ADDIO A FIORENZO ANGELINI, IL CARDINALE “ROMANO DE ROMA” CHE INVENTÒ ANDREOTTI – BISIGNANI: “ERA DETTO “DUE STANZE”: ‘IN OGNI CLINICA E IN OGNI OSPEDALE AVEVA DUE STANZE SEMPRE A DISPOSIZIONE PER GLI AMICI... DIVENTÒ UN VERO RAS DELLA SANITÀ”
Il ricordo di Bisignani. «Erano amici inseparabili. Diede una grossa mano ad Andreotti organizzando incontri con 600, 700 persone alla volta, soprattutto giovani. Con il tempo arrivò a controllare un bacino di voti eccezionale, ha contribuito a costruire il mito elettorale di Andreotti…
Andrea Acali per Il Tempo
Era l’ultimo cardinale «romano de Roma», nato a Campo Marzio il 1. agosto 1916. Fiorenzo Angelini si è spento l’altra notte a 98 anni in una clinica della Capitale: Papa Francesco lo ha ricordato ieri mattina durante un incontro sull’autismo, perché il porporato si è impegnato per anni nel mondo della sanità, fino a diventare primo presidente (e cofondatore con San Giovanni Paolo II) del Pontificio consiglio per gli operatori sanitari. I funerali, domani alle 15, saranno presieduti nella Basilica Vaticana dal cardinale decano Angelo Sodano mentre il Papa benedirà la salma.
«Con la sua morte finisce un’epoca - racconta Luigi Bisignani, per anni uomo di fiducia di Andreotti - Se ne va l’ultimo porporato nato a Roma, a dimostrazione che la Chiesa è sempre più internazionale».
Il nome di Angelini era indissolubilmente legato a quello del «divo Giulio».
«Si conobbero subito dopo la guerra (tra l’altro Angelini, giovane sacerdote, era accanto a Pio XII quando il Pontefice si recò a San Lorenzo dopo il bombardamento, ndr) e diventarono grandi amici. Andreotti era delegato della Fuci, Angelini assistente della sezione uomini dell’Azione Cattolica e fece da pontiere tra le due associazioni. Era un prete ante litteram, straordinario organizzatore di eventi e di movimenti».
Tutti ricordano il suo ruolo insieme a Gedda nel grande raduno del 1947 dell’Azione Cattolica davanti a Pio XII. Ma era solo l’inizio...
«Esatto. Diede una grossa mano ad Andreotti organizzando incontri con 600, 700 persone alla volta, soprattutto giovani. Con il tempo arrivò a controllare un bacino di voti eccezionale, ha contribuito a costruire il mito elettorale di Andreotti».
E il suo ruolo nella sanità?
«Cominciò ad occuparsi delle suore negli ospedali e nelle cliniche. Tutti sanno che in seguito fu soprannominato "Sua Sanità" ma all’inizio lo chiamavano "monsignor due stanze"».
Nomignolo curioso: il motivo?
«Si dice che in ogni clinica e in ogni ospedale avesse due stanze sempre a disposizione per gli amici... diventò un vero ras della sanità. Nelle cliniche che non si comportavano come diceva lui minacciava i direttori sanitari di togliere le suore».
L’amicizia con Andreotti fu incrollabile.
«Ricordo che il senatore andava in vacanza per pochissimi giorni in Costa Azzurra e un paio di volte monsignor Angelini si recò al santuario di Nostra Signora di Laghet per celebrare la Messa di Ferragosto. Ha anche sposato tre figli di Andreotti e ha battezzato tutti i nipoti. E poi condividevano la passione per la Roma e per il calcio in generale, giocavano la schedina insieme. Era senza dubbio il cardinale a cui era più legato, insieme a Ottaviani e Felici, che accompagnava a passeggiare a Villa Borghese negli ultimi anni di vita del porporato. Anche per questo Angelini era inviso a cardinali come Casaroli e Benelli, che erano contrari alla linea di Andreotti».
Fu lo stesso Giovanni Paolo II a comunicargli l’elevazione di Angelini alla porpora.
«Avvenne durante un’udienza, Andreotti era presidente del consiglio e Wojtyla gli disse, quasi all’orecchio, con un sussurro, che nel successivo concistoro avrebbe creato Angelini cardinale. Non ne ho la certezza ma immagino che fu lo stesso Andreotti a comunicarglielo e questo lo riempì di gioia. Era il periodo in cui Angelini subiva continui attacchi da parte dell’Espresso per il suo potere nella sanità».
Poi venne il periodo buio dei processi al senatore.
«Ogni volta che il Papa incontrava Angelini gli chiedeva notizie e gli diceva di ricordargli che pregava per lui tutte le sere. La conferma gli arrivava anche da Madre Teresa di Calcutta: in quegli anni duri sono stati i tre che più hanno sostenuto Andreotti e gli sono rimasti vicini».
http://www.dagospia.com/rubrica-3/politica/addio-fiorenzo-angelini-cardinale-romano-de-roma-che-invent-89230.htm
Era il 1976, e il Kenya era una specie di proprietà privata del presidente Mzee Jomo Kenyatta e della terza moglie Mama Ngina, una delle "regine dell'avorio". Nei parchi circolavano ancora parecchi cacciatori bianchi col cappellaccio alla Hemigway, che facevano liberamente strage di ogni specie di animali. E il mitico treno Mombasa-Nairobi impiegava un giorno per percorrere 500 chilometri, ma alla stazione venivi accolto col tappeto rosso e un leggìo su cui erano scritti a mano i nomi dei passeggeri, il numero della carrozza e della cabina in cui avrebbero alloggiato in un viaggio che al mattino prevedeva ben tre colazioni: prima, durante e dopo l'alba.
Io, monsignor Angelini e l'Africa nera
Era il 1976, e il Kenya era una specie di proprietà privata del presidente Mzee Jomo Kenyatta e della terza moglie Mama Ngina, una delle "regine dell'avorio". Nei parchi circolavano ancora parecchi cacciatori bianchi col cappellaccio alla Hemigway, che facevano liberamente strage di ogni specie di animali. E il mitico treno Mombasa-Nairobi impiegava un giorno per percorrere 500 chilometri, ma alla stazione venivi accolto col tappeto rosso e un leggìo su cui erano scritti a mano i nomi dei passeggeri, il numero della carrozza e della cabina in cui avrebbero alloggiato in un viaggio che al mattino prevedeva ben tre colazioni: prima, durante e dopo l'alba.
Fu in quell'estate, seguendo la migrazione circolare di milioni di Gnu che si muovevano dal Kenya all'Uganda alla Tanzania, inseguendo l'erba che le grandi piogge facevano crescere davanti ai loro occhi, la stessa estate in cui Idi Amin Dada col cervello bruciato dalla sifilide si divertiva a sparare con la contraerea ai jet di linea della East African Airways dal terrazzo del palazzo presidenziale di Entebbe, che incontrai Fiorenzo Angelini. Allora solo vescovo, ma già eminenza grigia della sanità cattolica con le mani in pasta in cinque ospedali di Roma, quattrocento immobili e ottomila ettari di tenute agricole intorno alla capitale. Il Giulio Andreotti del Vaticano, di cui era amico fraterno.
Lo incontrai a Kisima o Baragoi, non ricordo bene. Comunque, sulla strada (si fa per dire) che conduceva a Loiyangalani, sulle sponde del Lago Rodolfo. Sbucò tra le bouganville di un lodge con una camicia, un paio di bermuda color kaki e una cinepresa in mano. Fate conto Alberto Sordi in Riusciranno i nostri eroi a ritrovare l'amico misteriosamente scomparso in Africa. Preciso. E dopo essersi presentato, chiese due informazioni: dove convenisse fare un buon cambio al mercato nero e se l'avorio di contrabbando a trentamila lire al chilo fosse un prezzo accettabile. Sembrava uno scherzo.
Nel pomeriggio di quel giorno, incontrai un missionario italiano che viveva lì da dieci anni e lo trovai coi capelli dritti in testa, sconvolto. Mi raccontò che il monsignore gli aveva chiesto di battezzare un bambino nero, così, per fare un filmino ricordo insieme ai suoi amici. Allargando le braccia, il missionario gli aveva detto che non c'erano bambini da battezzare. Ma lui non aveva fratto una piega: Embé? Ne ribattezziamo uno già battezzato, magari ci diventa santo.
Fui invitato alla cerimonia, ma declinai. Volevo raggiungere Loiyangalani prima del tramonto. Anche lì incontrai un missionario. Aveva organizzato una specie di trattoria sotto un capannone dove il piatto forte del menu erano le chicken balls, le polpette di pollo. Ordinai e mi arrivò una scodella di mezze maniche al ragù. Ottime, a quella latitudine. Così lo ringraziai e gli anticipai che forse il giorno dopo avrebbe visto arrivare il monsignore con la truppa dei suoi amici armati di cinepresa. Lui si rabbuiò, indicò l'unico tronco d'albero che si stagliava contro il cielo sopra una decina di capanne di indigeni turkana fatte di fango e sterco e sentenziò: Se si presenta, lo attacco a quell'albero. Il fatto era che dopo una pressante richiesta di vestiti usati da distribuire alla gente del lago, il monsignore gli aveva fatto recapitare due scatoloni di guanti da neve e giacche a vento. Utilissimi, a quaranta gradi all'ombra che non c'era.
Questo ricordo di Fiorenzo Angelini, cardinale di Santa Romana Chiesa. E adesso posso raccontare che il monsignore che ho scritto e Ivo Garrani ha interpretato in Nel continente Nero di Marco Risi era proprio lui. Né più, né meno. Anzi, a quel tempo molto meno del potente cardinale che poi sarebbe apparso ne Il Divo di Paolo Sorrentino, a braccetto con quel Franco Evangelisti passato alla storia per quel "A fra', che te serve?", sintesi suprema dei vizi e inciuci della nostra Prima Repubblica. Ora leggo che papa Bergoglio in persona andrà a benedire la sua salma. E mi sembra giusto. Come ha detto Andrea Agnelli a proposito di Luciano Moggi (op.cit.): "Rappresenta comunque una parte importante della nostra storia. Siamo il Paese del cattolicesimo e del perdono. Lo possiamo anche perdonare". Ma sì, "Un sigaro e una medaglia non si negano a nessuno" (Winston Churchill).
http://www.huffingtonpost.it/andrea-purgatori/io-monsignor-angelini-e-lafrica-nera_b_6204438.html?utm_hp_ref=italy
LA PORPORA ROMANA: INTERVISTA AL CARDINALE FIORENZO ANGELINI – di GIUSEPPE RUSCONI – www.rossoporpora.org – 22 novembre 2014
Un cardinale al servizio degli infermi
Il Cardinale Fiorenzo Angelini era nato nel cuore della vecchia Roma, nel quartiere di Campo Marzio, nel 1916, durante la “Grande Guerra”. Ultimate le scuole primarie entrò nel Pontificio Seminario Romano minore per gli studi ginnasiali e liceali. Furono questi gli anni in cui maturò la sua vocazione sacerdotale. Ordinato sacerdote il 3 febbraio 1940, fu presto nominato alla dignità vescovile occupandosi della pastorale sanitaria di Roma, fin dal giugno del 1956. Da quell’anno cominciò anche ad occuparsi dell’Assistenza spirituale nelle cliniche e negli ospedali della città, divenendo nel 1959 Assistente Ecclesiastico Nazionale dell’Associazione Medici Cattolici Italiani, di cui fu fondatore e per lungo tempo presidente il prof. Luigi Gedda (1902-2000). In virtù delle esperienze acquisite nel campo della cura e della salute, al Concilio Ecumenico Vaticano II Angelini fu proponente dell’attuale liturgia del Sacramento dell’Unzione per gli Infermi.
L’11 febbraio del 1985 fu nominato da Giovanni Paolo II Pro-Presidente della Pontificia Commissione per la Pastorale degli Operatori Sanitari e promosso Arcivescovo. Nel 1988 divenne Presidente della medesima Commissione, trasformata con la riforma della Curia romana in Pontificio Consiglio per la pastorale degli Operatori Sanitari, funzione che esercitò fino al dicembre del 1996. Angelini è stato elevato alla porpora cardinalizia dallo stesso papa Giovanni Paolo II, nel Concistoro del 28 giugno 1991, e gli fu affidato il Titolo di diacono di S. Spirito in Sassia, antica chiesa romana tradizionalmente legata all’ospedale di Santo Spirito fin dalla sua fondazione.
Autore di oltre quattrocento pubblicazioni su argomenti di etica medica, di assistenza socio-sanitaria e religiosa tra le corsie degli ospedali, ha fondato innumerevoli opere sanitarie nei Paesi del Terzo Mondo ottenendo una lunga serie di alti riconoscimenti. Quasi a coronamento della sua lunga attività nel campo dell’assistenza, nel luglio 1991 ha preso avvio la realizzazione di un grande centro sanitario, con annesso ambulatorio polispecialistico, nella città di Mosca, che ultimato è oggi affidato alla locale diocesi.
Una storia sacerdotale all’insegna dI Papa Pacelli
La storia “sacerdotale” del Cardinal Angelini è stata, come visto, legata singolarmente alla figura del Venerabile Pio XII. Alla fine del conflitto mondiale, l’allora giovane prete romano fu infatti inviato dalla diocesi del Papa ad aiutare il parroco di San Michele Arcangelo, una parrocchia dell’estrema periferia, nel quartiere di Pietralata, dove più dure si mostravano le conseguenze della guerra. Lì c’era infatti bisogno di tutto e nessuno era in grado di fornire il minimo di assistenza. Don Angelini si rimboccò allora le maniche e, per venire incontro alle esigenze della sua gente, incanalò le varie attività di soccorso in un “Segretariato di Assistenza al popolo”.
Nelle file dell’Azione Cattolica Italiana di Gedda
Il suo notevole impegno sociale non passò inosservato, tanto che fin dal 1945, fu chiamato per volere di Papa Pacelli ad Assistente Ecclesiastico Nazionale degli Uomini di Azione Cattolica. Il momento più esaltante di questo suo incarico lo visse nel 1947, quando con il Professor Gedda organizzò quella che al tempo fu definita «la più grande adunata di popolo»: portò infatti duecentocinquantamila uomini di Azione Cattolica in Piazza San Pietro per un grande incontro con Pio XII. Fu la prova generale per lo storico raduno del 18 aprile del 1948. Alla guida spirituale degli uomini di Azione Cattolica restò sino al 1959.
Il libro “La mia strada”
Di questi anni così importanti per la storia della Chiesa e dell’Italia uscita dalla guerra il cardinale ci parla in un libro autobiografico uscito nel 2004 per la Rizzoli (La mia strada, con una Presentazione di Andrea Riccardi, pp. 391, euro 19), che è la testimonianza diretta del percorso tracciato da un servitore della Chiesa che ha conosciuto da vicino e collaborato strettamente con cinque pontefici, da Pio XI a Giovanni Paolo II. Gli abbiamo così rivolto nei suoi uffici di via della Conciliazione sede dell’Istituto Internazionale di Ricerca sul Volto di Cristo, da lui fondato nel 1997 e per il quale si è speso generosamente fino agli ultimi anni della sua vita.
Il ricordo di Padre Lombardi
In occasione di un incontro avuto a Roma, il 2 novembre 2005, presso la sede della Congregazione Benedettina delle Suore Riparatrici del Santo Volto in via della Conciliazione, nel quale mi consegnò la Prefazione al mio libro Identità cattolica e anticomunismo nell’Italia del dopoguerra. La figura e l’opera di mons. Roberto Ronca (D’Ettoris Editori, Crotone 2008, pp. 244), gli rivolsi una domanda su un grande protagonista della “Chiesa pacelliana”, il gesuita padre Riccardo Lombardi, del quale mi parlò come di «un grandissimo personaggio, l’uomo di un Papa, Pio XII, che se ne è avvalso per ottenere delle finalità, degli scopi precisi, e padre Lombardi è riuscito a catalizzare nelle sue attività l’attenzione del mondo intero. Basti pensare che almeno la metà dei padri che parteciparono al Concilio Vaticano II sono passati per il suo “Centro per un Mondo Migliore” in Rocca di Papa, a prendere ispirazione per quello che avrebbero fatto nei lavori conciliari. Anche se il gesuita fu poi quasi messo da parte nel prosieguo del pontificato di Giovanni XXIII, in seguito ad un articolo che sembrò sconfessarlo uscito sull’Osservatore Romano».
La persona cui il Card. Angelini deve di più? Così mi rispose nell’intervista: «Le persone che dovrei ricordare sono tante, ma innanzitutto il mio pensiero va al grande papa che mi ha fatto prete e vescovo, cioè Pio XII. Io mi sento e mi sentirò sempre orgoglioso di essere un prete e un vescovo “di Pio XII”. Ed a questo proposito ci tengo a dire che le difficoltà che ancora sono accampate per la sua beatificazione non sorgono certo a mio avviso da chissà quali motivi, per ammirarne infatti la spiritualità e le virtù occorrerebbe solo conoscerne a fondo la vita e le opere. Poi sento di dover tributare la mia riconoscenza a Giovanni Paolo II, che mi ha stimato e creato cardinale. Dopo cinquant’anni di servizio pastorale desidero infine ricordare tutti quei laici, da cui ho imparato tantissimo, che ho sempre frequentato tanto fin da quando ho avuto la possibilità di operare in parrocchia. Laici noti come Renato Guttuso, o Giuseppe Capogrossi, ma anche molte persone semplici e ricche d’insegnamenti ed umanità. Anche per questo amo tanto la parrocchia, e sono convinto che il sacerdote è veramente tale soprattutto quando è in mezzo alla gente».
LA PORPORA ROMANA: INTERVISTA AL CARDINALE FIORENZO ANGELINI – di GIUSEPPE RUSCONI – www.rossoporpora.org – 22 novembre 2014
Si è spento nella notte tra il 21 e il 22 novembre il novantottenne cardinale Fiorenzo Angelini, che viveva a via della Conciliazione 15 nella casa delle Suore riparatrici del Santo Volto – Lo ricordiamo ripubblicando l’ampia intervista dal titolo “La porpora romana”, apparsa sul mensile “Il Consulente RE” di dicembre 2002 – Una vita di impegno nell’Azione Cattolica, nella sanità, nell'aiuto agli indigenti. Molto legato a papa Pio XII, grande amico di Giulio Andreotti. Romanista, quando giocava a calcio indossava i calzettoni giallorossi sotto la tonaca.
Tutte le porpore sono di Santa Romana Chiesa; una sola è però riconoscibile per stile e accento come romana de Roma anche da occhi e orecchie poco allenati. E’ quella del cardinale Fiorenzo Angelini, nato nell’Urbe il primo agosto 1916. Fin qui ha vissuto ottantasei primavere (non a caso diciamo primavere), ben determinato a viverne tante altre grazie certo alla Provvidenza, ma anche allo spirito di aderenza alla realtà quotidiana con cui affronta la vita. Sacerdote dal 1940, vescovo dal 1956 (in ambedue i casi ordinato sotto il pontificato di Pio XII, il suo Papa), arcivescovo e presidente per 12 anni – dalla nascita nel 1985 al 1997 - di quello che oggi è chiamato “Pontificio Consiglio per gli operatori sanitari”, fu creato cardinale il 28 giugno 1991. Assistente nazionale dell’Unione uomini di Azione cattolica ai tempi dello scontro con il Fronte popolare, assistente nazionale per quarant’anni dell’Associazione medici cattolici italiani, attivissimo nel settore della sanità cattolica, il porporato anima da alcuni anni l’azione dell’Istituto internazionale di ricerca sul Volto di Cristo insieme alle benedettine delle Suore riparatrici del Santo Volto. Notissima è la sua comprovata amicizia per Giulio Andreotti. Si sarebbe potuto parlare con lui di tanti argomenti, ma ci si è poi focalizzati su pochi, si spera interessanti: Roma e i romani (con appendice romanista), Pio XII, Luigi Gedda, il PCI, De Gasperi, infine proprio Andreotti.
Eminenza, che cosa significa per Lei essere l’unico romano tra i porporati?
Non ha un significato particolare. Se lo può avere preferisco scegliere quello relativo all’ampliarsi della religione cattolica, diffusa – conseguentemente alla sua caratteristica missionaria - ormai in così tanti Paesi da spingere i Papi a internazionalizzare maggiormente la composizione del Sacro Collegio cardinalizio. E’ bene ricordare che il primo Pontefice che ha dato al Collegio un segno di internazionalità è stato Pio XII, quando nel Concistoro del 1947 creò anche dei cardinali americani, africani e un indiano, Gracias. In quegli anni ero anche cerimoniere pontificio – m’è capitato pure questo nella vita – e mi furono affidati il cardinale Spellmann, il cardinale di Lima, quello di Toronto. Essere l’unico romano non costituisce per me un segno di distinzione e di superiorità: sarebbe sciocco il pensarlo.
Generalmente, da molti altri italiani, il romano viene etichettato con tre aggettivi: bonaccione, disincantato, neghittoso. Caratteristiche presunte che sono anche vere, secondo Lei?
Di questi tre clichés non ce n’è uno che mi calzi personalmente a pennello. Bisogna anche premettere che oggi di romani veri non ce ne sono quasi più, proprio per la mescolanza attuale di origini, dovuta soprattutto alle migrazioni interne. Quanto poi a sostenere che i romani – anche quelli antichi – siano neghittosi, chi lo dicesse direbbe il falso. Non è neppure vero che i romani siano bonaccioni: la storia dimostra il contrario. Sul ‘disincantato’ forse si può sostanzialmente concordare, nel senso che il romano (il discorso vale anche per l’italiano in genere) non è per natura ipernazionalista. Tant’è vero che un tempo la diplomazia pontificia era composta quasi esclusivamente da italiani. Non a caso: essi riuscivano ad essere i più obiettivi nel giudizio sugli avvenimenti. Mi ricordo ad esempio che quando studiavo teologia con i miei compagni stranieri, dalle conversazioni essi si affermavano per prima cosa come cittadini di un Paese preciso, in un secondo tempo come cattolici.
E’ così anche oggi?
No, oggi credo di no. I tempi sono cambiati. C’è l’Unione europea, le migrazioni sono continue da Paese a Paese. Allora, se ‘disincantato’ comporta l’essere oggettivo nel giudizio sugli avvenimenti, certo il romano si rivelava e si rivela tale.
Una domanda ‘leggera’ prima di passare a Pio XII. Sul tavolino della Sua anticamera troneggia un pallone, dono del Mundialitospagnolo. A Lei notoriamente il calcio piace; da romano verace tiferà per l’una o l’altra squadra, per i lupi o gli aquilotti…
Sono stato da sempre e lo sono ancora romanista. Ai miei tempi ho introdotto in Seminario le scarpe da calcio; indossavo sotto la veste talare (poiché si giocava purtroppo con la veste talare!) i calzettoni giallorossi, sopra la veste invece portavo una bella cinghia degli stessi colori. Ma i miei superiori hanno sempre riconosciuto, pur in quei tempi di leggi ferree all’interno dei Seminari, il mio diritto a manifestarmi romanista.
Quand’ero in parrocchia, se non erriamo, Lei ha creato anche una squadra…
Sì, promossi una squadra di calcio, che – senza troppa fantasia – prese il mio nome e si chiamò Florentia. Il nostro portiere era un nome noto, passato a miglior vita un paio d’anni fa: Ugo Zatterin, giornalista e direttore alla RAI… moderava le tribune politiche. Ho praticato il calcio per tanti anni, anche dopo il Seminario. E il calcio lo seguo sempre: come vede, sul mio tavolo c’è anche il Corriere dello Sport, cui dedico giornalmente qualche minuto. Forzatamente pochi, ma mi sembra che leggere di sport sia una sorta di tonico che ringiovanisce e sento che mi fa bene anche spiritualmente. A me poi piace anche l’atletica leggera, sport d’arte e musicalità.
PIO XII, UOMO DELL’ESSENZIALE, DI GRANDE PREGHIERA
Eminenza, Lei ha conosciuto diversi Papi, in particolare Pio XII. Un ricordo di papa Pacelli?
Pio XII è il Papa del mio sacerdozio e del mio episcopato: ha avuto nei miei confronti tanta benevolenza e fiducia. Non solo non lo posso dimenticare, ma – avendolo conosciuto da vicino – potrei parlare di lui con ammirazione per una vita intera come si può fare per i santi.
E’ assai diffusa l’immagine di un papa Pacelli poco espansivo, austero, piuttosto freddo…
Non è vero affatto. Pio XII si può dire freddo come può apparire freddo un mistico, un uomo di preghiera, chi vive in una dimensione soprannaturale. In questo senso papa Pacelli era, per tornare a quanto abbiamo detto prima, un uomo disincantato, perché staccato da tante vicende poco importanti. Era infatti l’uomo dell’essenziale, di grande preghiera.
Lei è stato - in momenti cruciali per i destini del Paese – l’assistente nazionale ecclesiastico dell’Azione cattolica italiana, settore uomini. E ha collaborato strettamente con il professor Luigi Gedda, genetista, laico impegnato, fondatore dei famosi Comitati civici che tanta parte ebbero nell’impedire ai ‘rossi’ il 18 aprile 1948 la conquista elettorale dell’Italia…
Nel 1940, dopo un ‘preambolo’ di 40 giorni nella parrocchia di S. Michele Arcangelo (per sostituire un confratello), fui chiamato alla parrocchia della Natività di Nostro Signore Gesù Cristo. Furono i cinque anni più belli della mia vita. Nel 1945 fui ‘ceduto’ dai miei superiori, dal cardinale vicario Francesco Marchetti Selvaggiani – uomo severo e giusto – all’Azione cattolica, dapprima come vice-assistente ecclesiastico nazionale, poi come assistente (con gradimento papale), essendosi ritirato per ragioni di età e di salute l’eccellente mons. Ferdinando Roveda. Mi trovai giovanissimo, con altri tre sacerdoti, a operare nel difficile clima del secondo dopoguerra. Nel 1947 il professor Gedda lasciò la Gioventù cattolica e assunse la presidenza dell’Unione uomini dell’Azione cattolica. Lavorai con lui nel momento peculiare dei Comitati civici, con un impegno fortissimo per il 18 aprile 1948. Anche dopo, fino alla crisi dell’Azione cattolica. Lo conobbi non bene, ma benissimo; avevamo una fiducia reciproca quasi illimitata. Seguii anche la sua attività scientifica: fu il primo genetista a salire in cattedra in Italia (presso la Sapienza), creò l’Istituto Mendel per gli studi di genetica e di gemellologia.
Di Gedda che cosa resta oggi?
Di lui si è parlato non raramente senza conoscerlo, come avviene spesso per gli uomini grandi. Oppure si è evidenziata solo una parte delle sue attività, pur molto importante, ma per me meno importante del resto. Non si è messa generalmente molto in luce la sua spiritualità: Gedda fu un cristiano integrale, che viveva di preghiera, alla ricerca costante di una dimensione soprannaturale cui improntava l’intera vita.
Fondò anche la “Società operaia”…
Pochi lo ricordano. Insieme a sua sorella Mary, Serva di Dio, creò quest’associazione di laici e di ecclesiastici ispirandosi all’insegnamento di Gesù nell’orto del Getsemani e propugnando la necessità di una vita interiore ricca. La parola ‘operaia’ viene dal Vangelo (“La messe è molta, gli operai sono pochi”). Questa secondo me è stata la gemma più bella lasciata dal professor Gedda. Speriamo che la “Società operaia” riesca a continuare il suo apostolato, riuscendo ad attirare anche forze nuove, giovani che possano garantire la prosecuzione di una spiritualità getsemanica.
L’ERRORE E L’ERRANTE
Tornando al 1948 e dintorni, quello fu il periodo della contrapposizione netta tra democristiani e comunisti. Poi sono venuti, diversi anni dopo, gli anni del disgelo. Lei – che qui e in anticamera ha appeso anche quadri di Guttuso con dedica – qualche volta ha incontrato esponenti del PCI, magari inviato dall’alto?
Bisogna tener presente che la Chiesa ha distinto tra errore e errante. Ci fu una lotta serrata contro l’errore, in quel momento di dura contrapposizione il marxismo: vedi anche la scomunica lanciata contro il comunismo proprio perché era marxista. La lotta non era però contro le persone, che erano rispettate.
Ma la distinzione tra errore ed errante non fu fatta per primo da papa Giovanni XXIII?
Giovanni XXIII continuò quanto aveva già incominciato Pio XII. Fu papa Pacelli il primo a distinguere. Ci sono discorsi suoi, chiarissimi su questo punto. Pio XII, anche durante la Seconda Guerra mondiale, non dismise mai la paternità spirituale per tutti. E fu ricambiato: alla liberazione di Roma piazza San Pietro non rigurgitava di stole e camici, ma di bandiere rosse riconoscenti. C’era un’unanimità di sentimenti di gratitudine verso il Papa. Ed è ciò che il diavolo non ha sopportato, cercando poi di introdurre polemiche e divisioni riguardo all’agire di Pio XII.
Dei Suoi incontri con esponenti del PCI che cosa ricorda?
Devo dire che non fui mai intermediario tra Vaticano e PCI. Ebbi però un incontro non ufficiale, ma certo ufficioso, con il segretario del PCI Luigi Longo. Accadde sotto Paolo VI e io fui esortato a incontrare Longo, giunto alla fine di una degenza ospedaliera. Ebbi la gioia di un colloquio molto amichevole con lui, tanto che alla fine mi disse: “Peccato, se non fosse stato prete, sarebbe stato un grande compagno!”. E io: “Onorevole, io lo status del compagno l’ho superato, dato che sono fratello suo fin dalla nascita!”
E’ ben noto che Lei è amico di un protagonista di cinquant’anni di vita italiana, Giulio Andreotti. Che cosa ha pensato quando il simbolo di tutta un’era s’è dovuto presentare davanti ai giudici di Palermo, finendo poi per essere assolto? Come ha vissuto quei momenti?
Giulio Andreotti era ed è il simbolo della presenza dei cattolici veri nella vita pubblica, anche di partito. Pensando a lui e a quello che ha passato, mi viene in mente che Gesù Cristo, che era Dio, fu messo in croce e ammazzato. Questo per dire che noi cristiani non possiamo né dobbiamo meravigliarci troppo di quel che può accadere. Andreotti è stato e fortunatamente lo è ancora il simbolo di un laicato cristiano impegnato nella politica, avendo anche usufruito di una formazione cristiana autentica e forte. Si è dato alla politica nel momento in cui essa aveva bisogno di uomini preparati; e lui lo era. Fu discepolo – prediletto – di un uomo prestigiosissimo, Alcide De Gasperi, padre della rinascita democratica in Italia. De Gasperi non ha subito la persecuzione di Andreotti, ma è morto nel freddo di chi, pur avendolo seguito, non ha voluto imitarlo nella prassi di vita politica. Penso che De Gasperi abbia molto sofferto per i tentativi di scavalcamento e di accantonamento messi in atto da alcuni dello stesso partito, che l’avrebbero rivisto volentieri in biblioteca e in archivio, luoghi peraltro a lui cari. Credo che la Democrazia cristiana non sarebbe tramontata, se Giulio Andreotti avesse potuto pienamente restare in sella. Gli avversari avevano ben capito che, per abbattere la DC, era necessario colpire Andreotti con le accuse più infamanti.
Eminenza, Lei che lo conosce bene ritiene possibile che Giulio Andreotti si sia sporcato le mani con la mafia?
Assurdo pensarlo. Assurdo. Impossibile. Un giorno Giancarlo Pajetta, uno dei massimi esponenti del PCI, alla domanda su chi fosse l’uomo politico più grande, rispose: “Giulio Andreotti”. Io so quanto vale Andreotti, come si muove. E non posso non osservare che, come De Gasperi, Andreotti sempre apre la giornata con la messa, in cui si comunica. Non parlo da amico, ma da persona obiettiva: anche in questo si dimostra che l’apostolato nasce in misura rilevante dalla preghiera. Una garanzia per chiunque, specie quando è impegnato in una vita irta di pericoli come quella politica.
E’ morto Fiorenzo Angelini, l’ultimo cardinale romano
23 - 11 - 2014Giuseppe Brienza
Un ricordo del cardinale Fiorenzo Angelini, primo presidente del Pontificio consiglio per gli operatori sanitari
È morto nella notte fra il 21 ed il 22 novembre, a Roma — dov’era nato 98 anni fa — il cardinale Fiorenzo Angelini,
presidente emerito del Pontificio Consiglio per gli operatori sanitari.
Unico cardinale romano, era nato il 1° agosto 1916 nel rione Campo
Marzio. Le esequie saranno celebrate lunedì 24 novembre, alle 15, nella
basilica vaticana, dal cardinale decano Angelo Sodano. Al termine Papa
Francesco, che proprio nella mattina di sabato 22 ha voluto ricordarlo
durante l’udienza alla conferenza internazionale promossa dal Pontificio
consiglio per gli operatori sanitari, presiederà i rito funebri finali. Un cardinale al servizio degli infermi
Il Cardinale Fiorenzo Angelini era nato nel cuore della vecchia Roma, nel quartiere di Campo Marzio, nel 1916, durante la “Grande Guerra”. Ultimate le scuole primarie entrò nel Pontificio Seminario Romano minore per gli studi ginnasiali e liceali. Furono questi gli anni in cui maturò la sua vocazione sacerdotale. Ordinato sacerdote il 3 febbraio 1940, fu presto nominato alla dignità vescovile occupandosi della pastorale sanitaria di Roma, fin dal giugno del 1956. Da quell’anno cominciò anche ad occuparsi dell’Assistenza spirituale nelle cliniche e negli ospedali della città, divenendo nel 1959 Assistente Ecclesiastico Nazionale dell’Associazione Medici Cattolici Italiani, di cui fu fondatore e per lungo tempo presidente il prof. Luigi Gedda (1902-2000). In virtù delle esperienze acquisite nel campo della cura e della salute, al Concilio Ecumenico Vaticano II Angelini fu proponente dell’attuale liturgia del Sacramento dell’Unzione per gli Infermi.
L’11 febbraio del 1985 fu nominato da Giovanni Paolo II Pro-Presidente della Pontificia Commissione per la Pastorale degli Operatori Sanitari e promosso Arcivescovo. Nel 1988 divenne Presidente della medesima Commissione, trasformata con la riforma della Curia romana in Pontificio Consiglio per la pastorale degli Operatori Sanitari, funzione che esercitò fino al dicembre del 1996. Angelini è stato elevato alla porpora cardinalizia dallo stesso papa Giovanni Paolo II, nel Concistoro del 28 giugno 1991, e gli fu affidato il Titolo di diacono di S. Spirito in Sassia, antica chiesa romana tradizionalmente legata all’ospedale di Santo Spirito fin dalla sua fondazione.
Autore di oltre quattrocento pubblicazioni su argomenti di etica medica, di assistenza socio-sanitaria e religiosa tra le corsie degli ospedali, ha fondato innumerevoli opere sanitarie nei Paesi del Terzo Mondo ottenendo una lunga serie di alti riconoscimenti. Quasi a coronamento della sua lunga attività nel campo dell’assistenza, nel luglio 1991 ha preso avvio la realizzazione di un grande centro sanitario, con annesso ambulatorio polispecialistico, nella città di Mosca, che ultimato è oggi affidato alla locale diocesi.
Una storia sacerdotale all’insegna dI Papa Pacelli
La storia “sacerdotale” del Cardinal Angelini è stata, come visto, legata singolarmente alla figura del Venerabile Pio XII. Alla fine del conflitto mondiale, l’allora giovane prete romano fu infatti inviato dalla diocesi del Papa ad aiutare il parroco di San Michele Arcangelo, una parrocchia dell’estrema periferia, nel quartiere di Pietralata, dove più dure si mostravano le conseguenze della guerra. Lì c’era infatti bisogno di tutto e nessuno era in grado di fornire il minimo di assistenza. Don Angelini si rimboccò allora le maniche e, per venire incontro alle esigenze della sua gente, incanalò le varie attività di soccorso in un “Segretariato di Assistenza al popolo”.
Nelle file dell’Azione Cattolica Italiana di Gedda
Il suo notevole impegno sociale non passò inosservato, tanto che fin dal 1945, fu chiamato per volere di Papa Pacelli ad Assistente Ecclesiastico Nazionale degli Uomini di Azione Cattolica. Il momento più esaltante di questo suo incarico lo visse nel 1947, quando con il Professor Gedda organizzò quella che al tempo fu definita «la più grande adunata di popolo»: portò infatti duecentocinquantamila uomini di Azione Cattolica in Piazza San Pietro per un grande incontro con Pio XII. Fu la prova generale per lo storico raduno del 18 aprile del 1948. Alla guida spirituale degli uomini di Azione Cattolica restò sino al 1959.
Il libro “La mia strada”
Di questi anni così importanti per la storia della Chiesa e dell’Italia uscita dalla guerra il cardinale ci parla in un libro autobiografico uscito nel 2004 per la Rizzoli (La mia strada, con una Presentazione di Andrea Riccardi, pp. 391, euro 19), che è la testimonianza diretta del percorso tracciato da un servitore della Chiesa che ha conosciuto da vicino e collaborato strettamente con cinque pontefici, da Pio XI a Giovanni Paolo II. Gli abbiamo così rivolto nei suoi uffici di via della Conciliazione sede dell’Istituto Internazionale di Ricerca sul Volto di Cristo, da lui fondato nel 1997 e per il quale si è speso generosamente fino agli ultimi anni della sua vita.
Il ricordo di Padre Lombardi
In occasione di un incontro avuto a Roma, il 2 novembre 2005, presso la sede della Congregazione Benedettina delle Suore Riparatrici del Santo Volto in via della Conciliazione, nel quale mi consegnò la Prefazione al mio libro Identità cattolica e anticomunismo nell’Italia del dopoguerra. La figura e l’opera di mons. Roberto Ronca (D’Ettoris Editori, Crotone 2008, pp. 244), gli rivolsi una domanda su un grande protagonista della “Chiesa pacelliana”, il gesuita padre Riccardo Lombardi, del quale mi parlò come di «un grandissimo personaggio, l’uomo di un Papa, Pio XII, che se ne è avvalso per ottenere delle finalità, degli scopi precisi, e padre Lombardi è riuscito a catalizzare nelle sue attività l’attenzione del mondo intero. Basti pensare che almeno la metà dei padri che parteciparono al Concilio Vaticano II sono passati per il suo “Centro per un Mondo Migliore” in Rocca di Papa, a prendere ispirazione per quello che avrebbero fatto nei lavori conciliari. Anche se il gesuita fu poi quasi messo da parte nel prosieguo del pontificato di Giovanni XXIII, in seguito ad un articolo che sembrò sconfessarlo uscito sull’Osservatore Romano».
La persona cui il Card. Angelini deve di più? Così mi rispose nell’intervista: «Le persone che dovrei ricordare sono tante, ma innanzitutto il mio pensiero va al grande papa che mi ha fatto prete e vescovo, cioè Pio XII. Io mi sento e mi sentirò sempre orgoglioso di essere un prete e un vescovo “di Pio XII”. Ed a questo proposito ci tengo a dire che le difficoltà che ancora sono accampate per la sua beatificazione non sorgono certo a mio avviso da chissà quali motivi, per ammirarne infatti la spiritualità e le virtù occorrerebbe solo conoscerne a fondo la vita e le opere. Poi sento di dover tributare la mia riconoscenza a Giovanni Paolo II, che mi ha stimato e creato cardinale. Dopo cinquant’anni di servizio pastorale desidero infine ricordare tutti quei laici, da cui ho imparato tantissimo, che ho sempre frequentato tanto fin da quando ho avuto la possibilità di operare in parrocchia. Laici noti come Renato Guttuso, o Giuseppe Capogrossi, ma anche molte persone semplici e ricche d’insegnamenti ed umanità. Anche per questo amo tanto la parrocchia, e sono convinto che il sacerdote è veramente tale soprattutto quando è in mezzo alla gente».
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