelle quali le diversità si saldano in una unità superiore, e anzi contribuiscono a crearla. Le diversità nel Sinodo sono chiare, l’unità sta ancora prendendo forma. Francesco è un Papa che dimostra grande abilità nel cambiare i paradigmi del potere vaticano, gode di immensa popolarità; e insieme mostra qualche limite sul piano del governo. Forse perché viene da un’America latina dove «la Chiesa è in un certo senso imprecisa, costruisce se stessa nell’esperienza, non si vede solo custode della tradizione», sottolinea un gesuita. Già adesso, sotto voce, affiorano critiche per il «modello Buenos Aires» che ha portato a Roma: una miscela di religiosità popolare e insofferenza per i riti della corte pontificia.
Non solo. Il mandato ricevuto dal Conclave è quello di disarticolare le strutture vaticane che hanno contribuito di più, nell’ottica degli episcopati mondiali, a rovinare l’immagine della Chiesa. Ma nel Sinodo è affiorata una critica più sottile, sussurrata da tempo: quella di consentire ad un’ala del cattolicesimo un’interpretazione troppo «liberale» della dottrina. È stato il timore di allargare falle dottrinali a provocare la sollevazione contro le aperture a divorziati risposati e omosessuali. Sono temi che l’Occidente concentrato sui diritti individuali sente molto; altri episcopati molto meno, presi come sono da sfide più drammatiche. Bergoglio sa di dover conciliare questi valori con l’eredità europea ed italiana. Ma ha bisogno di tempo e teme di non averne abbastanza per non lasciare le cose a metà.

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