Presentiamo ai lettori, quasi in forma di “fogli d’album”, alcuni fotogrammi di varia tematica a dimostrazione di come, passo per passo, la realtà ecclesiale vada dissolvendosi nel vasto mare di un caos parolaio in cui il primo che si alza pontifica, sortendo l’effetto di un’evaporazione del buon senso ma, soprattutto, di uno sbiadimento della dottrina, quella cattolica tradizionale. Sono, per la più parte, esempî di non gravissima infedeltà per i quali, parafrasando le parole di Gesù, gli infedeli nel poco oggi, saranno gli infedeli nel molto domani.
A - Papa Bergoglio non finisce di stupire e di indignare. A dover stilare il catalogo delle circostanze in cui, con consapevolezza ed estemporaneità, ha stracciato riti e procedure, sbianchettato Vangelo e imposto forme, prospettive e stili culturali di conio liberalprotestante, non sapremmo come coordinare il materiale tanta ne è l’abbondanza che tracima da questo anno e mezzo di magistero. I lettori conoscono, per averne noi trattato, la prima conferenza stampa, le incursioni a Lampedusa, il poco garbato rifiuto a partecipare al concerto in suo onore presso l’aula Paolo VI, i contatti telefonici con questo e con quello, le udienze calorose con gli Scalfari, i Marino, i Napolitano, l’intesa cordiale con Pannella, il convegno catto-ebraico-islamico nei giardini vaticani, l’occultamento del crocifisso pettorale durante l’incontro con la sinagoga di Gerusalemme, l’accoglienza amicale e “compagnera” di un gruppo quechua erede del passato movimento terroristico “tupamaro” portatore del verbo abortista ed omosessuale con tanto di foglie di coca da benedire e, soprattutto, l’ignobile persecuzione avviata contro i Frati Francescani dell’Immacolata.
Questi, come esempî, i primi che ci vengono in mente, non trascurando le fantasiose, irriverenti riflessioni martane su una più che “umana” delusa Maria Vergine ai piedi della Croce.
Oggi vogliamo ragguagliare sugli ultimi esiti di questa sua deriva modernista e peronista con che sta portando la santa Chiesa – sempre che Qualcuno glielo consenta completamente – nella palude stigia, melassa peciosa e amarulenta di una religiosità globalista, chiesa fra le tante chiese.
Vediamo:
B – “Sui divorziati niente fughe in avanti” ha chiarito il cardinal arcivescovo di Milano Angelo Scola partecipando all’incontro con le famiglie, voluto dall’arcivescovo stesso il 21 novembre 2014, durante il quale, a commento dei lavori del recente Sinodo, egli ha affermato l’immutabilità della dottrina della Chiesa che non considera possibile la Comunione ai divorziati risposati.
A leggere tale notizia ci siamo confortati col rinvigorire la speranza, anzi la certezza, che tale impostazione e con simile sentinella si renderà vana qualsiasi manovra eversiva che, già, si profila in vista del prossimo Sinodo. Ma, scorrendo la lettura abbiamo subìto una classica doccia scozzese perché l’arcivescovo, con logica vaticansecondista e di puzzo relativistico, e allo scopo palese di non apparire “tradizionalista”, ha concluso buttando là un: “Finché le cose sono così, nessuno ha il diritto di agire in modo diverso. In futuro vedremo”.
Eminenza, ma che ci sta dando la baia? Che vuol dire “ in futuro vedremo”, che stiano tranquilli i divorziati risposati perché non quest’anno ma, forse, il prossimo tutto cambierà a loro favore?
O la dottrina della Chiesa, in termini dogmatici, è immutabile, come sono immutabili le parole di Cristo, oppure tutto è modificabile in base alle esigenze dei tempi. Per cui tanto vale dire: “Caro Signore Gesù, tu hai detto che cielo e terra passeranno ma le tue parole non passeranno. Vedi, però, le parole sono figlie del tempo e le tue andavano bene per il tuo, ma col mutar di questo, anche le tue parole debbono mutare. Se non muti tu, muteremo noi sicuri di essere assistiti dallo Spirito Santo. Noi, peraltro, così come insegna il nostro papa Bergoglio – Francesco per tutti – confidiamo nella tua comprensione e, soprattutto, nella tua misericordia”.
Ridicolo, poi, quel “finché le cose sono così” quasi che esse, quelle cose, dovrebbero, da sole o sollecitate da un esterno e anonimo dinamismo – l’ananke greca, la necessità cosmica - mutare non si sa come e perché.
Questo giochetto altro non nasconde che un subdolo disegno di non anticipare, per ora, cambiamenti repentini lavorando, nel frattempo, perché questi avvengano “lento pede”, quasi per spontaneo moto. Intanto, dice l’arcivescovo, chi osasse agire diversamente da quanto per il momento vige, si renderebbe reo di una trasgressione che, in prospettiva, sarà tuttavia sanata. “O difesa di Dio, perché pur giaci?” (Par. XXVII, 57).
C – Le cronache mondiali, giornali, tv e rete, hanno dato risalto allo stupore destato da tal don Evandro Gherardi, parroco di Brescello, paese romagnolo famoso per essere stato il sito letterario di don Camillo e Peppone e, in questi giorni, minacciato dallo straripamento del Po.
Che cosa ha fatto don Evandro? Ha preso il grande crocifisso della chiesa parrocchiale portandolo in processione, seguìto dalla popolazione e dalle autorità, davanti agli argini fluviali e lì pregare Dio di salvare il paese da imminente catastrofe.
Insomma, don Evandro ha officiato l’antico rito delle “rogazioni” che, dato lo stupore suscitato nonché una gran dose di curiosità, sta a significare che di esse s’era perso il ricordo.
Ora, che un anonimo laico articolista scriva “ A Brescello, provincia di Reggio Emilia, il parroco non ha trovato di meglio che pregare contro le intemperie e la paura dell’esondazione del Po” (Il Giornale 19 nov. 2014), non suscita disappunto o contrarietà se non quello che si prova di fronte a uno sgarbo o a una ironica tirata.
Ma leggerlo in Avvenire (21 nov. 2014), il quotidiano della CEI, beh, allora siamo allo sfascio!
L’articolista, ignorando del tutto la storia della Chiesa e le sacre celebrazioni, si attarda a farci sapere che l’iniziativa del parroco di Brescello deve la sua popolarità al cinema – la serie di Don Camillo di G. Guareschi – e alla televisione. Il titolo suona cosi: “Da don Camillo a don Evandro: fede e mito, tv e facebook” e lo svolgimento del tema saltabecca su come i media abbiano riscoperto queste devozioni rurali che, fa intendere, sanno oggi di mitologica ed ingenua devozione. Fede e mito, appunto.
Senza dubbio è vero: se ne è perso il ricordo e l’efficacia perché la Chiesa postconciliare ha preferito cancellare la rogazioni a vantaggio di un quotidiano contatto fiduciario con il Centro Meteo, pertanto l’iniziativa di don Evandro è stata salutata con sorrisetti e motteggi. Che altro sarebbe se non compatimento benevolo ciò che ha scritto, sempre su Avvenire (18 nov. 2014), un anonimo estensore “mettetela come vi pare, ma nel pomeriggio il livello del fiume ha smesso di crescere”.
Come a dire: potrebbe anche essere o una coincidenza o un intervento divino in pari quota del 50%. Fate voi.
D – A Palermo (Corriere della sera 22 nov. 2014) l’arcivescovo, cardinale Paolo Romeo, ha proibito il sacramento della Cresima, da officiare nella cattedrale, al 17enne figlio del noto e tristo capomafia Giuseppe Graviano, mandante dell’uccisione del beato don Pino Puglisi. Il giovane, che frequenta il Centro educativo Ignaziano (CEI), istituto privato retto dai Gesuiti, che ha seguito con altri 48 compagni il corso di preparazione, dovrà ricevere il sacramento in forma privata e in un’altra chiesa. Il cardinale ha tenuto a precisare che “questo non significa che le colpe dei padri devono cadere sui figli” per carità!
Giratela come volete ma, a noi, sembra il contrario perché contro il fatto oggettivo non vale l’argomento del cardinale. Potenza dell’ipocrisìa di marca prelatizia!
Tràttasi di un divieto, simile a quello con cui la Diocesi di Roma negò le esequie all’ex nazista Priebke, dettato, come è evidente, da una miserrima prudenza umana che niente ha a che vedere con la virtù cardinale, una prudenza figlia del timore di campagne mediatiche e di critiche, spacciata per misura cautelativa del buon nome del cardinale. Eppure, al popolo ebreo che, scientemente chiese che il sangue di Gesù cadesse anche sui proprî figli, la Chiesa postconciliare ha riconosciuto il possesso persistente dell’alleanza antica ritenendo i discenti, i figli di quel sinedrio deicida, innocenti del sangue di Dio.
Al giovane Graviano viene, invece, imputato il reato di mafiosità genetica, pure se la sua vita dimostra come del tutto diversa dal genitore sia la strada che egli sta, da sempre, percorrendo.
Trattamento opposto e assai gratificante – lo abbiamo sopra citato – quello che la Curia vaticana riserva invece ad atei, abortisti, comunisti e gnostici patentati, come Scalfari, Marino, Pannella, Napolitano.
Ma allora: la parabola del figlio prodigo, a chi serve e a chi si applica?
E la tanto conclamata e predicata catechesi della misericordia in ginocchio di papa Bergoglio?
Noi riteniamo con certezza che il cardinal Romeo abbia, con colpa e pavidità, perso l’occasione di onorare Dio e la sua Misericordia nascondendo un mirabile esempio di riscatto, quello che il giovane ha operato distaccandosi dalla condotta di un padre iniquo e percorrendo la strada dell’onestà nella sequela del messaggio di Gesù. Che esempio, e di qual forza sarebbe stata quella santa cerimonia, per tutte le famiglie e per tutti quei giovani che vivono la tentazione di intrupparsi nelle file della mafia. Ma la miopìa degli uomini ha completamente occuliato questo tesoro.
Che abisso, che differenza tra l’operato dell’arcivescovo Romeo e la condotta del manzoniano cardinal Federigo Borromeo il quale, profetico e impavido davanti a tutto il clero intimorito e scandalizzato e a tutto il popolo, presenta un grande convertito - grande perché già grande assassino - il temibile Innominato, mafioso ante litteram.“Dio grande e buono, che ho mai fatto io, servo inutile, pastore sonnolento, perché Voi mi chiamaste a questo convito di grazia?” (Promessi Sposi, XXIII, 130).
Nel caso in questione il cardinal Romeo non aveva nemmeno il peso di affiancarsi a un mascalzone ma di accompagnare un giovane per bene, cristiano, solo colpevole d’essere figlio d’un genitore criminale, circostanza che non gli ha vietato di frequentare una scuola cattolica, ma il ricevimento della Cresima sì.
Eminenza, lei renderà conto a Dio per averGli sottratto il dovuto, e cioè la Sua glorificazione che,coram populo, sarebbe rifulsa nella cattedrale nel momento in cui lo Spirito Santo sarebbe sceso sull’anima innocente del ragazzo.
Che cosa potrà dire al sommo Giudice a propria discolpa?
Di aver pensato prima al buon nome della Curia, che il figlio dell’assassino del beato don Puglisi avrebbe dato, indirettamente, lustro al disonesto padre, che lei avrebbe subìto le critiche dei massmedia e dei benpensanti con cui la Chiesa tesse ottimi rapporti di dialogo, di aver voluto punire il padre castigando il figlio?
Certamente, è bello e facile, Eminenza, sentirsi come Gesù, che entra a Gerusalemme trionfante tra ali di folla entusiasta, quando il mondo acclama e batte le mani, ma quanto è difficile – e lei lo ha dimostrato – avviarsi sulla strada della Croce tra la stessa folla che, invece, ti sputa in faccia e ti ferisce. Lei ha, invece, cercato l’applauso e l’approvazione dell’alto e basso clero, del mondo e dei massmedia fermandosi alla porta di Gerusalemme e rinunciando a salire l’erta del Golgota.
Che bella sequela!
Si fa tanto parlare in questi giorni, nelle omelìe martane di papa Bergoglio, delle “sorprese di Dio” tra le quali ci sarebbe stata – chi può escluderlo? - quella di un ravvedimento del capomafia Graviano in virtù della grazia infusa sul giovane figlio, se è vero che noi, quale parte del Mysticum Corpus Ecclesiae, siamo come vasi comunicanti. E, sorpresa tra le sorprese, non crede che anche il beato don Puglisi avrebbe sorriso dall’alto cieli nel momento in cui lo Spirito Santo scendeva nell’anima e nel cuore del giovane, ed impetrato il perdono del suo carnefice con le stesse parole di Gesù sulla Croce: “Padre, perdonalo, perché non sapeva quello che faceva?”.
Lei, pertanto, con la sua pavida decisione con cui ha tutelato un presunto diritto umano negligendo quello di Dio, ha probabilmente impedito una conversione. Ci pensi e ci dica se non sia stato, il suo, un comportamento contrario allo spirito della sua funzione di pastore.
Ed, allora, tutto ciò non è forse un far cadere la colpa dei padri sui figli?
Resta da chiedere se tal divieto sia stato maturato autonomamente dalla curia palermitana o l’ordine sia venuto da lontano. In entrambi i casi una brutta e imperdonabile ingiustizia, un doppio peccato portato a Dio e al giovane.
A - Papa Bergoglio non finisce di stupire e di indignare. A dover stilare il catalogo delle circostanze in cui, con consapevolezza ed estemporaneità, ha stracciato riti e procedure, sbianchettato Vangelo e imposto forme, prospettive e stili culturali di conio liberalprotestante, non sapremmo come coordinare il materiale tanta ne è l’abbondanza che tracima da questo anno e mezzo di magistero. I lettori conoscono, per averne noi trattato, la prima conferenza stampa, le incursioni a Lampedusa, il poco garbato rifiuto a partecipare al concerto in suo onore presso l’aula Paolo VI, i contatti telefonici con questo e con quello, le udienze calorose con gli Scalfari, i Marino, i Napolitano, l’intesa cordiale con Pannella, il convegno catto-ebraico-islamico nei giardini vaticani, l’occultamento del crocifisso pettorale durante l’incontro con la sinagoga di Gerusalemme, l’accoglienza amicale e “compagnera” di un gruppo quechua erede del passato movimento terroristico “tupamaro” portatore del verbo abortista ed omosessuale con tanto di foglie di coca da benedire e, soprattutto, l’ignobile persecuzione avviata contro i Frati Francescani dell’Immacolata.
Questi, come esempî, i primi che ci vengono in mente, non trascurando le fantasiose, irriverenti riflessioni martane su una più che “umana” delusa Maria Vergine ai piedi della Croce.
Oggi vogliamo ragguagliare sugli ultimi esiti di questa sua deriva modernista e peronista con che sta portando la santa Chiesa – sempre che Qualcuno glielo consenta completamente – nella palude stigia, melassa peciosa e amarulenta di una religiosità globalista, chiesa fra le tante chiese.
Vediamo:
1- il 28 ottobre scorso – quando si dice la coincidenza! – hanno marciato su Roma alcuni gruppi noglobal, tra cui il famoso e benemerito centro sociale – centro di che? – il milanese “Leoncavallo”. Come da prassi bergogliana, costoro sono stati, in pompa massima, ricevuti in udienza e lì, tra lo stupore e il silenzio pavido delle eminenze, sua Santità ne ha ricamato un commosso panegirico per l’impegno nella “lotta” (!) al liberismo capitalista mai citando, ci mancherebbe, nella sua usuale tiritera a braccio, il nome santo di Gesù.
E meno male, ché sarebbe stato alquanto irriverente dato il barricadiero contesto lì rappresentato!
Tanta entusiasmante accoglienza ha talmente invaso e colpito l’animo e il cuore del “proletariat/cachemire” Fausto Bertinotti, da fargli intravedere, nel papa, il vero “rivoluzionario”.
Sono i residui persistenti della mai smentita simpatia per la “teologìa della liberazione”.
A quando la canonizzazione di Camilo Torres, prete guerrigliero e di Che Guevara assassino di campesinos?
E meno male, ché sarebbe stato alquanto irriverente dato il barricadiero contesto lì rappresentato!
Tanta entusiasmante accoglienza ha talmente invaso e colpito l’animo e il cuore del “proletariat/cachemire” Fausto Bertinotti, da fargli intravedere, nel papa, il vero “rivoluzionario”.
Sono i residui persistenti della mai smentita simpatia per la “teologìa della liberazione”.
A quando la canonizzazione di Camilo Torres, prete guerrigliero e di Che Guevara assassino di campesinos?
2 – il 15 novembre ha ricevuto in udienza, un numeroso gruppo di medici cattolici – circa 7 mila – ai quali ha fatto presente, e giustamente, il diritto e il dovere all’obiezione di coscienza in quanto ad eutanasìa e aborto. Ha speso parole opportune e forti ma, ad un certo punto, non sappiamo perché, ha sentito l’uzzolo di derapare quando, confidando ai presenti una sua convinzione, ha detto: “Tante volte nella mia vita ho sentito obiezioni alla Chiesa perché si oppone all’aborto, ho sempre risposto: no, non è un problema religioso o filosofico, è un fatto scientifico” (Libero on line, 15 novembre 2014).
A dir il vero, non sappiamo che cosa voglia significare siffatta riflessione: è un fatto scientifico l’aborto o scientifico è obiettare?
In entrambi i casi ci sembra che confusione maggiore non possa darsi. Ciò che ci spaventa è un eventuale sottinteso/malinteso con cui si prende per buono che l’aborto, in quanto tale, è un argomento scientifico tale da non suscitare obiezioni specialmente, come egli afferma, dalla Chiesa. Tutto dovrebbe discendere da una visione puramente materiale secondo cui il feto altro non è che un grumo di iniziali e anonimi tessuti che si agitano e si moltiplicano senza con ciò palesarsi come fenomeno di altra e più nobile natura. Ma se così fosse, il futuro Precursore, Giovanni Battista, non avrebbe esultato, a sei mesi di gestazione nel grembo di sua madre Elisabetta, al solo sentir suonare la dolce voce di Maria che portava in seno il Salvatore (Lc. 1, 44).
L’obiezione all’aborto, e l’opposizione a questo, non è un fatto scientifico ma religioso e teologico perché va a tutela della vita che è prodotto di Dio. Sua Santità dovrebbe misurare con attenzione le proprie estemporanee riflessioni che, al di là di un’evanescenza concettuale, contengono il veleno dell’ambiguità in aspra contraddizione, come in questo caso, con le precedenti sue ortodosse considerazioni.
A dir il vero, non sappiamo che cosa voglia significare siffatta riflessione: è un fatto scientifico l’aborto o scientifico è obiettare?
In entrambi i casi ci sembra che confusione maggiore non possa darsi. Ciò che ci spaventa è un eventuale sottinteso/malinteso con cui si prende per buono che l’aborto, in quanto tale, è un argomento scientifico tale da non suscitare obiezioni specialmente, come egli afferma, dalla Chiesa. Tutto dovrebbe discendere da una visione puramente materiale secondo cui il feto altro non è che un grumo di iniziali e anonimi tessuti che si agitano e si moltiplicano senza con ciò palesarsi come fenomeno di altra e più nobile natura. Ma se così fosse, il futuro Precursore, Giovanni Battista, non avrebbe esultato, a sei mesi di gestazione nel grembo di sua madre Elisabetta, al solo sentir suonare la dolce voce di Maria che portava in seno il Salvatore (Lc. 1, 44).
L’obiezione all’aborto, e l’opposizione a questo, non è un fatto scientifico ma religioso e teologico perché va a tutela della vita che è prodotto di Dio. Sua Santità dovrebbe misurare con attenzione le proprie estemporanee riflessioni che, al di là di un’evanescenza concettuale, contengono il veleno dell’ambiguità in aspra contraddizione, come in questo caso, con le precedenti sue ortodosse considerazioni.
3 – Nell’omelìa martana del 21 novembre, papa Bergoglio ha denunciato lo scandalo della lista dei prezzi riferita a battesimi e funzioni religiose. Evidente la ripresa di una precedente intemerata, giugno 2013, quando affermò che: “San Pietro non aveva il conto in banca” e quando dovette pagare le tasse “Gesù lo ha mandato al mare a pescare un pesce e trovare la moneta dentro al pesce per pagare” (Il Giornale 22 novembre 2014 pag. 17).
Una vera strapazzata diretta a quei sacerdoti che affiggono sulle bacheche parrocchiali i listini prezzi; “Gesù usa la frusta contro i mercanti nel tempio perché viene a portare la gratuità dell’amore di Dio. E quando le chiese diventano affariste, si dice che non è tanto gratuita la salvezza” (idem).
Ora, a noi, sembra certo che il ministero dei sacramenti non deve essere un meccanismo di “dout des”, di chiara marca simoniaca, ci mancherebbe. Ma parimenti ci sembra del tutto retorica e fuori posto siffatta filippica che colpisce ingiustamente, e con foga pauperistica, quanti del clero sopravvivono con le piccole offerte, quelle affisse, “per memoria” sui portali delle parrocchie. E vorremmo argomentare la nostra riflessione critica con alcuni riferimenti.
Intanto è da dire che, giustamente, San Pietro non aveva una banca tanto che, per versare la tassa al Tempio, Gesù compie il miracolo della moneta nel ventre del pesce (Mt. 17, 24/27). Ma del pari giustamente, è da notare che non tutti i contribuenti possono avere accanto un Gesù che risolva il problema fiscale con una semplice pésca tant’è che lo stesso san Pietro, non appena in carica quale primo papa, lungi dall’andar a pésca, risolve le necessità della Chiesa nascente con un ordinamento che taluno ha chiamato “comunismo teologico”, la messa in comune, cioè, dei beni per sovvenire alla necessità dei fedeli indigenti – vedove e orfani - e dei ministri, fulminando di morte gli “evasori” Ananìa e Saffira (Atti 4, 3/5). Gesù stesso conferma l’obbligo, per i fedeli, di sostenere i ministri quando afferma che “l’operaio è degnodelle sua mercede” (Lc. 10, 7). E proprio su tale ultimo monito si fonda il canone 222 del CJC che recita: “ §1 – I fedeli sono tenuti all’obbligo di sovvenire alle necessità della Chiesa affinché essa possa disporre di quanto necessario per il culto divino, per le opere di apostolato e di carità e per l’onesto sostentamento dei ministri. §2 – I fedeli sono anche tenuti all’obbligo di promuovere la giustizia sociale come pure, memori del comandamento del Signore, di soccorrere i poveri con i proprî redditi”.
Appare chiaro come il vile denaro, può e deve essere, per usi onesti e santi, strumento necessario di sopravvivenza, oltre che di carità, specialmente in un’epoca in cui tutto è monetizzato in forza di quella cultura massonico/calvinista angloamericana – tanto ammirata - che fonda il successo sul guadagno e sull’accumulo. Non per niente la santa Sede istituì allo scopo una banca, lo IOR che, stando a quanto afferma papa Bergoglio, non dovrebbe avere legittimità dacché san Pietro non ne possedeva alcuna. Così, per una Chiesa povera, la santa Sede dovrebbe rinunciare all’8 x 1000.
Insomma, non ci pare che la tirata moralistica contro l’usanza di esporre tabelle “annonarie” che, lungi dal menare scandalo, rappresentano un promemoria per i fedeli, abbia avuto i connotati dell’urgenza tali da essere denunciati nell’omelìa martana.
Una vera strapazzata diretta a quei sacerdoti che affiggono sulle bacheche parrocchiali i listini prezzi; “Gesù usa la frusta contro i mercanti nel tempio perché viene a portare la gratuità dell’amore di Dio. E quando le chiese diventano affariste, si dice che non è tanto gratuita la salvezza” (idem).
Ora, a noi, sembra certo che il ministero dei sacramenti non deve essere un meccanismo di “dout des”, di chiara marca simoniaca, ci mancherebbe. Ma parimenti ci sembra del tutto retorica e fuori posto siffatta filippica che colpisce ingiustamente, e con foga pauperistica, quanti del clero sopravvivono con le piccole offerte, quelle affisse, “per memoria” sui portali delle parrocchie. E vorremmo argomentare la nostra riflessione critica con alcuni riferimenti.
Intanto è da dire che, giustamente, San Pietro non aveva una banca tanto che, per versare la tassa al Tempio, Gesù compie il miracolo della moneta nel ventre del pesce (Mt. 17, 24/27). Ma del pari giustamente, è da notare che non tutti i contribuenti possono avere accanto un Gesù che risolva il problema fiscale con una semplice pésca tant’è che lo stesso san Pietro, non appena in carica quale primo papa, lungi dall’andar a pésca, risolve le necessità della Chiesa nascente con un ordinamento che taluno ha chiamato “comunismo teologico”, la messa in comune, cioè, dei beni per sovvenire alla necessità dei fedeli indigenti – vedove e orfani - e dei ministri, fulminando di morte gli “evasori” Ananìa e Saffira (Atti 4, 3/5). Gesù stesso conferma l’obbligo, per i fedeli, di sostenere i ministri quando afferma che “l’operaio è degnodelle sua mercede” (Lc. 10, 7). E proprio su tale ultimo monito si fonda il canone 222 del CJC che recita: “ §1 – I fedeli sono tenuti all’obbligo di sovvenire alle necessità della Chiesa affinché essa possa disporre di quanto necessario per il culto divino, per le opere di apostolato e di carità e per l’onesto sostentamento dei ministri. §2 – I fedeli sono anche tenuti all’obbligo di promuovere la giustizia sociale come pure, memori del comandamento del Signore, di soccorrere i poveri con i proprî redditi”.
Appare chiaro come il vile denaro, può e deve essere, per usi onesti e santi, strumento necessario di sopravvivenza, oltre che di carità, specialmente in un’epoca in cui tutto è monetizzato in forza di quella cultura massonico/calvinista angloamericana – tanto ammirata - che fonda il successo sul guadagno e sull’accumulo. Non per niente la santa Sede istituì allo scopo una banca, lo IOR che, stando a quanto afferma papa Bergoglio, non dovrebbe avere legittimità dacché san Pietro non ne possedeva alcuna. Così, per una Chiesa povera, la santa Sede dovrebbe rinunciare all’8 x 1000.
Insomma, non ci pare che la tirata moralistica contro l’usanza di esporre tabelle “annonarie” che, lungi dal menare scandalo, rappresentano un promemoria per i fedeli, abbia avuto i connotati dell’urgenza tali da essere denunciati nell’omelìa martana.
E sempre in tema di simile “scandalo” ci occorre di sentire, da fedeli devoti e praticanti, espressioni di condanna e di esecrazione contro le bancarelle che circondano i santuarî. Noi ce la sbrighiamo facendo presente come il Signore, oltre ai miracoli spirituali – apparizioni, conversioni, pentimenti, santificazioni – compie anche quelli di ordine materiale in esecuzione di quel “dacci oggi il nostro pane quotidiano”, promuovendo, cioè, un flusso di lavoro e di ricchezza che lo Stato laico non è capace di organizzare e favorire.
E domandiamo a costoro: “Che generi si vendono in questi mercatini? Forse merce indegna, oggetti immondi, riviste sporche? No! si vendono rosarî, agiografie, santini, medaglie sacre. Ed allora? dove sta lo scandalo?”. Al che, i critici tacciono. San Giovanni Rotondo, Lourdes, Fatima: erano luoghi ove la miseria mordeva bambini, donne, uomini, vecchi. Oggi, il miracolo del santo Padre Pio e le apparizioni della Vergine – tanto per fare pochi esempî – hanno trasformato quelle lande avare e povere in luoghi di sano lavoro che produce sana ricchezza e pane per i poveri della Chiesa e per i sofferenti.
Vorremmo poi far presente che non tutte le chiese e non tutti i parroci sono chiese e parroci metropolitani. Esistono e vivono realtà rurali, montane, periferiche ove, racimolare il pane e il sostentamento è talmente difficile che talora è necessario esporre tabelle e prezzi.
Ė il caso, allora, di gridare allo scandalo rovesciando i sarcasmi e il disprezzo su un clero che stenta ad onorare le spese di manutenzione, l’acquisto di Avvenire e di Famiglia Cristiana, a coniugare colazione e cena?
Scandalosi, blasfemi semmai, sono taluni riti liturgici quali i moderni matrimonî, gli scenografici funerali, o certe Messe sperimentali dove il disdoro e lo scempio dissacrante son regola da nessuno repressa. Nemmeno dal Papa.
E allora, Santità, a noi sembra che ella manchi di prudenza e di carità, oltre che di santo, sano e buon senso. Se dovessimo ulteriormente procedere su questa tematica, dovremmo chiederle di demolire le tante chiese erette con i donativi di note e anonime persone “ad remissionempeccatorum” – vedi Santa Maria Novella in Firenze o la Cappella degli Scrovegni in Padova – demolire ancora la Roma sistina o medicea dacché essa è il prodotto di un prezziario che i papi d’allora imposero addirittura sulla prostituzione o ricordarle che lei, per tutto il complesso delle guarentigie messe in atto dallo Stato italiano, secondo le stime calcolate dalla Commissione Razionalizzazione Spese Roma Capitale, grava per un totale di 440 milioni di euri. Così afferma quell’Ignazio Marino “francescano” sindaco di Roma e suo frequente ospite. Sarà vero?
Certo si è che talune cifre, quando appaiono, destano sorpresa, e sono cifre che oscurano le minuzie di un 10 € per una Messa. Non vorremmo dirlo, ma ci viene in mente la similitudine evangelica della pagliuzza nell’occhio altrui e della trave nel proprio.
E domandiamo a costoro: “Che generi si vendono in questi mercatini? Forse merce indegna, oggetti immondi, riviste sporche? No! si vendono rosarî, agiografie, santini, medaglie sacre. Ed allora? dove sta lo scandalo?”. Al che, i critici tacciono. San Giovanni Rotondo, Lourdes, Fatima: erano luoghi ove la miseria mordeva bambini, donne, uomini, vecchi. Oggi, il miracolo del santo Padre Pio e le apparizioni della Vergine – tanto per fare pochi esempî – hanno trasformato quelle lande avare e povere in luoghi di sano lavoro che produce sana ricchezza e pane per i poveri della Chiesa e per i sofferenti.
Vorremmo poi far presente che non tutte le chiese e non tutti i parroci sono chiese e parroci metropolitani. Esistono e vivono realtà rurali, montane, periferiche ove, racimolare il pane e il sostentamento è talmente difficile che talora è necessario esporre tabelle e prezzi.
Ė il caso, allora, di gridare allo scandalo rovesciando i sarcasmi e il disprezzo su un clero che stenta ad onorare le spese di manutenzione, l’acquisto di Avvenire e di Famiglia Cristiana, a coniugare colazione e cena?
Scandalosi, blasfemi semmai, sono taluni riti liturgici quali i moderni matrimonî, gli scenografici funerali, o certe Messe sperimentali dove il disdoro e lo scempio dissacrante son regola da nessuno repressa. Nemmeno dal Papa.
E allora, Santità, a noi sembra che ella manchi di prudenza e di carità, oltre che di santo, sano e buon senso. Se dovessimo ulteriormente procedere su questa tematica, dovremmo chiederle di demolire le tante chiese erette con i donativi di note e anonime persone “ad remissionempeccatorum” – vedi Santa Maria Novella in Firenze o la Cappella degli Scrovegni in Padova – demolire ancora la Roma sistina o medicea dacché essa è il prodotto di un prezziario che i papi d’allora imposero addirittura sulla prostituzione o ricordarle che lei, per tutto il complesso delle guarentigie messe in atto dallo Stato italiano, secondo le stime calcolate dalla Commissione Razionalizzazione Spese Roma Capitale, grava per un totale di 440 milioni di euri. Così afferma quell’Ignazio Marino “francescano” sindaco di Roma e suo frequente ospite. Sarà vero?
Certo si è che talune cifre, quando appaiono, destano sorpresa, e sono cifre che oscurano le minuzie di un 10 € per una Messa. Non vorremmo dirlo, ma ci viene in mente la similitudine evangelica della pagliuzza nell’occhio altrui e della trave nel proprio.
4 – “Quando non ho voglia di fare qualcosa o di incontrare qualcuno, dico sto male”. Ė questa una nota e consumata strategìa di comune applicazione. Certo, non è un gran segno di serietà ma, generalmente, non lo si qualifica come grave vizio dal momento che vien considerato come espediente piuttosto infantile e diplomatico di quanti non possiedono la forza per affrontare situazioni sgradite o antipatiche. Insomma: il metodo della bugìa.
Sentirlo confessare, però, da un papa (Il Giornale 22 nov. 2014) ciò si palesa come comportamento da “fine del mondo”, impensabile in chi dovrebbe esercitare il suo parlare secondo la regola del “si si no no” dettata dallo stesso Gesù, vale a dire della sincerità.
Si trattava, per papa Bergoglio, di presenziare, giorni fa’, alla cerimonia del “PremioRatzinger” dove era in programma l’incontro col cardinal Camillo Ruini. Ma papa Francesco non si è presentato. “Impegni di lavoro”, è stato comunicato. Ma la sopra riportata confessione ci fa intendere che la crescente fronda di alcuni prelati alla “politica” papale – leggi Bagnasco, Ruini, Müller - abbia determinato in Bergoglio la decisione di disertare l’incontro. Un dispetto, detto alla breve.
Ci vien da ricordare un’analoga circostanza quando, dovendo assistere a un concerto musicale nell’aula Paolo VI, allestito per onorare la propria elezione, vi si rifiutò adducendo motivi di lavoro, salvo poi conoscere la verità: non voleva sentirsi un principe o un papa rinascimentale (!).
Noi, tuttavia, maliziosamente prendiamo nota della estrema disponibilità che dimostra per i Pannella, gli Scalfari, gli Hollande, gli Obama, i Napolitano, i Marino, i don De Paolis, gli Enzo Bianchi. Forse sono questi i famosi “impegni di lavoro”.
Per colui la cui vile e pavida rinuncia gli ha consentito il trono, per l’ex Benedetto XVI, non ha potuto, o voluto trovare il tempo. Ci sembra poco garbato e soprattutto segno di ingratitudine.
Sentirlo confessare, però, da un papa (Il Giornale 22 nov. 2014) ciò si palesa come comportamento da “fine del mondo”, impensabile in chi dovrebbe esercitare il suo parlare secondo la regola del “si si no no” dettata dallo stesso Gesù, vale a dire della sincerità.
Si trattava, per papa Bergoglio, di presenziare, giorni fa’, alla cerimonia del “PremioRatzinger” dove era in programma l’incontro col cardinal Camillo Ruini. Ma papa Francesco non si è presentato. “Impegni di lavoro”, è stato comunicato. Ma la sopra riportata confessione ci fa intendere che la crescente fronda di alcuni prelati alla “politica” papale – leggi Bagnasco, Ruini, Müller - abbia determinato in Bergoglio la decisione di disertare l’incontro. Un dispetto, detto alla breve.
Ci vien da ricordare un’analoga circostanza quando, dovendo assistere a un concerto musicale nell’aula Paolo VI, allestito per onorare la propria elezione, vi si rifiutò adducendo motivi di lavoro, salvo poi conoscere la verità: non voleva sentirsi un principe o un papa rinascimentale (!).
Noi, tuttavia, maliziosamente prendiamo nota della estrema disponibilità che dimostra per i Pannella, gli Scalfari, gli Hollande, gli Obama, i Napolitano, i Marino, i don De Paolis, gli Enzo Bianchi. Forse sono questi i famosi “impegni di lavoro”.
Per colui la cui vile e pavida rinuncia gli ha consentito il trono, per l’ex Benedetto XVI, non ha potuto, o voluto trovare il tempo. Ci sembra poco garbato e soprattutto segno di ingratitudine.
B – “Sui divorziati niente fughe in avanti” ha chiarito il cardinal arcivescovo di Milano Angelo Scola partecipando all’incontro con le famiglie, voluto dall’arcivescovo stesso il 21 novembre 2014, durante il quale, a commento dei lavori del recente Sinodo, egli ha affermato l’immutabilità della dottrina della Chiesa che non considera possibile la Comunione ai divorziati risposati.
A leggere tale notizia ci siamo confortati col rinvigorire la speranza, anzi la certezza, che tale impostazione e con simile sentinella si renderà vana qualsiasi manovra eversiva che, già, si profila in vista del prossimo Sinodo. Ma, scorrendo la lettura abbiamo subìto una classica doccia scozzese perché l’arcivescovo, con logica vaticansecondista e di puzzo relativistico, e allo scopo palese di non apparire “tradizionalista”, ha concluso buttando là un: “Finché le cose sono così, nessuno ha il diritto di agire in modo diverso. In futuro vedremo”.
Eminenza, ma che ci sta dando la baia? Che vuol dire “ in futuro vedremo”, che stiano tranquilli i divorziati risposati perché non quest’anno ma, forse, il prossimo tutto cambierà a loro favore?
O la dottrina della Chiesa, in termini dogmatici, è immutabile, come sono immutabili le parole di Cristo, oppure tutto è modificabile in base alle esigenze dei tempi. Per cui tanto vale dire: “Caro Signore Gesù, tu hai detto che cielo e terra passeranno ma le tue parole non passeranno. Vedi, però, le parole sono figlie del tempo e le tue andavano bene per il tuo, ma col mutar di questo, anche le tue parole debbono mutare. Se non muti tu, muteremo noi sicuri di essere assistiti dallo Spirito Santo. Noi, peraltro, così come insegna il nostro papa Bergoglio – Francesco per tutti – confidiamo nella tua comprensione e, soprattutto, nella tua misericordia”.
Ridicolo, poi, quel “finché le cose sono così” quasi che esse, quelle cose, dovrebbero, da sole o sollecitate da un esterno e anonimo dinamismo – l’ananke greca, la necessità cosmica - mutare non si sa come e perché.
Questo giochetto altro non nasconde che un subdolo disegno di non anticipare, per ora, cambiamenti repentini lavorando, nel frattempo, perché questi avvengano “lento pede”, quasi per spontaneo moto. Intanto, dice l’arcivescovo, chi osasse agire diversamente da quanto per il momento vige, si renderebbe reo di una trasgressione che, in prospettiva, sarà tuttavia sanata. “O difesa di Dio, perché pur giaci?” (Par. XXVII, 57).
C – Le cronache mondiali, giornali, tv e rete, hanno dato risalto allo stupore destato da tal don Evandro Gherardi, parroco di Brescello, paese romagnolo famoso per essere stato il sito letterario di don Camillo e Peppone e, in questi giorni, minacciato dallo straripamento del Po.
Che cosa ha fatto don Evandro? Ha preso il grande crocifisso della chiesa parrocchiale portandolo in processione, seguìto dalla popolazione e dalle autorità, davanti agli argini fluviali e lì pregare Dio di salvare il paese da imminente catastrofe.
Insomma, don Evandro ha officiato l’antico rito delle “rogazioni” che, dato lo stupore suscitato nonché una gran dose di curiosità, sta a significare che di esse s’era perso il ricordo.
Ora, che un anonimo laico articolista scriva “ A Brescello, provincia di Reggio Emilia, il parroco non ha trovato di meglio che pregare contro le intemperie e la paura dell’esondazione del Po” (Il Giornale 19 nov. 2014), non suscita disappunto o contrarietà se non quello che si prova di fronte a uno sgarbo o a una ironica tirata.
Ma leggerlo in Avvenire (21 nov. 2014), il quotidiano della CEI, beh, allora siamo allo sfascio!
L’articolista, ignorando del tutto la storia della Chiesa e le sacre celebrazioni, si attarda a farci sapere che l’iniziativa del parroco di Brescello deve la sua popolarità al cinema – la serie di Don Camillo di G. Guareschi – e alla televisione. Il titolo suona cosi: “Da don Camillo a don Evandro: fede e mito, tv e facebook” e lo svolgimento del tema saltabecca su come i media abbiano riscoperto queste devozioni rurali che, fa intendere, sanno oggi di mitologica ed ingenua devozione. Fede e mito, appunto.
Senza dubbio è vero: se ne è perso il ricordo e l’efficacia perché la Chiesa postconciliare ha preferito cancellare la rogazioni a vantaggio di un quotidiano contatto fiduciario con il Centro Meteo, pertanto l’iniziativa di don Evandro è stata salutata con sorrisetti e motteggi. Che altro sarebbe se non compatimento benevolo ciò che ha scritto, sempre su Avvenire (18 nov. 2014), un anonimo estensore “mettetela come vi pare, ma nel pomeriggio il livello del fiume ha smesso di crescere”.
Come a dire: potrebbe anche essere o una coincidenza o un intervento divino in pari quota del 50%. Fate voi.
D – A Palermo (Corriere della sera 22 nov. 2014) l’arcivescovo, cardinale Paolo Romeo, ha proibito il sacramento della Cresima, da officiare nella cattedrale, al 17enne figlio del noto e tristo capomafia Giuseppe Graviano, mandante dell’uccisione del beato don Pino Puglisi. Il giovane, che frequenta il Centro educativo Ignaziano (CEI), istituto privato retto dai Gesuiti, che ha seguito con altri 48 compagni il corso di preparazione, dovrà ricevere il sacramento in forma privata e in un’altra chiesa. Il cardinale ha tenuto a precisare che “questo non significa che le colpe dei padri devono cadere sui figli” per carità!
Giratela come volete ma, a noi, sembra il contrario perché contro il fatto oggettivo non vale l’argomento del cardinale. Potenza dell’ipocrisìa di marca prelatizia!
Tràttasi di un divieto, simile a quello con cui la Diocesi di Roma negò le esequie all’ex nazista Priebke, dettato, come è evidente, da una miserrima prudenza umana che niente ha a che vedere con la virtù cardinale, una prudenza figlia del timore di campagne mediatiche e di critiche, spacciata per misura cautelativa del buon nome del cardinale. Eppure, al popolo ebreo che, scientemente chiese che il sangue di Gesù cadesse anche sui proprî figli, la Chiesa postconciliare ha riconosciuto il possesso persistente dell’alleanza antica ritenendo i discenti, i figli di quel sinedrio deicida, innocenti del sangue di Dio.
Al giovane Graviano viene, invece, imputato il reato di mafiosità genetica, pure se la sua vita dimostra come del tutto diversa dal genitore sia la strada che egli sta, da sempre, percorrendo.
Trattamento opposto e assai gratificante – lo abbiamo sopra citato – quello che la Curia vaticana riserva invece ad atei, abortisti, comunisti e gnostici patentati, come Scalfari, Marino, Pannella, Napolitano.
Ma allora: la parabola del figlio prodigo, a chi serve e a chi si applica?
E la tanto conclamata e predicata catechesi della misericordia in ginocchio di papa Bergoglio?
Noi riteniamo con certezza che il cardinal Romeo abbia, con colpa e pavidità, perso l’occasione di onorare Dio e la sua Misericordia nascondendo un mirabile esempio di riscatto, quello che il giovane ha operato distaccandosi dalla condotta di un padre iniquo e percorrendo la strada dell’onestà nella sequela del messaggio di Gesù. Che esempio, e di qual forza sarebbe stata quella santa cerimonia, per tutte le famiglie e per tutti quei giovani che vivono la tentazione di intrupparsi nelle file della mafia. Ma la miopìa degli uomini ha completamente occuliato questo tesoro.
Che abisso, che differenza tra l’operato dell’arcivescovo Romeo e la condotta del manzoniano cardinal Federigo Borromeo il quale, profetico e impavido davanti a tutto il clero intimorito e scandalizzato e a tutto il popolo, presenta un grande convertito - grande perché già grande assassino - il temibile Innominato, mafioso ante litteram.“Dio grande e buono, che ho mai fatto io, servo inutile, pastore sonnolento, perché Voi mi chiamaste a questo convito di grazia?” (Promessi Sposi, XXIII, 130).
Nel caso in questione il cardinal Romeo non aveva nemmeno il peso di affiancarsi a un mascalzone ma di accompagnare un giovane per bene, cristiano, solo colpevole d’essere figlio d’un genitore criminale, circostanza che non gli ha vietato di frequentare una scuola cattolica, ma il ricevimento della Cresima sì.
Eminenza, lei renderà conto a Dio per averGli sottratto il dovuto, e cioè la Sua glorificazione che,coram populo, sarebbe rifulsa nella cattedrale nel momento in cui lo Spirito Santo sarebbe sceso sull’anima innocente del ragazzo.
Che cosa potrà dire al sommo Giudice a propria discolpa?
Di aver pensato prima al buon nome della Curia, che il figlio dell’assassino del beato don Puglisi avrebbe dato, indirettamente, lustro al disonesto padre, che lei avrebbe subìto le critiche dei massmedia e dei benpensanti con cui la Chiesa tesse ottimi rapporti di dialogo, di aver voluto punire il padre castigando il figlio?
Certamente, è bello e facile, Eminenza, sentirsi come Gesù, che entra a Gerusalemme trionfante tra ali di folla entusiasta, quando il mondo acclama e batte le mani, ma quanto è difficile – e lei lo ha dimostrato – avviarsi sulla strada della Croce tra la stessa folla che, invece, ti sputa in faccia e ti ferisce. Lei ha, invece, cercato l’applauso e l’approvazione dell’alto e basso clero, del mondo e dei massmedia fermandosi alla porta di Gerusalemme e rinunciando a salire l’erta del Golgota.
Che bella sequela!
Si fa tanto parlare in questi giorni, nelle omelìe martane di papa Bergoglio, delle “sorprese di Dio” tra le quali ci sarebbe stata – chi può escluderlo? - quella di un ravvedimento del capomafia Graviano in virtù della grazia infusa sul giovane figlio, se è vero che noi, quale parte del Mysticum Corpus Ecclesiae, siamo come vasi comunicanti. E, sorpresa tra le sorprese, non crede che anche il beato don Puglisi avrebbe sorriso dall’alto cieli nel momento in cui lo Spirito Santo scendeva nell’anima e nel cuore del giovane, ed impetrato il perdono del suo carnefice con le stesse parole di Gesù sulla Croce: “Padre, perdonalo, perché non sapeva quello che faceva?”.
Lei, pertanto, con la sua pavida decisione con cui ha tutelato un presunto diritto umano negligendo quello di Dio, ha probabilmente impedito una conversione. Ci pensi e ci dica se non sia stato, il suo, un comportamento contrario allo spirito della sua funzione di pastore.
Ed, allora, tutto ciò non è forse un far cadere la colpa dei padri sui figli?
Resta da chiedere se tal divieto sia stato maturato autonomamente dalla curia palermitana o l’ordine sia venuto da lontano. In entrambi i casi una brutta e imperdonabile ingiustizia, un doppio peccato portato a Dio e al giovane.
di L. P.
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